La storia rivista da Tahar Ben Jelloun che la racconta nel modo opposto in cui è andata
Testata: La Repubblica Data: 17 luglio 2005 Pagina: 1 Autore: Tahar Ben Jelloun Titolo: «La mia vita di arabo tra Oriente e Occidente»
La storia, letta con un occhio bendato, giustifica a priori le tesi precostituite di Ben Jelloun
Ben Jelloun è un saggista marocchino la cui notorietà e credibilità in occidente non sono sempre del tutto meritate. Il suo lungo articolo pubblicato da Repubblica prende l' avvio da una disavventura vissuta dall' autore al suo ingresso negli Stati Uniti; i puntigliosi e fastidiosi controlli della sicurezza di frontiera inducono la sua mente a perdersi in fantasie che enfatizzano terrori oscuri (ad esempio, di finire a Guantanamo) per far capire al lettore come e quanto siano maltrattati questi poveri arabi solamente a causa della loro nazionalità.
In realtà queste considerazioni personali sono solamente un pretesto - ripetiamo, enfatizzato oltre il lecito - per introdurre un ragionamento sulle cause dei mali che da una dozzina d'anni avvelenano i rapporti fra il mondo arabo-islamico e l' occidente.
Ben Jelloun spiega con lucidità i motivi per i quali una percezione globale del mondo arabo - islamico come entità indifferenziata sia errata, ma poi inserisce, come sottofondo non esplicitamente espresso, i motivi conduttori di una animosità nei confronti dell' occidente - illustrato ai lettori da Ben Jelloun come una entità globale e quasi indifferenziata - che è ripetitiva ed irrazionale.
Implicito ma sempre percepibile nel contesto dell' analisi di Ben Jelloun appare il vittimismo molte volte analizzato in profondità da autori seri come il caposcuola Bernard Lewis, a causa del quale ogni male che negli ultimi cento anni sia occorso al mondo arabo è inevitabilmente da addebitare ad altri ed in particolare all' occidente.
Ugualmente si avverte nel ragionamento di Ben Jelloun una costante amnesia nei confronti di cause o concause diverse da quelle che lui identifica nella difesa ad oltranza dei propri interessi da parte delle potenze occidentali e nella loro volontà di prevaricare e dominare nazioni indifese.
Gli squilibri sociali e culturali all'interno del mondo arabo, ad esempio, sono passati sotto silenzio, e la mancanza di regole democratiche nella gestione del potere sono un mero accidente della storia, che probabilmente non si sarebbe verificato se non vi fosse stata l' arroganza occidentale.
Vorremmo richiamare l' attenzione del lettore su alcuni passaggi particolarmente significativi di questa apparentemente - solo apparentemente - analisi politologica abile ed approfondita: una analisi che è invece faziosa e velenosa.
Ben Jelloun - come potrebbe essere altrimenti? - pone al centro del problema Israele. Israele, non la politica di qualche governo o di tutti i governi di questo stato, si noti bene. "L'occupazione coloniale e il successivo esproprio delle terre dei palestinesi nel 1948" costituiscono l' origine e la perpetuazione di questo malessere.Solo che le terre dei palestinesi non sono state espropriate da nessuno nel 1948: è stata una decisione dell'ONU che ha dato vita allo stato ebraico ed avrebbe consentito di creare uno stato arabo-palestinese al suo fianco, internazionalizzando Gerusalemme, se il mondo arabo non avesse prevaricato la volontà palestinese con una guerra che si proponeva di eliminare Israele dalla faccia della terra e sterminarne gli abitanti.
Ma già, questa è la parte di storia che l' occhio bendato ed il cervello unilaterale dell' autore non vedono. Difatti, poche righe più avanti, Ben Jelloun ribadisce che "le guerre araboisraeliane del 67, 73 e 82 e i vari scontri ad armi impari tra la popolazione palestinese e l' esercito israeliano" sono la causa di un abisso che separa occidente ed oriente, in quanto il primo viene "percepito come amico e protettore dello Stato d'Israele". Già, gli arabi scatenano guerre e terrorismo contro Israele, che viene costretto a difendere con le armi il proprio diritto ad esistere, ma la colpa è sempre degli altri.
Singolare oltre ogni limite di presuntuosa saccenteria è la conclusione di questo lungo articolo.
