L'islam tra tirannia e democrazia un saggio di Bernard Lewis
Testata: La Repubblica Data: 12 luglio 2005 Pagina: 1 Autore: Bernard Lewis Titolo: «L´Islam e la porta aperta alla democrazia»
LA REPUBBLICA di martedì 12 luglio 2005 pubblica un saggio di Bernard Lewis, ripreso da Foreign Affairs, sul rapporto tra islam e democrazia.
Lo riportiamo integralemente: --------------------------------------------------------------------------------
I MUSULMANI non sono i soli a dare importanza alla propria storia, ma le dedicano un impegno e una consapevolezza particolari. La carriera del profeta Maometto, la creazione e l´espansione della comunità e dello Stato islamico, la formulazione e l´elaborazione della santa legge dell´Islam sono eventi tramandati attraverso la memoria storica e le scritture, riferiti e discussi dagli storici fin dai primordi. Ma nel Medio Oriente islamico si assiste tuttora a dibattiti appassionati, e persino a faide cruente su fatti accaduti molti secoli fa, nonché sul loro significato e sulla loro rilevanza attuale. Questa coscienza storica ha acquisito nell´era moderna una dimensione nuova, trasformando la visione che i musulmani hanno di se stessi e del mondo, e riplasmando anche la lingua in cui se ne discute. Nel 1798 la rivoluzione francese fu portata in Egitto da una piccola forza di spedizione al comando di un giovane generale: Napoleone Bonaparte. Gli invasori conquistarono il paese senza difficoltà e lo governarono per vari anni. Il generale Bonaparte aveva annunciato con orgoglio di essere venuto in Egitto «in nome della Repubblica francese, fondata sui principi di libertà e uguaglianza»: parole che ovviamente erano state rese pubbliche anche in traduzione araba. Bonaparte aveva i suoi propri interpreti e traduttori: una precauzione che in seguito altri visitatori della regione sembrano aver trascurato. Il riferimento all´uguaglianza non ha mai suscitato particolari problemi: per gli egiziani e per i musulmani in genere era un concetto familiare. L´uguaglianza tra i credenti ha sempre costituito uno dei principi fondamentale dell´Islam fin dalla sua fondazione, nel VII secolo, in netto contrasto sia con il sistema delle caste indiane ad Est, sia con quello dell´aristocrazia privilegiata del mondo cristiano ad Ovest. L´Islam insiste molto sull´uguaglianza, e di fatto le ha dato attuazione in misura notevole. Ovviamente, le vicende della vita hanno sempre dato luogo a disuguaglianze, innanzitutto sociali ed economiche, ma a volte etniche e razziali, in palese contrasto con i principi islamici, che però e non hanno mai raggiunto i livelli del mondo occidentale. Tre sono le eccezioni previste dalla Legge santa: l´inferiorità degli schiavi, delle donne e dei non credenti. Eccezioni che tuttavia non dovrebbero sorprendere più di tanto, se si considera che per lungo tempo, nei fatti se non nei principi, persino negli Stati Uniti i maschi bianchi protestanti erano i soli ad essere «nati liberi e uguali». In base ai documenti storici sembra che in Medio Oriente, nel XIX secolo e fino all´inizio del XX, un povero di umili origini avesse maggiori probabilità di arrivare ai gradi più alti della società che in qualunque parte del mondo cristiano, compresa la Francia post-rivoluzionaria e gli Stati Uniti. Se dunque il principio dell´uguaglianza era ben chiaro a tutti, che dire invece della "libertà"? Tra gli egiziani questo concetto non ha suscitato molte perplessità. Nell´uso arabo di quel periodo e anche in seguito, la parola hurriyya - "libertà" - non aveva un significato politico. Era un termine esclusivamente giuridico, nel senso che distingueva l´uomo libero dallo schiavo. Liberazione era sinonimo di emancipazione dalla condizione di schiavitù. Tanto che a differenza di quanto avviene in Occidente, fino a poco tempo fa nel mondo islamico i termini di "schiavitù" e "libertà" non venivano