A Sharm el Sheik tra i sopavvissuti alla strage reportage di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 25 luglio 2005 Pagina: 3 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Tra i sopravvissuti un solo pensiero:»
LA STAMPA di domenica 24 luglio 2005 pubblica a pagina 3 un articolo di Fiamma Nirenstein, inviata a Sharm el Shaik dopo la strage.
Ecco l'articolo: BISOGNA attraversare il deserto del Sinai ormai rosso di sangue e giungere in fondo alle dune e alle rocce fino ai 45 gradi all'ombra della città di Sharm el Sheikh per capire fino in fondo come la guerriglia terrorista si sia trasformata in guerra. La città, che accende pateticamente tutti i neon delle vacanze fra i vetri saltati per aria da tutte le vetrine e tutte le finestre e ammucchiate con altri residui di oggetti esplosi dappertutto, è letteralmente distrutta in tre punti diversi e distanti fra di loro e i morti e i feriti crescono ad ogni ora; è stato colpita come da un bombardamento il Paese dei Balocchi di tanti italiani, tedeschi, americani, israeliani, ma soprattutto di quei villeggianti del Cairo e dei Paesi Arabi che formano la stragrande maggioranza dei morti e dei feriti che ormai il mondo chiama comunemente «Islam moderato» e che i terroristi considerano pericolosi traditori da giustiziare. Per arrivare, non c'è quasi altra strada che quella del passaggio da Israele di Taba: gli aerei non arrivano, molti tentano dunque quella strada; al confine, pure mezzo vuoto, restiamo bloccati e indagati dai servizi segreti con un camion della CNN, i militari ci sequestrano un telefono satellitare dopo l'indagine del Mukabarat; poi, una volta ripartiti, incontriamo centinaia di poliziotti in blu, decine di check point ci fermano lungo la costa meravigliosa del Sinai ormai abbandonato dalla maggior parte del turisti, mentre un inutile mare trasparente ci guarda dal basso e i beduini passano sui loro cammelli. Dopo Taba, Nueiba, Dahab l'ultima corsa e ecco la fila consueta del paradiso alberghiero, Sonesta, Hilton, Four Seasons, Novotel e in mezzo il Gran Casinò come fosse Las Vegas e ancora un Casinò... ma di fronte al Moevenpick, ecco l'incredibile. I turisti rimasti inaugurano un passatempo orribilmente moderno, la visita al monumento al terrore ancora fumante e alla schiera dei media che partono tutti col loro stand up di fronte allo scheletro di cemento armato. Il centro acquisti, con la sua pizzeria, i suoi pub, i suoi negozi, e il suo albergo di fronte, è una testimonianza della distruttività mirata del terrore. Gli acquisti, la bella vita delle vacanze: no, i musulmani non la devono fare, dice quell'attacco a Sharm, i turisti devono restare a casa per non infettare la purezza dell'Islam, l'influenza malefica dell'Occidente deve essere distrutta: così ha pensato la mente che ha messo insieme i tre obiettivi che a pochi minuti gli uni dall'altro sono stati distrutti da cariche esplosive senza precedenti. Mohammad Mahrus, un ingegnere che lavora al Moevenpick d'estate e vive al Cairo d'inverno era là accanto: «Un primo boom incredibile, stavo dormendo, corro fuori, vedo sangue, pezzi di corpo, gente insanguinata che scappava da tutte le parti; poi mentre stavo là fuori chiedendoci come aiutare, boom di nuovo, poco distante. Era lo scoppio della Marina; e ancora, dopo poco, dalla parte opposta verso lo shuk, il mercato pieno di gente, turisti, locali che compravano e bevevano qualcosa insieme, il boom più grosso. Mia moglie dal Cairo non risuciva a trovarmi. Ora ho paura per lei, per il mio bambino per me stesso. Speriamo che li prendano, quegli assassini. Mubarak con la sua visita all'ospedale, ci ha dato forza, sembrava sicuro di farcela. Chi sono loro? Solo dei mostri, dei criminali, che altro? Io certo, resto qui a lavorare, che altro?». Non può invece più restare al lavoro un negoziante dello shuk all'altro lato della città, presidiata come in guerra da militari e polizia, che ci parla in un discreto italiano: esce fuori dall'ormai metafisico centro acquisti in mezzo ai finti marmi bianchi devastati, come se dal cielo un missile avesse spianato decine e decine di negozi e locali. Anche lui scavalca i mucchi di vetri e masserizie spaccati, ci dice con un sorrisino che i clienti italiani lo chiamano Mimmo: «Lavoro? Finito. Avevo qui dentro due negozi, uno di spezie e uno di narghilé, non ho più niente e questi ragazzi che lavoravano con me ora tornano ai loro villaggi, come tanti altri. Ma Allah mi ha protetto, sono vivo, non ho feriti o morti fra i miei cari e i miei amici, invece c'è tanta gente che piange». La via crucis ci porta anche alla Marina dove una macchina e esplosa con un enorme botto che ha lasciato persino l'asfalto tutto deformato, ma probabilmente il terrorista invece di voltare a sinistra per qualche ragione ha voltato verso destra, in un parcheggio e non contro i negozi e i ristoranti che si affollano già con le loro luci colorate accese: i proprietari le hanno accesso anche ieri sera mentre cercavano di rimettere in funzione il loro business. Sheri, Zizu, Sherif, Heba, due ragazze e due ragazzi del posto, tutti diciannovenni, vestiti in jeans e camicia, sono l'obiettivo impersonificato delle bombe integraliste di Hamas e di chi li odia su una scia ben più antica che è quella della Fratellanza Islamica nata in Egitto negli anni '40: girano tutti eleganti e calmi da un luogo bombardato a un altro; truccata e disinvolta Sheri non ha paura: «Possono colpire ovunque, quindi non c'è che calmarsi. Spero tanto che li prendano. Bin Laden? Non lo so, ma certo se è stato lui a farlo, non è un musulmano. L'Islam proibisce queste azioni assassine». Due giovani turisti inglesi, Natalina Pacchiano e Chris Habu, hanno prenotato il volo di ritorno per domani, se gli aerei ricominceranno a funzionare. Per dove? «Per Londra, naturalmente, la nostra città...Si, giusto, non andiamo a rilassarci, ma è più naturale affrontare questa guerra a casa proprio, purtroppo» Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.