Contro l'Europa lo stesso odio che colpisce Israele da mezzo secolo intervista a Fiamma Nirenstein
Testata: Libero Data: 15 luglio 2005 Pagina: 1 Autore: Martino Cervo Titolo: «Italia benvenuta nelle paure di Israele»
LIBERO di venerdì 15 luglio 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 7 un intervista di Martino Cervo a Fiamma Nirenstein, che riportiamo: «L Europa è oggetto dello stesso odio che colpisce Israele da mezzo secolo. Dal 1948 larga parte del mondo arabo è antagonista di questa scheggia d'Occidente conficcata nell'Islam. Lo è per motivi ideologici prima ancora che politici, storici e territoriali ». Fiamma Nirenstein, scrittrice, giornalista de "La Stampa", esperta di Medioriente, descrive il nostro continente. Lo vede minacciato da una forma di odio che conosce da vicino. Se «fare paragoni è sempre molto difficile», non sembra irrealistico un accostamento tra quello che rischiano di diventare le capitali europee e Gerusalemme, Tel Aviv, le città più devastate dal terrorismo islamico. «Quel che è certo è che siamo di fronte a una cultura dell'odio che da decenni si riversa contro lo stato di Israele, e che si rivela per quello che è sempre stato: un odio totale contro l'Occidente, non una conseguenza di conflitti territoriali. Gli accordi rifiutati da Arafat a Camp David nel 2000 sono lì a mostrarlo. È un odio ricorrente, che si avvale della demonizzazione del nemico attraverso i parametri più repellenti, che si è camuffato sotto le spoglie del conflitto palestineseisraeliano, ma che in realtà ha radici ben più profonde». Ora che i primi sbocchi delle indagini successive agli attentati londinesi del 7 luglio confermano ciò che alcuni osservatori scrivono da mesi, e cioè che il vero pericolo è "interno" alle città europee, aumenta la sensazione di impotenza. «I nuovi shahid sono per lo più di immigrati di seconda, terza generazione, che hanno beneficiato dei vantaggi dell'accoglienza, della nostra tecnologia, del nostro benessere, ma che non hanno perso l'ideologia e la cultura dell'odio. A far paura è proprio questo: l'odio non è determinato da dati di fatto, da condizioni modificabili nelle nostre società. I terroristi insomma sono "integrati", come avviene in Israele da tempo ». Ma se il "nemico" è lo stesso, se l'odio che si manifesta a New York, Madrid, Londra, è lo stesso che ha insanguinato e insanguina Netanya, l'Europa può imparare qualcosa da Israele: «Può imparare a combattere il terrorismo. A capire che non c'è un esercito in divisa che colpisce un esercito in divisa, ma piuttosto che viviamo una guerra combattuta da civili che, con i loro corpi, eliminano altri civili negli autobus, nelle metropolitane, nei bar. L'Europa può imparare la prevenzione, l'uso di leggi e l'uso della forza in maniera accurata ». La Nirenstein fa un esempio scomodo, controverso: la famigerata azione di Jenin, spesso raccontata come un eccidio criminale da parte dell'esercito israeliano: «In realtà è stata un'operazione condotta con le pinze, in cui il governo ha optato per un doloroso combattimento casa per casa proprio per evitare bombardamenti o altre soluzioni più drastiche ma certamente non prive di effetti collaterali». Se con quell'operazione Israele ha mostrato coraggio e prudenza nel contrastare il terrorismo islamico, la Nirenstein appare sconfortata dalla reazione europea: «Credo che per pagare il prezzo che comporta la lotta al terrorismo sia necessario che la gente capisca, sia resa partecipe di cosa sta succedendo. Bisogna spiegare, ripetere che il terrorismo è la negazione di ogni diritto umano: quello di vivere, di muoversi, di pensare, di prendere l'autobus e arrivare vivo a destinazione...andrebbe costruito un ethos comune, ed è anche una questione linguistica, di chiamare le cose con il loro nome». E l'Europa, fa trapelare la giornalista, non lo sta facendo: «Vedo una preoccupante collusione tra politica e informazione, a braccetto in nome del politically correct. Finché troviamo giudici che si comportano come la Forleo non nutro grosse speranze. E poi continuo a sentir parlare, anche dopo Londra, di resistenti, guerriglieri, militanti, attivisti. Vedo la Bbc che preferisce usare l'espressione "bombers", cioè attentatori, anziché terroristi». Tira dentro tutti, «destra e sinistra», nel grande equivoco che impedisce di combattere una battaglia che non è «contro l'Islam», ma «una lotta antifascista e antinazista », perché «i nazifascisti islamici usano la guerra a ebrei e crociati come mosca cocchiera dei loro disegni, proprio come faceva Hitler con l'antisemitismo». Difende con forza, lei che è favorevole all'ingresso della Turchia nella Ue, «l'Islam moderato, grande realtà nettamente maggioritaria nel mondo musulmano», primo protagonista, dice, della battaglia antifascista che tanti, troppi, rinunciano a vedere e a combattere. Per motivi «elettorali, ideologici», ma che «sento anche sulla mia pelle: la mia generazione, a cominciare dai giornalisti, è figlia delle università in cui ci si metteva la kefiah in testa, io per prima. Poi però ho riflettuto e, credo, capito qualcosa...». Oggi vede un'Europa che, come Francia e Olanda, reagisce «quasi sulla spinta della paura», una scelta che ritiene destinata a non produrre quasi mai effetti positivi. «Serve invece», dice, «una reale prevenzione, serve avere le idee più chiare. Bisogna iniziare a chiamare il nemico col suo nome: e a riconoscere che "pace" non è, non può essere una condizione in cui il giorno dopo un autobus può saltare per aria». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Libero. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.