mai usati come metafore di malgoverno o buon governo. Da qui una difficoltà di comprensione, superata all´inizio del XIX secolo grazie all´opera lo Sceicco Rifa´a al-Tahtawi. Questo eminente studioso egiziano aveva insegnato all´università al Azhar, che all´epoca non era stata ancora modernizzata. Nel 1826 il governo egiziano, deciso a intraprendere uno sforzo per colmare il divario con l´Occidente, aveva inviato a Parigi un primo gruppo di 44 studenti, accompagnati dallo Sceicco Rifa´a al-Tahtawi, che Aveva la missione di vegliare sulla vita spirituale degli studenti e di trattenerli da eventuali sbandamenti: un compito certo non di poco conto nella Parigi dell´epoca. Lo Sceicco rimase fino al 1831 nella capitale francese, dove evidentemente ebbe modo di apprendere molto più degli studenti affidati alla sua tutela. Scrisse infatti un libro di grande interesse, in cui espone le sue impressioni sulla Francia post-rivoluzionaria. Quest´opera, pubblicata al Cairo in arabo nel 1834, e in traduzione turca nel 1839, rimase per decenni l´unica descrizione di un paese europeo moderno alla portata dei lettori musulmani mediorientali. Lo Sceicco Rifa´a al-Tahtawi dedica un capitolo al governo della Francia, e nota l´insistenza dei francesi sul concetto di libertà. Naturalmente, di primo acchito riesce difficile anche a lui comprendere il nesso tra la politica e la condizione di chi non è schiavo. Ma poi comprende e spiega: mentre per gli occidentali il buongoverno è sinonimo di libertà e il malgoverno di schiavitù, per i musulmani questi concetti si identificano con quelli di giustizia e ingiustizia. La consapevolezza di queste diverse percezioni ha contribuito a gettare più luce sul dibattito politico iniziato nel mondo musulmano dopo il 1798, all´epoca della spedizione francese, e da allora è proseguito in una notevole varietà di forme. Lo Sceicco Tahtawi aveva sostenuto a ragione che l´ideale islamico di buongoverno corrisponde al concetto di "giustizia", espresso in arabo e nelle altre lingue dei paesi islamici con diversi termini. Il più corrente è adl, ossia «giustizia in conformità con la legge» (ove per legge s´intende la Legge di Dio, la sharia, rivelata dal Profeta Maometto). Ma qual´è il concetto opposto? Come si definisce un regime che non corrisponde ai canoni della giustizia? Per meritare la qualifica di «giusto» nel senso tradizionale delle idee e dei precetti islamici, un governante deve rispondere a due criteri: essere arrivato legittimamente al potere, ed esercitarlo rettamente. In altri termini, non può essere né un usurpatore né un tiranno. Ovviamente si può essere l´uno e non l´altro; ma l´esperienza insegna che chi conquista il potere con mezzi illeciti, di norma è anche un despota. I critici potrebbero sostenere che al di là della teoria, il mondo islamico è contrassegnato in realtà da un modello di governo arbitrario e dispotico. C´è anzi chi sostiene che i musulmani sono sempre stati così e non cambieranno mai, per cui l´Occidente non può far nulla per modificare questo stato di cose. Ma parlare così vuol dire travisare la storia. Bisogna risalire indietro nel tempo per rendersi conto di come le forme di governo del Medio Oriente siano arrivate al loro stato attuale. Il cambiamento si è verificato in due fasi. La prima inizia con l´incursione di Bonaparte, e prosegue nel XIX e nel XX secolo, quando i detentori del potere degli Stati mediorientali, dolorosamente consapevoli del divario che li separava dal mondo moderno, tentano di intraprendere un processo di modernizzazione, a incominciare dalle forme di governo. Ma queste trasformazioni non sono promosse a livello del governo imperiale, dove prevale la cautela e il conservatorismo, bensì dai capi locali - i sultani della Turchia, i pascià e i khedives dell´Egitto, gli scià della Persia - con le migliori intenzioni, ma con risultati