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Il Manifesto Rassegna Stampa
26.07.2005 Consulenti israeliani per l'antiterrorismo negli Stati Uniti: il quotidiano comunista grida al "razzismo"
dando voce alle infondate accuse di alcuni gruppi musulmani americani

Testata: Il Manifesto
Data: 26 luglio 2005
Pagina: 4
Autore: Franco Pantarelli
Titolo: «Gli Usa comprano consulenti»
IL MANIFESTO di martedì 26 luglio 2005 pubblica un articolo di Franco Pantarelli sui consulenti israeliani nella lotta al terrorismo, in particolare quello suicida, negli Stati Uniti.
Gruppi musulmani americani protestano, e il quotidiano comunista rilancia "gli specialisti di Tel Aviv porteranno solo i loro metodi razzisti, basati sull'aspetto fisico".
M l'accusa di razzismo rivolta alla lotta antiterroristica israeliana è infondata.
Razzisti, piuttosto, sono gli attentatori che fanno strage di ebrei in quanto ebrei, senza distinguere tra civili e militari.


Ecco il testo:

Fra il personale dell'ambasciata israeliana a Washington da qualche tempo c'è una nuova figura di attaché: quella del consulente terroristico. Si chiama Simon Perry ed è un brigadier generale della polizia nazionale israeliana. Il suo compito è coordinare il lavoro della schiera di istruttori israeliani che vanno in giro per gli Stati uniti a insegnare alle polizie locali come prevenire i possibili attacchi suicidi. Non è arrivato adesso, il generale Perry, ma negli ultimi giorni il suo lavoro è diventato molto più frenetico perché la «domanda» di istruttori è repentinamente aumentata, tanto che per coprirla si è dovuto mettere anche lui fra gli istruttori, il cui numero (che non si conosce) è diventato improvvisamente scarso. La ragione, ovvia, la sintetizza Gil Kerlikowske, il capo della polizia di Seattle che sarà la prossima tappa del generale Perry. «È ora di affrontare seriamente il problema degli attacchi suicidi», dice. «Ormai perché accadano anche qui sembra essere più una questione di quando che di se». Così, ecco che oltre a Seattle si ha notizia di tante altre città - Boston, Los Angeles, Washington, la Suffolk County di New York ed anche Sterling Heights, una cittadina del Michigan a Nord di Detroit - che hanno deciso di rivolgersi a coloro che considerano un po' i «maestri» in questo campo. Alcuni organizzano viaggi di loro agenti in Israele, altri chiedono al generale Perry di mandare uno dei suoi uomini a renderli edotti. E qualcosa hanno già imparato, dicono. Per esempio che in presenza di un possibile attentatore suicida è bene che i poliziotti dimentichino ciò viene loro abitualmente consigliato - sparare al petto perché in quanto «bersaglio grosso» ci sono più possibilità di colpire - e mirare invece alla testa, evitando così che il proiettile faccia da detonatore all'esplosivo che l'attentatore potrebbe avere addosso. Oppure che bisogna incoraggiare un fenomeno che si è già manifestato e che fra i poliziotti americani è noto come Mewc, che sta per middle eastern with a camera, cioè mediorientale con macchina fotografica, insomma la segnalazione alla polizia ogni volta che si vede uno con le fattezze da arabo intento a fotografare qualcosa che potrebbe costituire un obiettivo.

E ciò ha immediatamente sollevato le ire dei musulmani d'America che col terrorismo non c'entrano. «Le tattiche antiterrorismo degli israeliani - dice per esempio Ibrahim Hooper, portavoce del Council on American-Islamic Relations - si basano prevalentemente sull'aspetto fisico, che si tratti di uno che deve passare un check point o di uno che deve salire su un aereo, e in questo modo hanno creato un enorme risentimento nella popolazione palestinese, con le loro pratiche umilianti e gli abusi quotidiani. È questo che vogliamo copiare in America?».

Niente di tutto ciò, dice Kerlikowske, quello di Seattle. Ciò che ci si aspetta dagli israeliani sono indicazioni sul comportamento dei potenziali terroristi, non sulla loro razza, e da lì si è già arrivati a mettere a punto tre concetti-base da cui partire. I concetti non si devono divulgare, spiega sempre il capo della polizia di Seattle, per non dare vantaggi ai terroristi, così come non si deve sapere nulla del protocollo di suicide bomber response, anch'esso in fase di messa a punto, nel quale vengono indicati addirittura «nove passi» che a quanto pare i terroristi - in base a ciò che gli israeliani stanno spiegando - sono usi compiere e che quindi li fanno individuare.

Il repentino incremento del «ricorso a Israele» ha in qualche modo «reso giustizia» a un'organizzazione, chiamata Jewish Insitute for National Security Affairs, che una pratica del genere l'ha cominciata nel 2002 e ha già spedito dozzine di poliziotti a trascorrere qualche settimana in Israele. Ognuno di quei viaggi costa 6.500 dollari, dice al New York Times la direttrice dell'istituto, Marsha Hatelman, e spiega che se si tratta di agenti di polizie locali a pagare è l'istituto stesso, grazie alle donazioni che riceve da privati, mentre se a mandare quegli agenti è il governo federale le spese sono a suo carico. Ma ha reso giustizia anche a New York, già postasi all'avanguardia con la sua decisione di perquisire a casaccio i viaggiatori della metropolitana. È ormai da anni, si è saputo, che la polizia di New York ha un suo agente permanente a Tel Aviv che parla la lingua ebraica e segue da vicino le operazioni che lì vengono condotte. E che a scadenze regolari viene ad aggiornare i suoi colleghi sul «che fare».
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