Un articolo ambiguo, cinico e pasticciato quello di Lucia Annunziata
Testata: La Stampa Data: 23 luglio 2005 Pagina: 1 Autore: Lucia Annunziata Titolo: «Vivere da israeliani»
Il titolo faceva sperare. Toh, vuoi vedere che Lucia Anniziata ha finalmente capito Israele. Ci era vissuta da corrispondente di REPUBBLICA per anni e non aveva capito niente. Vuoi vedere che, standone lontano e occupandosi di terrorismo, forse incomincia a capirne qualcosa. Macchè, le radici non si estirpano. Cresciuta al MANIFESTO, di Israele continua a non capire niente.
Ecco l'articolo:
Ecco il suo editoriale sulla prima pagina della STAMPA di oggi 23-7-05: IL futuro ha un nome: la «Israelizzazione» del mondo occidentale. Non che questo fantasma non sia già stato evocato: il tema, dopotutto, è stato il nucleo duro della battaglia intellettuale dei neo-con intorno all'avventura irachena. Ma una cosa sono i dibattiti, altro è vedere trasformarsi, con buona pace per la retorica sulla flemma anglosassone, Londra, New York, Washington in Tel Aviv: evacuazioni, cani, uomini armati, operazioni militari in piena città, controllo degli zaini. Il fatto è che il dilettantismo di questi ultimi attentati ha di nuovo cambiato la nostra percezione del terrorismo. Per quattro anni abbiamo pensato che esso fosse Al Qaeda, cioè una megaorganizzazione, transnazionale e strutturata; poi con Londra abbiamo capito che si è evoluto in un terrorismo di casa, fatto da giovani nati nei nostri Paesi. Con gli ultimi attentati sappiamo ora che questi giovani non hanno bisogno neppure di piani, sono disposti ad andare allo sbaraglio,con pochi mezzi, in un flusso continuo. Qui, davvero, il parallelismo con Israele c'è tutto - dal terrorismo delle organizzazioni militari, alla ondata di un fai-da-te kamikaze con donne, bambini e giovani suicidi da cui nessun bar o autobus può difendersi. Ma la Israelizzazione di una società ha due aspetti: uno è il tipo di terrorismo - l'altro è la risposta che Israele vi ha dato. E, nel momento in cui guardiamo l'onda dei kamikaze arrivare, questo è il nostro problema: vogliamo divenire come Israele? La domanda non contiene valutazioni etiche, ma solo un richiamo legale: Israele infatti è stato il primo Paese ad aver applicato il concetto che il terrorismo non si vince indurendo le leggi, perché il terrorismo è un caso differente dal crimine. L'antiterrorismo che nasce da questo approccio ha a che fare con il grado di libertà civile che vogliamo perché tocca in profondità l'habeas corpus, cioè il fondamento del diritto occidentale. L'ispezione degli zainetti per strada, in America, viola, ad esempio, il Quarto Emendamento (e già ci sono state proteste). Le nuove misure del Patriot Act su cui si divide il Congresso Usa hanno a che fare non con l'aumento delle pattuglie per strada, ma con l'accesso totale e senza informazione del cittadino sotto osservazione, a tutte le comunicazioni di un individuo: posta elettronica, telefoni, banche. Infine, in questo tipo di lotta ha un grande ruolo la «partecipazione» del pubblico - non a caso questo è stato chiesto ieri dalla polizia di Londra. Questa partecipazione è un modo eufemistico per invitare a vigilare certo, ma anche informare sui propri vicini: fare la spia, detto crudamente. Diventare dunque come Israele? Rischiare di divenire una società militarizzata? Il fatto è che non lo diverremo mai, per il semplice fatto che Israele deve gestire una occupazione militare. Ma è vero che alcuni passaggi non potranno essere evitati: il dialogo con gli arabi moderati è, lo sappiamo tutti, una soluzione di lungo periodo. E molte delle nuove misure legali che dovremo adottare non ci sono, dopotutto, nemmeno estranee: in gran parte sono quelle che abbiamo già conosciuto trent'anni fa - il nostro terrorismo interno è stato sconfitto proprio così, con un misto di dialogo, corruzioni, osservazioni, infiltrazioni e spiate. Molte libertà all'epoca furono cancellate, è vero. Ma il terrorismo fu sconfitto. In particolare - e val la pena di ricordarselo ora - quando, dopo la morte di Guido Rossa, il suo rifiuto divenne una campagna simbolo di democrazia, non di autoritarismo.
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