disastrosi. Modernizzare significa introdurre sistemi occidentali nel modo di comunicare, di governare e di fare la guerra, e l´inevitabile adozione degli strumenti di dominio e repressione. L´autorità statale aumenta drasticamente con l´adozione di metodi sempre più efficienti di controllo, sorveglianza e applicazione delle leggi. In tal modo, verso la fine del XX secolo i leader di stati minuscoli o di pseudo-stati dispongono di poteri infinitamente maggiori di quelli dei potenti sultani o califfi di un tempo. Ma la modernizzazione porta a un risultato fors´anche peggiore: l´abrogazione dei poteri sociali intermedi - quelli dei possidenti delle aree rurali, dei mercanti delle città, dei capi tribali e di altri che nell´ordine tradizionale avevano posto limiti effettivi all´autorità statale. Questi poteri intermedi sono stato gradualmente indeboliti e infine quasi sempre eliminati. Così, mentre da un lato aumentava la forza e il carattere pervasivo dello Stato, dall´altro venivano meno le limitazioni e i controlli. Il secondo stadio della trasformazione politica del Medio Oriente ha inizio a una data precisa. Nel 1940 il governo francese si arrende alla Germania nazista. Si forma un nuovo governo collaborazionista, con sede nella località termale di Vichy, mentre a Londra il generale de Gaulle costituisce il Comitato della Francia libera. L´impero francese è fuori dalla portata dei tedeschi: i governatori delle colonie e dei mandati francesi sono liberi di decidere se aderire a Vichy o schierarsi con de Gaulle; ma in maggioranza optano per il governo di Vichy. Si schierano da quella parte anche i responsabili del mandato francese di Siria e Libano, nel cuore dell´Oriente arabo. Quei territori si aprono dunque senza riserve ai nazisti, che vi stabiliscono la principale base della loro propaganda e attività nel mondo arabo. In quel periodo vengono posti i fondamenti ideologici di quello che diventerà il partito Baath: un partito che ha adattato le idee e i metodi nazisti al contesto mediorientale. L´ideologia del nuovo partito pone l´accento sul panarabismo, sul nazionalismo e su una forma di socialismo. Ufficialmente, il partito viene fondato nell´aprile 1947, ma vari documenti dell´epoca (memoriali e altre fonti) dimostrano che i suoi inizi risalgono al periodo nazista. Prendendo le mosse dalla Siria, i tedeschi e i precursori del Baath istituiscono un regime filo-nazista anche in Iraq, sotto la guida del famigerato Rashid Ali al-Gailani. Il regime di Rashid Ali in Iraq è rovesciato dai britannici, dopo una breve campagna militare, nel maggio-giugno 1941. Rashid Ali ripara a Berlino, dove trascorre l´ultimo periodo della guerra in qualità di ospite di Hitler, insieme al suo amico Haj Amin al-Husseini, muftì di Gerusalemme. Quindi le forze britanniche e quelle della Francia libera conquistano la Siria, che passa sotto il controllo gollista. Negli anni che seguono la seconda guerra mondiale, britannici e francesi si ritirano, e dopo un breve intervallo subentrano al loro posto i sovietici. I leader del partito Baath non hanno trovato particolari difficoltà a passare dal modello nazista a quello comunista: bastavano alcuni piccoli aggiustamenti. Non si trattava di un partito nel senso occidentale del termine, cioè di un´organizzazione costituita per conquistare voti e vincere alle elezioni, bensì in quello nazista, o comunista: il partito come parte integrante del potere di governo, specializzato nei campi dell´indottrinamento, della sorveglianza e della repressione. Sia il partito Baath siriano che quello, separato e distinto, dell´Iraq, hanno continuato a svolgere le loro funzioni secondo questo schema. Fin dal 1940 e anche in seguito, dopo l´arrivo del sovietici, il Medio Oriente ha essenzialmente importato modelli di governo europei: fascisti, nazisti e comunisti. Ma chi sostiene che la dittatura sia da tempo immemorabile