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Il Manifesto Rassegna Stampa
21.07.2005 Il virtuosismo anti-israeliano del quotidiano comunista: ora sostiene che la protesta dei coloni fa "il gioco di Sharon"
nessuno se ne era accorto, ma per Michele Giorgio è una tale ovvietà che non bisogna neppure cercare di dimostrarla

Testata: Il Manifesto
Data: 21 luglio 2005
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Dalla Knesset no al rinvio del ritiro da Gaza»
IL MANIFESTO di giovedì 21 luglio 2005 pubblica apagina 9 una cronaca di Michele Giorgio, nella quale viene riproposta per l'ennesima volta una tesi che Giorgio non si è mai preoccupato di tentare di dimostrare: che i disordini connessi al ritiro da Gaza, o la loro enfatizzazione, servano la governo israeliano a "dimostrare" al mondo l'impossibilità di ulteriori disimpegni.

Quando i disordini sono inferiori al previsto Giorgio accusa Sharon di essere stato allarmista, quando si verificano davvero dichiara immediatamente che gli sono di giovamento...

Quali che siano i fatti, la sua principale preoccupazione è quella di presentarli in modo da nuocere all'immagine di Israele.

Ecco l'articolo:

Alla fine i coloni e gli estremisti di destra israeliani, completamente circondati dalle forze di sicurezza a Kfar Maimon, hanno scelto la prova di forza. Dopo un rincorrersi di notizie contraddittorie andato avanti per tutto il giorno, a sera la marcia verso Gaza è sembrata rimettersi in moto facendo scattare l'allarme nei comandi militari. E' stata una manovra ben studiata. I coloni si sono separati in due tronconi: quello principale ha raggiunto il cancello occidentale del villaggio, che guarda verso la Striscia di Gaza. Un secondo troncone si è schierato nei pressi del cancello orientale per costringere la polizia ed esercito a dividere le proprie forze. In un'atmosfera in cui la tensione si tagliava a fette, l'inizio di tafferugli e scontri era dato per certo da molti. Sul palcoscenico del confronto tra governo e coloni, Ariel Sharon non è voluto scendere, ma il primo ministro israeliano ha tutto da guadagnare dal clima che si è creato nel suo paese. Gli avvenimenti di questi ultimi giorni saranno al centro dei colloqui che venerdì avrà con il Segretario di stato Usa Condoleezza Rice che arriva in Medio Oriente per «rilanciare la cooperazione tra Israele e palestinesi». Sharon intende dimostrare a Condy tre cose: la sua determinazione ad andare avanti con il ritiro, la sua capacità di controllo della situazione e, soprattutto, che la spaccatura della società israeliana provocata dal piano di ritiro dal minuscolo territorio di Gaza rende «impossibile» procedere ad un ripiegamento ampio, quasi totale, dalla Cisgiordania (come vorrebbero i palestinesi). Lui, in ogni caso, in futuro rinuncerà solo a qualche colonia isolata, in cambio però della annessione a Israele dei principali blocchi di insediamenti.

Ieri pomeriggio a Kfar Maimon è giunto anche l'ex rabbino capo di Israele Avraham Shapira, che a inizio anno aveva descritto lo tsunami come una punizione divina per il sostegno internazionale al piano di evacuazione degli insediamenti ebraici di Gaza. Una presenza «autorevole» che tuttavia non ha fatto cambiare idea a buona parte dei 10-15 mila coloni riuniti a Kfar Maimon, arrostiti dal sole del Neghev e circondati da esercito e polizia. Ieri pomeriggio sono saliti a bordo di autobus e hanno fatto ritorno alle loro case (illegali) nei Territori palestinesi occupati. In serata altre migliaia di coloni e fanatici giunti da ogni angolo di questa terra per affermare la superiorità della Bibbia su ogni legge degli uomini e sui diritti dei popoli, vagavano ancora per i parchi pubblici e le strade di Kfar Maimon in attesa di sapere se riprendere la marcia verso Gaza, in protesta contro il piano di ritiro del governo Sharon. Una incertezza causata dagli annunci contraddittori fatti da Benzi Lieberman, uno dei leader di Yesha, il consiglio che riunisce la maggioranza delle colonie ebraiche costruite in Cisgiordania e Gaza. Lieberman prima ha annunciato la fine dell'iniziativa di protesta, poi ha corretto il tiro affermando che i partecipanti avrebbero fatto ritorno a casa entro venerdì, infine ha proclamato che al tramonto la marcia sarebbe ripartita nonostante lo schieramento di ben 15 mila soldati e poliziotti israeliani.

E così è stato. A spingere i coloni verso la prova di forza è stato, con ogni probabilità, l'esito del voto di ieri alla Knesset. E' fallito infatti l'ultimo tentativo degli oppositori al ritiro da Gaza di imporre con un voto del parlamento un rinvio dell'inizio delle operazioni di smantellamento delle 21 colonie della Striscia, e di 4 in Cisgiordania, previsto per la metà di agosto. La Knesset ha bocciato con una netta maggioranza tre mozioni separate presentate da deputati dell'estrema destra. Al voto non ha preso parte il ministro delle finanze Benyamin Netanyahu, rivale di Sharon nel Likud. Netanyahu aveva chiesto un rinvio del ritiro due settimane fa durante un voto indicativo in seno al governo. Ai coloni quindi ora non rimangono che le iniziative di protesta. Uno dei loro principali rappresentanti del movimento dei coloni Pinhas Wallerstein ha annunciato che non ci saranno cedimenti e il fronte dell'opposizione al piano farà il suo cammino sino alla fine.

Intanto ieri sono state condannate a 21 giorni di carcere militare le due soldatesse che domenica si erano rifiutate di evacuare un gruppo di coloni israeliani che si accingevano a forzare il valico a nord di Gaza.
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