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Il Manifesto Rassegna Stampa
20.07.2005 Hezbollah, forza laica e progressista
le spericolate ridefinizioni di Stefano Chiarini

Testata: Il Manifesto
Data: 20 luglio 2005
Pagina: 9
Autore: Stefano Chiarini
Titolo: «Beirut, Hezbollah di governo»
Sul MANIFESTO di mercoledì 20 luglio 2005 Stefano Chiarini si compiace dell'ingresso degli Hezbollah nel governo libanese. La cosa non ci stupisce, conosciamo la speciale affezione di questo giornalista per i regimi e i gruppi terroristici peggiori del Medio Oriente, dall'Iraq di Saddam Hussein fino, appunto, ad Hezbollah.
C'è però un passaggio che ci sembra segnare un nuovo traguardo nel campo della distorsione del linguaggio per finalità ideologiche: quello in cui Chiarini definisce Hezbollah "il movimento della resistenza islamica libanese" che ha, "con le altre forze laiche e progressiste, liberato il paese dall'occupazione israeliana ma che è ancora considerato dagli Usa come un movimento terroristico".
Che Hezbollah sia solo "considerato" terrorista dagli Usa e sia in realtà un "movimento della resistenza islamica" è che abbia "liberato" il Libano è ancora ordinaria amministrazione.
Quello che costitusce una sorprendente novità è invece apprendere che lo ha fatto "con le altre forze laiche e progressiste".
Con le altre. Espressione che implica che anch'esso, Hezbollah, lo fosse. Progressista. E laico.
Un po' antisemita, magari. Un tantino teocratico, si suppone. Ma laico e progressista. Parola di Stefano Chiarini.

Ecco l'intero articolo:

Il Libano da ieri sera alle 18,30 ha un nuovo governo nel quale per la prima volta, è presente con un propio esponente, Mohammed Fneish, il movimento della resistenza islamica libanese degli Hezbollah che ha, con le altre forze laiche e progressiste, liberato il paese dall'occupazione israeliana ma che è ancora considerato dagli Usa come un movimento terroristico. Non solo. Il movimento degli Hezbollah, insieme all'altro partito sciita di Amal, con il quale ha ottenuto alle ultime elezioni 35 seggi, ha indicato anche il nome del nuovo ministro degli esteri, un diplomatico «patriottico» nella persona dell'ex ambasciatore Fawzi Sallouk. Il dicastero degli esteri è destinato a giocare un ruolo centrale di fronte alle pressioni Usa per una rottura definitiva dei rapporti con la Siria e per un disarmo della resistenza libanese e palestinese. Si tratta del primo governo dopo l'uccisione dell'ex premier Rafik Hariri, il ritiro delle truppe siriane dal Libano e le elezioni dello scorso giugno. Il premier designato Fouad Siniora, originario della città di Sidone, economista, braccio destro di Hariri, già ministro delle finanze in tutti i suoi governi dal 1992 al 2004, è riuscito dopo tre settimane di difficili tratative e di pesanti interventi da parte degli Stati uniti e della ex potenza coloniale, la Francia, a formare un governo parzialmente di «unità nazionale» nel quale sono presenti tutte le comunità confessionali ma dal quale è rimasto fuori il generale Michel Aoun, uno dei leader più importanti della comunità cristiano maronita. All'origine del rifiuto di Aoun il fatto che Siniora, e in realtà Saad Hariri, figlio dell'ex premier ucciso, hanno nel governo una maggioranza assoluta (15 ministri) che non corrisponde ai reali rapporti di forza nel parlamento e nel paese. In tal modo, secondo Aoun, il premier sunnita potrebbe prendere decisioni strategiche contro le altre due comunità del paese, i cristiani e gli sciiti, senza tener conto del parere dei rispettivi ministri. Gli sciiti di Amal e Hezbollah, con 5 ministri, forti non tanto e non solo del loro successo elettorale, ma soprattutto del fatto che costiuiscono la comunità più numerosa del paese, hanno invece accettato di correre il rischio forti della loro capacità di mobilitazione. D'altra parte il presidente cristiano-maronita Emile Lahoud, assai vicino a Damasco, ha ottenuto come garanzia in questo senso, l'inserimento nel governo di tre suoi fedeli tra i quali Charles Rizk al delicato ministero della giustizia, mentre alla difesa è rimasto Elias al Murr sfuggiro martedì scorso ad un devastante attentato. La famiglia cristiano ortodossa dei Murr, prima nella persona del padre Michel - che lasciò le Forze libanesi filo-israeliane per passare dalla parte di Damasco alla metà degli anni ottanta - e poi del figlio Elias, controlla da circa quindidi anni gli strategici ministeri degli interni e della giustizia.

Il governo Siniora da questo punto di vista riflette in realtà i reali rapporti di forza nel paese nel quale l'ex opposizione anti-siriana ha si circa 72 seggi su 128 in parlamento - mancando quei due terzi che le avrebbero dato carta bianca - ma è talmente composita (dal partito di Hariri, alle destre cristiane, agli uomini del patriarcaSfeir, al leader druso Walid Jumblatt) da non poter costituire un blocco capace di imporre la sua volontà al resto del parlamento. Con questi numeri sarà assai difficile, se non impossibile, far uscire di scena il presidente Lahoud e ancor di più rompere con Damasco e soprattutto disarmare sia gli Hezbollah che i palestinesi. Non a caso il premier designato ha sostenuto ieri in serata «è assai positiva la presenza nel governo degli Hezbollah, dal momento che hanno una forte base popolare e devono avere una loro rappresentanza» e si è impegnato a volare al più presto a Damasco per ridisegnare i rapporti tra i due paesi.

Intanto per le strade di Beirut nella notte tra lunedì e martedì, per la prima volta dal 1990, si è sparato di nuovo lungo le «linea verde» che divideva in due la città e proprio nel luogo dove sarebbe iniziata la guerra civile. I seguaci del leader delle milizie dell'ultradestra, Samir Geagea, appena amnistiato, sono confluiti nel quartiere cristiano maronita di Ain Rummaneh e si sono scontrati con gli abitanti del vicino quartiere sciita di Cheyah. Ne è seguita una sparatoria con un morto e tredici feriti.
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