una prassi consolidata in questa parte del mondo afferma semplicemente il falso. E dimostra ignoranza del passato del mondo arabo, disprezzo per il suo presente e indifferenza verso il suo futuro. Regimi come quello di Saddam Hussein, o altri governi dispotici del mondo musulmano, corrispondono a un modello moderno, adottato di recente e del tutto estraneo ai fondamenti della civiltà islamica e alle sue tradizioni. Esistono in Medio Oriente regole e tradizioni antiche, sulle cui basi quei popoli possono costruire il loro futuro. Ovviamente gli ostacoli allo sviluppo di istituzioni democratiche in Medio Oriente sono molti: il primo e più evidente è il modello di governo autocratico e dispotico che prevale oggi in quella parte del mondo. Si tratta in realtà di un fenomeno estraneo, senza radici nel mondo arabo classico e nel passato islamico, ma che essendo sorto circa due secoli fa si è ormai cristallizzato, tanto da costituire un serio ostacolo. Ma vi sono altri elementi positivi della storia e del pensiero islamico che potrebbero favorire lo sviluppo della democrazia. In particolare, nel mondo musulmano di oggi si sta riaffermando l´idea di un governo consensuale, fondato su un contratto, e con poteri limitati. Il tradizionale rifiuto del dispotismo, dell´istibad, è sentito oggi con rinnovata forza ed urgenza. Se l´Europa ha avuto la responsabilità di propagare il modello dittatoriale, d´altra parte ha diffuso un´ideologia contrapposta: quella della rivolta popolare contro i dittatori. La condanna del dispotismo - tema familiare tanto negli scritti tradizionali quanto, in misura crescente, anche in quelli moderni – ha già oggi un impatto potente. Sono in atto anche altre influenze positive, che a volte assumono forme sorprendenti. Lo sviluppo forse più importante è dato dai moderni mezzi di comunicazione. La stampa scritta, il telegrafo, la radio e la televisione hanno contribuito alla trasformazione del Medio Oriente. In un primo tempo, le tecnologie della comunicazione sono servite da strumento alla tirannide, ponendo nelle mani dello Stato armi di propaganda e controllo nuove e di grande efficacia. Ma questa tendenza non poteva durare all´infinito. Più recentemente, e in particolare con l´avvento di Internet, della tv satellitare e dei telefoni cellulari, la tecnologie delle comunicazioni ha incominciato a produrre effetti di natura opposta. Persino alcuni programmi televisivi sfacciatamente propagandistici che oggi infestano l´etere contribuiscono a questo processo, sia pure indirettamente e involontariamente, diffondendo menzogne tanto diverse e contraddittorie da suscitare sospetti e perplessità. Inoltre la televisione offre ai popoli del Medio Oriente con uno spettacolo mai visto prima: quello del pubblico dissenso che si manifesta in dibattiti appassionati. In alcune aree si può persino vedere la televisione israeliana, e di assistere allo spettacolo di noti personaggi pubblici che «battono i pugni sul tavolo e si danno reciprocamente sulla voce», (per usare le parole di un incredulo spettatore arabo); o anche alle sedute della Knesset, dove a volte gli arabi israeliani denunciano le iniziative e le politiche dei ministri israeliani. Lo spettacolo di una democrazia viva, vibrante e anche turbolenta, dei focosi dibattiti tra interessi conflittuali, che tuttavia si svolgono ordinatamente, senza inibizioni né costrizioni, ha certamente un impatto notevole. Al momento attuale, la questione della democrazia è forse più pertinente nel caso dell´Iraq che in qualsiasi altro Stato del Medio Oriente. In aggiunta ai fattori di carattere generale, l´Iraq presenta due caratteristiche specifiche: la prima riguarda le infrastrutture e la scuola. Tra tutti gli Stati che in questi ultimi decenni hanno potuto beneficiare delle proprie risorse petrolifere, l´Iraq è stato probabilmente – prima della dittatura di