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Il Foglio Rassegna Stampa
12.07.2005 Siamo in guerra, non in pace
intervista a Vittorio Dan Segre sulla minaccia terroristica

Testata: Il Foglio
Data: 12 luglio 2005
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «L'ebreo e la guerra Dan Segre, 57 anni di guerra al terrorismo e il muro di Gerusalemme»
IL FOGLIO di martedì 12 luglio 2005 pubblica in prima e quarta pagina un'intervista di Giulio Meotti a Vittorio Dan Segre, che riportiamo:
Roma. I moderni, loro sì avevano il dono
delle parole giuste. Jean de la Fontaine,
nelle sue "Fables", scriveva: "Sbranati tutti.
Non scampò nessuno. Che sia fatta guerra
ai malvagi. Lo so anch’io quanto la pace
è buona, ma non vale con un nemico che
non ha morale". Vorrebbe suonare la sveglia
Vittorio Dan Segre: "Dobbiamo difenderci
avendo coscienza che siamo in guerra,
non più in pace". Ma sa che per l’Europa
è un richiamo caricato a salve. Al Foglio
spiega che "l’Europa si illude che la soluzione
di problemi locali influenzerà la stabilità
generale, mentre americani e israeliani
credono nella trasformazione dei sistemi
autoritari e terroristici e nell’adozione
della democrazia in medio oriente".
Emigrato in Palestina nel 1939, Segre ha
combattuto durante la guerra d’indipendenza
per porre fine alla caccia gratuita all’ebreo.
E’ un realista di ferro senza schermi
ideologici, ha tempra e dignità
della sfida politica e culturale.
Diplomatico israeliano
fino al 1967, per vent’anni si
è dedicato all’insegnamento
accademico, ad Haifa sul pensiero
ebraico, poi Oxford, il Mit
di Boston e Stanford. Nel 1997
ha creato a Lugano l’Istituto di studi
mediterranei.
"L’attacco terrorista non è stato
rivolto a un solo paese, l’Inghilterra,
ma a tutta la civiltà occidentale,
la cui laicità e democrazia
l’islam aggressivo non può
accettare. Dargli in pasto qualcuno,
in questo caso il solo paese democratico
del medio oriente,
Israele, è una forma di
vigliaccheria politica già
sperimentata in passato".
Si riferisce allo stato d’animo
di Monaco, 1938. "Si ripete
lo scontro al Parlamento
britannico, Chamberlain disse
di aver portato la pace da Hitler e Churchill
gli rispose che avevano perso l’onore
senza salvare l’Europa. Siamo di nuovo qui,
a far pagare a qualcuno il prezzo della
mancanza di coraggio europea. Zapatero è
stata una tendenza a ballare sull’orlo del
vulcano. Ma l’attacco di Londra ci fa ribellare
a quest’apatia, mentre l’Inghilterra assume
la direzione dell’Unione europea".
Il ministro israeliano Matan Vilnai ha
detto: "Ci siamo noi, e ora c’è tutto il mondo
libero". E parlando al Jerusalem Post,
un diplomatico israeliano ha aggiunto: "La
minaccia alla Gran Bretagna viene dal suo
interno, non da fuori. Blair cerca solo di
ammansire i suoi estremisti musulmani dicendo:
‘Non siete voi, è il conflitto mediorientale’".
Per Segre Tony Blair non ha certo
la stessa mancanza di coraggio di Chamberlain,
"ma vive in un mondo che non vuole
riconoscere la gravità della minaccia terrorista
che si è sviluppata al nostro interno.
Il problema è nella società europea libera
e permissiva, pacifica e arrendista. Ogni attacco
terrorista ha gioco facile sull’appeasement,
che è una posizione soprattutto morale,
un guadagnare tempo pacificando un
nemico che non è pacificabile. Come Hitler,
l’islamismo armato mette in gioco la natura
stessa della società democratica e liberale.
Lo scontro è su questo, non sulla Gibilterra
israeliana", è sul pericolo di una fine che
l’etnologo Jean Servier chiamava "da cavallette,
da topi di montagna".

