In Iraq la lotta contro il terrorismo è una di popolo l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 21 luglio 2005 Pagina: 1 Autore: Carlo Panella Titolo: «L’Iraq si ferma per le vittime, la Costituzione per i sunniti»
A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO di giovedì 21 luglio 2005 pubblica un articolo di Carlo Panella sulla lotta al terrorismo e sulla Costituente in Iraq. Ecco l'articolo: Roma. L’Iraq ha dato ieri una nuova dimostrazione di fierezza nella sua vera e propria lotta di popolo contro il terrorismo. A mezzogiorno, infatti, il paese intero si è fermato per tre minuti di silenzio per rendere omaggio alle vittime del terrorismo, soprattutto alle decine di bambini dilaniati una settimana fa da un attentatore suicida. Nonostante il caldo a 50 gradi, i passanti, gli artigiani, gli uffici, i mercati e i negozi si sono fermati e le automobili si sono bloccate in mezzo alle strade, mentre al Iraqiya trasmetteva in diretta le immagini della gente che sospendeva ogni attività in varie zone di Baghdad e di Bassora, nel sud dell’Iraq, con sovrimpressa sullo schermo una striscia nera in segno di lutto. Il premier Ibrahim Jaafari ha letto la "fatiha", il versetto del Corano per i defunti, e ha dichiarato: "E’ un onore per gli iracheni trovarsi in prima linea a combattere il terrorismo e con il governo siamo decisi a continuare la nostra opera". E’ stato un silenzio simbolico, un fiero impegno antiterrorista condiviso di nuovo dal popolo iracheno, purtroppo non celebrati nel resto del mondo a causa di un "pacifismo" senza vergogna. Soltanto il Vaticano ha voluto dare il segno del pieno accoglimento della decisione del governo iracheno di commemorare i caduti iracheni del terrorismo, e Radio Vaticana ha rispettato il "silenzio" alle dodici ora di Baghdad, con l’introduzione affidata a Magdi Allam, che aveva lanciato nei giorni scorsi la proposta per una celebrazione universale di questo appuntamento di cordoglio. Le scelte di Jaafari Sempre più gravi, sul piano politico, si fanno intanto le reazioni della comunità sunnita all’omicidio di tre parlamentari sunniti maciullati martedì all’uscita da un ristorante, con una raffica di 200 proiettili. I tre – lo sheikh Mujbil al Isa, Dhamin Hussein Ilewy e Aziz Ibrahim – non avevano partecipato alle elezioni, ma erano stati invitati a partecipare ai lavori di stesura della Costituzione, con pieni poteri parlamentari, dopo che la componente sciita e curda (su istanza anche degli Stati Uniti) aveva deciso di seguire una logica istituzionale "creativa" per garantire ai sunniti quel corretto peso politico e numerico (15 membri su 71) che il boicottaggio delle elezioni aveva compromesso. I tre parlamentari cooptati, ma non eletti, appartenevano all’Iraqi national dialogue, un’un’organizzazione di ulema ed ex baathisti che si è pentita della propria scelta di boicottaggio elettorale e che ha scelto la strada della collaborazione con governo e partiti sciiti e curdi. Ieri, quattro colleghi, timorosi di subire la stessa sorte, hanno dichiarato di "autosospendersi" dai lavori della Costituente, dicendo: "In Iraq l’ambiente per svolgere il lavoro non è favorevole". Questa defezione segna una battuta d’arresto nel processo di recupero della componente sunnita che pareva ormai svilupparsi con forza e coinvolgere anche forze impegnate nel terrorismo. Ma il presidente curdo, Jalal Talabani, ha affermato che il calendario per la definizione della Costituzione verrà comunque rispettato: sarà stesa e approvata entro il 5 agosto e sottoposta a referendum entro il 15 ottobre, come stabilito. Ora, si tratta di vedere se questo processo sarà condiviso dai sunniti o se decideranno di nuovo di scegliere una strada aventiniana. Nonostante la posizione rinunciataria assunta dai quattro parlamentari sunniti ieri, gli scenari sono ancora aperti e lo stesso fatto che sempre più spesso i terroristi islamici uccidano ulema e politici sunniti dimostra come si stiano restringendo i loro spazi di consenso. In questo contesto molte indicazioni arrivano dalla visita che Jaafari ha appena concluso a Teheran, durante la quale hanno pesato le scelte silenziose del premier iracheno. La prima, fortissima, è stata il recarsi Teheran negli ultimi giorni di presidenza dell’ayatollah riformista Khatami, in modo da rendergli omaggio, obbligando il radicale Ahmadinejad, eletto presidente, stringergli la mano ancora quale privato cittadino. Questa scelta scabrosa poteva essere evitata posticipando di poco la visita: evidenzia quindi il dissidio di fondo che è iscritto nella biografia di Jaafari, da sempre critico, col suo partito Dawa, nei confronti del khomeinismo più estremo e vicino ai riformisti iraniani. La seconda scelta di Jaafari è stata il silenzio, marcato, a fronte delle deliranti parole di Ahmadinejad e della Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, in cui si accusavano "i sionisti" di essere responsabili del terrorismo in Iraq. Un silenzio eloquente cui sono seguite dichiarazioni di intenti comuni per una politica di buon vicinato e di rispetto reciproco, col sottinteso impegno iraniano non ripetere più l’appoggio a iniziative insurrezionali come quella di Moqtada Sadr, che Jaafari ha peraltro combattuto. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.