Al Jazeera e le altre emittenti arabe mostrano con "telecamere spietate" orrori "insopportabili" ed organizzano "dibattiti in cui l' aggressività è di rigore"; "il terrorismo farà leva su questa esuberanza mediatica e su quelle ferite storiche"; ma, considerate le cause vere e le radici storiche del terrorismo arabo-islamico, "per lottare contro il terrorismo bisogna che l' Occidente diventi il promotore delle cause giuste, arrivando a promuovere manifestamente i valori di democrazia e libertà in modo onesto e senza secondi fini. Bisogna che i suoi interessi passino in secondo piano". Leggiamolo attentamente, questo passo conclusivo: se è vero che il terrorismo è colpa dell' egoismo occidentale e dell' alleanza fra l' occidente ed Israele, per sradicare il terrorismo l' occidente dovrà rinunciare ai propri interessi e promuovere solo quanto gli arabi e gli islamici radicali ritengono "giusto".
Repubblica ha anche pubblicato, insieme a questo articolo, i risultati di alcune indagini demoscopiche, e riteniamo che il migliore commento ai veleni sparsi da questo intellettuale arabo sia la risposta alla domanda "La violenza contro bersagli civili è giustificata?" rivolta dal Pew Research Center a 17.000 persone.
Ritengono che la violenza contro civili inermi ed innocenti sia giustificabile il 57% dei giordani (nel 2002 erano il 43%), il 39% dei libanesi (73% nel 2002), il 25% dei pakistani (41% nel 2002), il 15% degli indonesiani (27% nel 2002), il 14% dei turchi (15% nel 2002), il 13% dei concittadini marocchini di Ben Jelloun (40% nel 2004). Sono tutte cifre in diminuzione salvo il caso della Giordania, ma purtuttavia elevatissime rispetto all' angosciante risvolto etico della domanda posta.
Ecco l'articolo: IN MARZO sono stato invitato dall´Università di Princeton, Usa, per tenere una serie di conferenze. Prendo l´aereo a Parigi, sapendo che la compagnia aerea doveva comunicare la lista dei passeggeri che si apprestavano a entrare in territorio americano. Come tutti, anch´io ho compilato i moduli che ci hanno distribuito e che bisognava consegnare alla polizia di frontiera. Ho un passaporto francese. Lo consegno. Appena vede un nome arabo, l´agente americano traffica col computer per 5 minuti e poi passa i miei documenti a un altro agente, chiedendomi di seguirlo in un ufficio in fondo all´aeroporto. Mi fanno entrare in una stanza in cui noto altri arabi. Angosciato, non dico niente. Aspetto. Lo so, sono sospetto. Di cosa? Che ho fatto? Comincio a chiedermi che cosa posso aver fatto. Mi dico che forse ho commesso un crimine e la mia memoria l´ha cancellato. Aspetto. Penso a K., il personaggio del "Processo" di Kafka. A volte basta un nonnulla per precipitare nell´assurdo. Dal volto dell´agente incaricato della mia pratica non traspare nulla. Lo guardo e abbasso gli occhi. Comincio ad aver paura. Mi dico: e se mi scambia per un altro con il mio stesso nome, magari un ricercato? Prima che verifichino l´equivoco, sarò già a Guantanamo. La tensione sale. Aspetto, non oso chiedere che cosa stia succedendo. Mi hanno spiegato che in questi casi non bisogna mai protestare. Dopo una quarantina di minuti, l´agente mi chiama e mi fa una serie di domande. Il mio inglese è molto scarso. Rispondo in francese, poi in un inglese approssimativo. Mi fa domande trabocchetto: chi è Amin? Mio figlio. Qual è la sua data di nascita? Ho un vuoto di memoria. Dimenticato. Mi confondo con la data di nascita di un altro dei miei bambini. Mostro all´agente l´invito a Princeton, ma non lo intimidisce. Continua a scrivere al computer. In quel momento mi viene in mente un articolo che avevo scritto sulla guerra in Iraq in cui chiedevo che Bush fosse giudicato dal Tribunale penale internazionale per aver ucciso degli innocenti in Iraq. Mi dico che dev´essere per quello che la polizia mi trattiene. Dopo una pausa in cui l´agente parla con un altro agente, mi restituiscono il passaporto. Esco dall´aeroporto, dove trovo la mia valigia sola sul tapis roulant. L´autore marocchino: anch´io sono stato umiliato alla dogana La lingua che unifica quel mondo in realtà è parlata solo dalle élite saddam Senza l´aiuto Usa, non avrebbe fatto guerra all´Iran. Senza le armi europee, non avrebbe potuto reprimere il suo stesso popolo L´Occidente ha taciuto davanti ai gas di Halabja, ma gli arabi non hanno dimenticato la storia Dall´occupazione coloniale all´esproprio delle terre palestinesi, nella memoria restano le ferite brucianti per il mondo arabo, spesso guidato da uomini che hanno fatto solo l´interesse dell´Occidente