"Il primo scopo del terrorismo islamico
è di abbattere gli stati ‘traditori’ islamici,
Egitto, Giordania e Arabia Saudita. E di
condizionare l’occidente con l’aiuto di dio
e delle armi. In una crociata talmente larga,
Israele ha un qualche significato? Aggiungiamo
che non esiste alcuna identità
europea da contrapporre al nemico. O forse
sì, scorre su due binari, antiamericanismo
e antisemitismo". Due anni dopo l’11
settembre, a Die Zeit un tedesco su cinque
disse che dietro le Twin Towers c’era lo
zampino americano. Per Segre Israele un
ruolo ce l’ha contro il terrorismo islamico,
incarna addirittura ciò che Venezia, testa
di ponte dell’occidente, rappresentava contro
gli ottomani. La Venezia di Matteo Bragadin,
quando nel 1571 l’ignavia dell’Europa
e l’alleanza eterna fra la Francia e il sultano
aprirono le porte alla marcia islamica
su Vienna. Ma, avverte Segre, Israele non
farà la fine di Bragadin, spellato vivo dai
turchi, orecchie e naso tagliati via di netto.
"Non riconosciamo il nostro nemico, senza
fondamenta storico-militari nello Stato
territoriale definito a Westfalia a metà del
Seicento. Nasce il problema del diritto alla
guerra preventiva. L’Europa crede nel negoziato,
che ci siano terroristi buoni e cattivi
e che il denaro faccia la differenza. Vede
la stabilità in medio oriente come una
necessità funzionale ai suoi interessi. Gli
americani che credevano nello status quo
su base dittatoriale hanno cambiato posizione
e capito che i regimi vanno cambiati.
Tipico è il discorso della Rice in Egitto.
Una cosa sono le elezioni a Teheran, un’altra
la libertà di voto nella libertà. Gli europei
non vedono e continuano a credere nel
politically correct", incapaci come sono di
prendere sul serio gli slogan dei musulmani
europei ai tempi della fatwa contro Rushdie:
"Islam, la nostra religione oggi, la vostra
domani".
"La democrazia europea
non reagisce perché non sa concepirsi
in guerra. La sensazione di essere attaccati
è così labile che non la si vede – continua
Segre – Ma se non c’è questa coscienza,
non si comprende perché l’occidente debba
rinunciare alle comodità e alle sicurezze
che sono sempre state la gloria della democrazia.
Per questo l’Inghilterra dovrà in
parte trasformare il garantismo. Abusiamo
del concetto di diritto umano". Dopo Londra
qualcosa però sta cambiando, senza essere
troppo ottimisti. "Manca ancora la volontà
di pagare un prezzo per la sicurezza,
ma c’è un legame, non ancora miracoloso
ma almeno storico, fra il tipico sentimento
di autodistruzione e sfasciamento dell’Europa
e l’emergere di un nemico comune,
apparso a Londra, Madrid e New York, domani
altrove. Non è una battaglia di Orazi
e Curiazi, ma un fronte di difesa dell’occidente.
L’Europa ama la pace e la sicurezza.
Napoleone diceva che ‘i francesi non amano
la libertà, amano la sicurezza’. Vale per
tutti. In Germania se ne fregano. Uno dei
grandi ideali europei è andare in vacanza.
In Francia c’è un best seller, ‘Benvenuta pigrizia’,
che è un inno a fregare la competitività.
E’ un esempio dell’infiacchimento di
un’Europa che non produce più, stanca vetrina
della denatalità e dell’ozio, dell’innalzamento
dell’età fertile della donna e di un
rifugiarsi nelle leggi anziché nella concorrenza.
Peguy diceva: ‘La civiltà muore’ ".
"L’islam è medievale. L’Europa, dopo il
Rinascimento, distrusse un terzo della sua
popolazione coprendo il suolo di sangue.