Saddam - quello che ha saputo fare il miglior uso delle sue ricchezze. Oltre a far costruire strade, ponti e altre infrastrutture, i suoi governanti avevano dotato il paese delle migliori scuole e università della regione. Tutto questo è stato devastato, come ogni altra cosa, dal governo di Saddam Hussein. Ma intanto in Iraq si era formato un ceto medio istruito, che si è comunque sforzato, anche nelle peggiori condizioni, di dare un´istruzione ai propri figli. E i risultati di questi sforzi appaiono evidenti nella popolazione irachena di oggi. L´altro vantaggio è rappresentato dalla condizione delle donne, che è di gran lunga migliore a confronto con la maggior parte degli altri paesi islamici. Non che le donne godano di maggiori «diritti» – un termine che in questo contesto non ha alcun significato; ma hanno pur sempre accesso a maggiori opportunità. Ai tempi dei predecessori di Saddam, le scuole e le università erano aperte alle ragazze, che avevano possibilità di carriera impensabili nella maggior parte del mondo musulmano. Così come in Occidente la relativa libertà delle donne ha costituito uno dei principali fattori di progresso della società nel suo complesso, in Medio Oriente il loro contributo a un futuro democratico sarà essenziale. Il rischio principale per lo sviluppo della democrazia in Iraq, e quindi anche in altri paesi arabi e musulmani, non deriva da condizioni o caratteristiche sociali intrinseche, ma dagli sforzi determinati di chi ha deciso di sbarrare la strada alla democrazia. Questi oppositori dello sviluppo democratico provengono da diverse aree del mondo musulmano e sono animati da interessi divergenti. Ma ciò nonostante, e malgrado i contrasti ideologici che li dividono, si sono alleati per perseguire del loro obiettivo comune. Uno di questi gruppi accomuna due diversi interessi direttamente colpiti o minacciati dai progressi della democrazia: la tirannia di Saddam e il potere di altri despoti della regione. Nel perseguimento dei suoi obiettivi paralleli, questo gruppo sta tentando a un tempo di restituire il potere al dittatore iracheno e di preservare quello di altri despoti. In questo senso può contare sul sostegno, quanto meno tacito, di forze esterne da parte di vari ambienti – governativi, commerciali, ideologici o di altro tipo, in Europa, in Asia e altrove - spinti a favorire il loro successo da interessi sia pratici che di natura emozionale. Il pericolo maggiore è rappresentato dai fondamentalisti islamici, per i quali la democrazia è una delle espressioni del Male incarnato dall´Occidente, sia nella forma antica del dominio imperiale che in quella moderna di penetrazione culturale. Per il Corano, Satana è «il tentatore insidioso che sussurra nel cuore degli uomini». Ai loro occhi i modernizzatori, con i loro appelli rivolti alle donne e ai giovani, colpiscono al cuore l´ordine islamico in seno allo stato, nei luoghi di insegnamento, nei mercati, nel seno stesso della famiglia. Per i fondamentalisti, non solo gli occidentali, con i loro discepoli e seguaci, impediscono all´Islam di procedere sulla via predestinata del suo trionfo finale sul mondo, ma lo minacciano nella sua stessa terra d´origine. A differenza dei riformatori, i fondamentalisti individuano i problemi del mondo musulmano non nelle sue carenze, ma in un eccesso di modernizzazione. E la democrazia è l´intrusione di estranei infedeli, che però costituisce soltanto uno degli elementi del più vasto e pernicioso piano di Satana e delle sue legioni. La reazione fondamentalista alla concezione occidentale del governo, e più ancora all´influenza sociale e culturale dell´Occidente, ha covato a lungo, radunando le forze. E ha trovato espressione in una letteratura che sta esercitando un´influenza crescente, nonché in una serie di movimenti di attivisti, il più importante dei quali è la Fratellanza Musulmana, fondata