tahar ben jelloun Gli altri passeggeri, europei, non hanno subìto interrogatori. Ecco che cosa temono gli arabi che vogliono viaggiare. Anche se innocenti, sentono di portare in volto un motivo di sospetto. Tra l´Oriente e l´Occidente ci sono tanti di quei malintesi che occorre prima smantellare pregiudizi, cliché, idee stereotipate e luoghi comuni e poi precisare ogni cosa e ogni parola. Di che cosa si parla quando si citano questi due poli? Se l´Occidente è facilmente individuabile, l´Oriente è piuttosto un mosaico di paesi e di popoli situati a volte in Asia, altre volte nel Vicino e Medio Oriente e perfino in Maghreb. Maghreb in arabo significa "il tramonto", vale a dire l´Ovest. Eppure si mettono nella stessa categoria tanto il Machrek (dove si leva il sole) quanto il Maghreb (dove tramonta). Limitiamoci alla sfera del mondo arabo, che ingloba i 5 paesi del Maghreb e gli altri 17 paesi arabi. Sono stati messi insieme perché in teoria hanno in comune la lingua e la religione. Ma quando si guardano le cose da vicino, ci si rende conto che la lingua araba comune a quei paesi è una lingua classica, letteraria, parlata solo dalle élite: è la lingua dei libri e della storia, mentre i popoli parlano dialetti derivati da quella lingua. Se un intellettuale egiziano e uno marocchino comunicano agevolmente parlando la lingua del Corano, due contadini o due operai di paesi arabi diversi faranno molta fatica a capirsi. Riusciranno a capire qualche parola che non si è allontanata dalla lingua classica. Il secondo punto comune al mondo arabo è l´Islam, tuttavia oltre il 10% dei musulmani arabi sono sciiti, mentre gli altri sono sunniti. Esiste anche una minoranza di cristiani in Egitto, Libano, Siria, Sudan e Iraq. Solo il Maghreb ha resistito ai tentativi di cristianizzazione. Il mondo arabo non è un´entità unita, forte e armonica. Come diceva l´orientalista Jacques Serque, «il mondo arabo è simile e diverso». Per molto tempo l´Islam è stato un legante culturale tra quei paesi diversi. Con la rivoluzione iraniana del 1978 e prima con la comparsa del movimento dei Fratelli musulmani in Egitto, l´Islam è diventato un´ideologia politica. Fu questo sconvolgimento a suscitare preoccupazione dapprima nei paesi europei e più tardi negli Usa. Il movimento dei Fratelli musulmani è nato in Egitto nel 1928 e opponeva l´identità e la cultura musulmana alla colonizzazione ma anche al nazionalismo laico dei giovani patrioti egiziani. Per comprendere l´attuale situazione di "rifiuto dell´Occidente" bisogna risalire alle origini delle umiliazioni e delle frustrazioni subite dai popoli arabi. Con questo Oriente così vicino e così lontano, l´Occidente intrattiene da secoli rapporti tumultuosi. L´occupazione coloniale e il successivo esproprio delle terre dei Palestinesi nel 1948 restano ferite brucianti nella memoria del mondo arabo, un mondo spesso guidato da uomini non eletti democraticamente che hanno seguito una politica volta a soddisfare gli interessi di quell´Occidente che li aveva aiutati e sostenuti. L´esempio più lampante è quello di Saddam. Senza l´appoggio di europei e americani, Saddam non avrebbe fatto la guerra all´Iran. Senza le armi vendute da Francia e Germania, tra l´altro, non avrebbe potuto esercitare una dittatura sanguinaria sul suo popolo. I suoi "amici" europei hanno chiuso un occhio il giorno in cui ha gasato il villaggio curdo di Halabja; quei poveri curdi sono morti soffocati da gas comprati ai tedeschi e rilasciati da aerei francesi. Siccome l´Iraq è un immenso serbatoio di petrolio, la morale politica non aveva diritto di controllo su quello che faceva Saddam. Gli interessi economici hanno sempre avuto la meglio sui valori umanitari. Questo, i popoli arabi, quelli che hanno sofferto di quelle dittature, quelli che ne soffrono ancora, non lo dimenticano. Lo sguardo che il mondo arabo rivolge a quell´Occidente, anch´esso simile e diverso, è uno sguardo di rimprovero, di malcontento, di attrazione ambigua e di ripulsa. Le élite sono deluse. Quante volte li ho sentiti rinfacciare alla Francia, «paese dei diritti dell´uomo», di aver privilegiato la ragion di Stato in rapporto