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Il Giornale Rassegna Stampa
15.07.2005 Per Israele non esiste un terrorismo buono
come invece sembra pensare l'Europa, Gran Bretagna compresa

Testata: Il Giornale
Data: 15 luglio 2005
Pagina: 5
Autore: R. A. Segre
Titolo: «Ma pwer Israele l'Inghilterra resta»
IL GIORNALE di venerdì 15 luglio 2005 pubblica a pagina 5 un commento di R.a. Segre (da l titolo un po' troppo "coloristico) sui rapporti tra Israele e Gran Bretagna dopo gli attentati di Londra, e sulle divergenze tra i due paesi circa la natura e le cause del terrorismo.

Ecco l'articolo:

Per dueminuti la «magnifica Albione
», come l’hanno definita alcuni
giornali, si è trasformata in una
copia della «pietrificazione» annuale di
un minuto con cui Israele commemora i
suoi caduti. Ma le apparenze ingannano,
perché pur riconoscendo il valore
del comportamento inglese, per molti
israeliani l’Inghilterra resta la «perfida
» Albione. Quella di cui l’orientalista
Elisabeth Monroe scrisse 50 anni fa di
aver perduto il MedioOriente essenzialmente
per una perdita del controllo dei
suoi nervi, causata dalle perdite subite
nella prima guerra mondiale, dal desiderio
di vivere in pace fra le due guerre,
dal fascino esercitato su di lei da nemici
con cui si voleva ma non si poteva negoziare:
fascismo e marxismo.
Il pericolo di una nuova «perdita di
nervi» britannica la stampa israeliana e
parte della sua dirigenza credono di vederlo
sia nel discorso di Blair che, dopo
l’attacco terroristico di Londra, ha menzionato
il conflitto palestinese come uno
dei problemi che favoriscono il terrorismo
internazionale, sia nell’insistenza
della Bbc di voler chiamare i terroristi
islamici «bombaroli» e quelli palestinesi
«miliziani» o «guerriglieri». Il premier
israeliano
Sharon ha evitato
ogni critica al
discorso di Blair.
Ma la violenza
di alcuni commentatori
israeliani
mette in luce
il persistente
astio fra Londra
e Gerusalemme,
significativo anche
per i rapporti
tra Europa e
Stati Uniti.
Èun astio antico
che origina
da una prima insanabile
rottura di fiducia provocata
dalla pubblicazione del Libro Bianco
con cui nel 1939 l’Inghilterra si rimangiava
l’impegno di favorire la creazione
di un «focolare nazionale» ebraico in Palestina,
consegnava l’intero Paese ad
uno Stato arabo (con l’esclusione di Gerusalemme
e di basi militari nel Negev),
proibiva l’immigrazione e l’acquisto di
terre agli ebrei e chiudeva le porte della
salvezza a centinaia di migliaia di ebrei
intrappolati da Hitler. In seguito ci furono
i sanguinosi dirottamenti di navi di
rifugiati ebrei dalla Palestina, gli attacchi
terroristici organizzati dalla polizia
britannica contro i quartieri e le istituzioni
ebraiche di Gerusalemme, il rifiuto
posto dall’Inghilterra alla richiesta
del presidente dell’Organizzazione sionista
Chaim Weizmann di bombardare i
forni crematori di Auschwiz, anche se i
bombardieri colpivano le industrie lì intorno.
Israele non dimentica che fu ancora
Londra a volere nel 1945 la creazione
della Lega araba con l’immediata decisione
di boicottare «l’entità sionista»;
che nel 1948 l’offensiva militare della
Legione araba transgiordana fu comandata
da ufficiali inglesi; nel 1955 la creazione
del Patto di Bagdad, ecc. A risvegliare
questi asti antichi c’è l’ondata di
anti-israelianismo nei media britannici
che hanno portato all’espulsione da Gerusalemme
del rappresentante della
Bbc; l’aumento del 42% degli attacchi
antisemiti contro istituzioni ebraiche inglesi;
il recente tentativo fallito dell’Associazione
degli universitari britannici
di boicottare le università israeliane.
Nonostante l’esistenza di saldi rapporti
economici, sociali e di intelligence fra
i due Paesi, c’è ora il timore di un allineamento
di Blair, come presidente di turno
della Comunità europea, sulle posizioni
tradizionalmente pro-palestinesi.
C’è dissidio profondo fra il convincimento
europeo (e britannico) che la soluzione
del conflitto palestinese, attraverso
concessioni unilaterali di Israele, porterebbe
ad una diminuzione dell’estremismoislamico
in Occidente mentre Israele
(con gli Stati Uniti) è convinto che solo
un cambiamento radicale dei regimi
arabi possa aprire la strada alla pace.
Per Israele non esiste un terrorismo
buono con cui si può trattare, perché
rappresenta una legittima guerriglia
contro l’occupazione straniera, e un terrorismo
cattivo irriducibile da combattere.
L’odio di musulmani britannici radicali
per la società liberale permissiva democratica
inglese non ha nulla a che vedere
con la questione palestinese e esisterebbe
anche se Israele non esistesse.
Insomma c’è in Israele la paura che
Londra con tutto il suo coraggio non si
sia liberata dalla sindrome di Monaco.
Quella che fece dire a Churchill ai Comuni
nel 1938 rivolgendosi a Chamberlain:
«Avete sacrificato alla speranza di pace
con Hitler l’onore di questo Paese. Non
avrete pace e non avrete più onore».
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