in Egitto nel 1928. L´islam politico è divenuto un fattore internazionale di rilievo dai tempi della rivoluzione iraniana, nel 1979. In Medio Oriente si è sempre fatto un grande abuso del termine «rivoluzione», per designare o giustificare i più diversi episodi di trasferimenti violenti del potere. Ma quella iraniana è stata una vera rivoluzione: un cambiamento di vasta portata, con contenuti ideologici molto significativi. Una sfida e una trasformazione di fondo della società, che ha avuto un immenso impatto su tutto il mondo islamico, tanto intellettualmente quanto moralmente e politicamente. Il regime teocratico dell´Iran è stato portato al potere da un´ondata di sostegno popolare, alimentato dal risentimento contro il vecchio regime, la sua politica e le sue alleanze. Ma da allora, il governo in carica è diventato sempre più impopolare, dato che i mullah al potere si sono dimostrati non meno corrotti e oppressivi dei governanti di altri Stati della regione. Numerosi segnali stanno ad indicare una crescente ondata di scontento in Iran. C´è ci aspira a un cambiamento radicale, sotto forma di un ritorno al passato. Altri, di gran lunga più numerosi, ripongono le loro speranze nell´avvento di una vera democrazia. Anche per questo il governo iraniano guarda con grande apprensione agli sviluppi democratici in atto in Iraq, e i suoi timori sono aggravati dal fatto che gli iracheni – come gli iraniani – sono in maggioranza sciiti. La stessa esistenza di una democrazia sciita al confine occidentale dell´Iran costituirebbe non solo una sfida, ma una minaccia mortale al regime dei mullah. Da qui i loro sforzi per contrastare questo sviluppo. Ma al momento attuale, il ruolo di maggior rilievo è quello dei fondamentalisti sunniti. Un elemento importante della guerra santa sunnita è la diffusione del wahabismo, che in alcune aree è ormai dominante. I wahabiti sono seguaci di una scuola islamica sorta a Najd, nell´Arabia centrale, nel XVIII secolo, che ha dato non poco filo da torcere ai governanti del mondo musulmano dell´epoca, ma è stato infine arginato e represso. E´ però ricomparso nel XX secolo, e ha acquistato una nuova importanza quando la famiglia di capi tribali Saud si è convertita al wahabismo, e dopo aver conquistato le città sante della Mecca e della Medica ha instaurato la monarchia saudita. Questi eventi hanno portato alla convergenza di due fattori di primaria importanza: innanzitutto, i Sauditi wahabiti governano oggi le città sante, e il controllo dei pellegrinaggi annuali dei musulmani conferisce loro un immenso prestigio e una grandissima influenza sul mondo islamico. Inoltre dispongono delle immense ricchezze dovute alla scoperta e allo sfruttamento dei pozzi petroliferi. Quella che altrimenti sarebbe rimasta una frangia estremista in un paese marginale ha quindi oggi un impatto a livello mondiale. Ma le forze alimentate e coltivate a lungo, prima di essere scatenate, minacciano oramai la stessa monarchia saudita. Il primo grande trionfo dei fondamentalisti sunniti è stato il tracollo dell´Unione Sovietica, che consideravano – non senza qualche buona ragione - come un loro successo. Ai loro occhi, la sconfitta dell´Unione Sovietica non era l´esito della guerra fredda condotta dall´Occidente, bensì una vittoria della Jihad islamica dei guerriglieri afgani. Osama bin Laden e i suoi sostengono di aver distrutto una delle maggiori super-potenze infedeli – la più difficile da battere e la più pericolosa. E pensano che sarà assai più facile battere gli americani, degenerati e troppo abituati alle comodità. Quanto agli Usa, spesso hanno fatto vacillare questo convincimento con le parole e coi fatti, ma in molti casi lo hanno invece rafforzato. In una competizione elettorale realmente libera, i fondamentalisti avrebbero sui riformisti e sui moderati una serie di vantaggi. Innanzitutto, il loro linguaggio