ai diritti umani nella sua politica estera! A partire da questa constatazione, e specialmente dopo le guerre araboisraeliane del ‘67, ‘73 e ‘82 e i vari scontri ad armi impari tra la popolazione palestinese e l´esercito israeliano, il fossato che separa l´Oriente e l´Occidente, percepito come amico e protettore dello Stato di Israele, non ha smesso di allargarsi. L´opinione pubblica ha spesso vedute binarie e manichee. Non ha bisogno di entrare nelle sottigliezze delle analisi geopolitiche. E quelle stesse vedute sono molto diffuse anche nei nuovi media satellitari arabi, molto seguiti dalla popolazione. Il ruolo dell´emittente televisiva Al Jazeera, tecnicamente ben organizzata, che trasmette da Doha, capitale del Qatar, è determinante nella costituzione e nella formazione dell´opinione pubblica e della mentalità delle persone: viene mostrato in diretta come i loro fratelli palestinesi o iracheni sono vittime della barbarie dell´occupazione. Le telecamere occidentali a volte sono pudiche e non mostrano immagini orribili. Questa emittente, invece, ha telecamere spietate che fanno vedere immagini insopportabili, organizza dibattiti in cui l´aggressività è di rigore, intervista i testimoni con durezza e con grande efficacia e manda ripetutamente in onda le immagini più scioccanti. Al Jazeera ha dato il via allo stravolgimento del sistema dell´informazione e della comunicazione nel mondo arabo. Decine di emittenti televisive l´hanno imitata e le fanno concorrenza. Il terrorismo farà leva su questa esuberanza mediatica e su quelle ferite storiche. I suoi obbiettivi intimi sono sconosciuti ma i suoi scopi politici sono chiari: destabilizzare i paesi arabi che hanno intrapreso il cammino verso la democrazia e che hanno stretto legami con l´Occidente: legami economici, politici e di protezione. Dopo l´invasione del Kuwait a opera di Saddam, i paesi del Golfo hanno avuto bisogno della protezione militare americana. Hanno dovuto allearsi alla superpotenza americana per ragioni di sopravvivenza. L´altro scopo del terrorismo è di seminare il terrore nei paesi occidentali perché cambino la loro politica nel mondo arabo. Ma al di là di questa volontà distruttrice, i soli scopo raggiunti dal terrorismo sono stati questi: nuocere ai musulmani e agli arabi in tutto il mondo, provocare un sospetto generalizzato nei confronti di ogni cittadino arabo che si sposti in altri paesi e uccidere degli innocenti. Sarebbe troppo semplice ridurre i paesi del Vicino Oriente al terrorismo o a una religione. È vero che sussistono antagonismi seri tra i modi di vivere e le scelte politiche delle due entità, ma lo scontro delle civiltà è più uno slogan che una realtà perché le culture sono mobili, viaggiano e si compenetrano. Non avanzano come blocchi di cemento armato: sono fluide e contagiose. In compenso, lo scontro delle ignoranze è una realtà largamente diffusa. E su questo humus che il terrorismo attecchisce, prolifera, recluta, lava cervelli e agisce in totale impunità perché è selvaggio e mascherato, perché manipola la religione con una facilità sconcertante riuscendo a sostituire l´istinto vitale con la pulsione di morte data o accettata. Per lottare contro il terrorismo, bisogna che l´Occidente diventi il promotore delle cause giuste, arrivando a promuovere manifestamente i valori di democrazia e libertà in modo onesto e senza secondi fini. Bisogna che i suoi interessi passino in secondo piano. È sicuro che rendendo giustizia al popolo palestinese, una giustizia che garantisca la pace ai due popoli e a ciascuno un suo Stato, il terrorismo perderà molta della sua virulenza. Poi va regolata al più presto la questione irachena. Per questo bisognerà tornare a Washington e pretendere da Bush che ponga riparo ai danni immensi che la sua politica ha causato in quei paesi. L´Oriente arabo conosce culturalmente e politicamente l´Occidente. Dovrebbe essere vero anche il contrario. Conoscersi è anche riconoscersi, accettarsi e rispettarsi. Cominciamo dalla cultura e la politica seguirà. L´Oriente arabo ha molto Occidente in sé, nella sua storia, nella sua cultura, e desidera profondamente che i paesi europei portino su di lui uno sguardo non di diffidenza e sospetto, non d´interesse economico e strategico, ma curioso della sua cultura e della sua civiltà. 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