ha un suono più familiare alle orecchie dei musulmani. I partiti democratici promuovono un´ideologia e usano termini generalmente estranei all´uomo della strada musulmano; mentre i fondamentalisti evocano valori radicati e si servono di un linguaggio ben noto, sia per attaccare l´ordine secolare e autoritario esistente che per proporre un´alternativa. Inoltre, per diffondere il loro messaggio i fondamentalisti hanno a disposizione una rete di contatti e comunicazioni di straordinaria efficacia: quella degli incontri nelle moschee e dei sermoni dal pulpito. Nessuno dei partiti secolari può avere accesso a uno strumento paragonabile a questo. Inoltre, i rivoluzionari religiosi e gli stessi terroristi riescono a conquistare appoggi grazie ai loro sforzi, non di rado autentici, per alleviare le sofferenze della gente comune: un impegno che appare spesso in netto contrasto con l´incallita indifferenza e l´avidità dimostrata dalle forze più influenti in Medio Oriente, e degli attuali detentori del potere. Visto l´esempio della rivoluzione iraniana, si è indotti a pensare che una volta al potere, questi militanti religiosi non si dimostrerebbero migliori dei loro predecessori, e rischiano anzi di rivelarsi addirittura peggiori Ma nel frattempo sono favoriti dalla percezione della popolazione, che ripone in loro le sue speranze. Va infine citato un fattore che è forse il più importante di tutti: in nome dei principi che sostengono, i partiti democratici sono tenuti a lasciare piena libertà d´azione ai fondamentalisti. Ma questi ultimi non sono soggetti agli stessi vincoli, e una volta al potere si riterranno probabilmente investiti della missione di reprimere i sediziosi e gli infedeli. Ma al di là di queste difficoltà non mancano i segni di speranza, soprattutto alla luce delle elezioni generali irachene del gennaio scorso. Milioni di iracheni si sono recati alle urne, hanno atteso in fila il loro turno e hanno votato, consapevoli di rischiare la vita in ogni momento. E´ stato un risultato di grande portata, il cui impatto è già visibile nel mondo arabo e negli stati vicini. Ma se la democrazia araba ha vinto una battaglia, non ha ancora vinto la guerra. E deve tuttora far fronte a molti pericoli, che provengono non solo da nemici spietati e risoluti, ma anche dagli stessi amici, spesso esitanti e inaffidabili. Ma è stata una grossa battaglia; e le elezioni irachene si riveleranno forse un punto di svolta nella storia del Medio Oriente, non meno importante dell´arrivo in Egitto, due secoli fa, del generale Bonaparte e della rivoluzione francese. La creazione di un ordine politico e sociale democratico, in Iraq o altrove in Medio Oriente, non sarà cosa facile. Ma è possibile. Ed è già incominciata, come molti segnali dimostrano ogni giorno di più. Al momento attuale, i principali rischi che minacciano la stabilizzazione della democrazia in Iraq sono due: il primo è che non funzioni – un timore che molti hanno espresso negli Stati Uniti, e che in Europa è quasi un dogma. L´altro timore, che gli ambienti del potere mediorientale avvertono con preoccupazione molto maggiore, è che al contrario funzioni. Evidentemente, una società realmente libera in Iraq costituirebbe una minaccia mortale per molti governi della regione, alcuni dei quali sono considerati ostili da Washington, mentre altri passano per alleati degli Usa. La fine della seconda guerra mondiale ha aperto alle ex potenze dell´asse la strada della democrazia. La fine della guerra fredda ha offerto a molti degli ex stati sovietici un primo spazio di libertà, avviando una dinamica in senso democratico. Con molta tenacia e pazienza, alla fine sarà forse possibile portare giustizia e libertà ai popoli a lungo tormentati del Medio Oriente. Traduzione di Elisabetta Horvat - Copyright 2005 Foreign Affairs Magazine
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