Perché gli europei si stupiscono per questa
fase preilluministica di una grande civiltà
come quella islamica?". Segre è un ebreo
profondamente religioso, ma non vuole
sentir parlare di tradizione giudaico-cristiana:
"Hanno un ceppo comune, ma sono
concorrenziali, anche se oggi hanno lo stesso
nemico, il radicalismo laicista e forme di
riduzionismo fortissime. Lo ha detto chiaramente
Joseph Ratzinger, c’è una tendenza
al relativismo che dà all’individualismo
enorme giustificazione e legittimità alla richiesta
dei diritti. Ma mai nessun peso ai
doveri".
Da Israele arriva la notizia che a Gerusalemme
55.000 palestinesi saranno tagliati
fuori dalla Città vecchia a causa della costruzione
di una barriera di sicurezza. "L’estensione
delle frontiere di Gerusalemme
dopo la guerra dei Sei Giorni ha fatto sì che
200.000 palestinesi restassero all’interno
del territorio israeliano. Hanno ricevuto
vantaggi superiori enormi rispetto agli altri
palestinesi. Quest’ultima decisione di Sharon
è dettata dalla paura demografica di
avere una massa di palestinesi che cambierebbe
gli equilibri politici. Il problema resta
quello del riconoscimento delle frontiere
di Israele e di Gerusalemme. La costruzione
del muro di difesa è giustificabile
perché fa diminuire il terrorismo. In futuro
però diventerà insostenibile. E’ uno dei rospi
del 1967 che causa decisioni che lasciano
una ferita che non può essere risolta con
tecniche murarie o accordi funzionali. Ma
chi pone un accordo su Gerusalemme come
condizione preliminare vuole mandare all’aria
ogni accordo. Gerusalemme non è la
corona della pace".
Quando Segre ha combattuto nel 1948
con Israele aveva la sensazione di una totale
sicurezza nella più completa insicurezza.
Propose al comando dell’aviazione di formare
un’unità aviotrasportata. "Mi dissero
di aspettare ad allargare i confini perché i
paracadutisti sarebbero finiti fuori dalle linee
amiche. C’era una sicurezza di vittoria
che non aveva riscontro oggettivo nella
realtà. Ma era tutto sostenuto da una volontà
enorme. Israele ha dato ai suoi cittadini
la comprensione che quando si ha un’idea
chiara di quello che si vuole si riesce a
creare qualcosa di nuovo". Ariel Sharon sa
che una guerra civile non si concluderà
mai con una pace. Per questo spinge per il
ritiro. "Ma con Hamas non ci sarà accordo.
Il panarabismo di Nasser aveva le stesse
premesse di Hamas, oggi non c’è più. All’Onu,
con la sua scarpa, Kruscev urlò che il
bolscevismo avrebbe distrutto il capitalismo
e l’America. E dov’è finito? Hamas finirà
perché mai nella storia il terrorismo
ha realizzato gli scopi politici che si è prefisso,
crea solo le condizioni politiche perché
qualcun altro ne approfitti".
Il ritiro da Gaza è assolutamente coerente
con la riduzione delle linee del fronte di
combattimento. Su cui Segre non si fa illusioni:
"Continuerà dopo agosto, non ho dubbi.
Gaza non è l’apripista di un processo di
pace. Non si può trattare con un nemico che
stabilisce come base la distruzione dell’avversario.
Si accorciano le linee, costose e indifendibili,
per creare le stesse condizioni
della vittoria israeliana nel 1948. Dipende
dal raggiungimento degli scopi strategici
della guerra e la vittoria è legata a una sensazione
psicologica, non al territorio. Il primo
scopo di Israele oggi non è la pace, ma
la sicurezza. Per i palestinesi se lo scopo
strategico, come dice Hamas, è la fine di
Israele, hanno perso la guerra in partenza".
Molti coloni che verranno evacuati da Gaza
erano già stati spostati da Yamit, sul Sinai.
"Sono state evacuate molte persone anche
da Londra durante i bombardamenti e
questo non ha piegato l’Inghilterra. Così avverrà
per i coloni. Il loro ritiro lascia libero
l’esercito di agire". E quelli che accusano
Sharon di tradimento? "Quando iniziarono a costruire le colonie, capii subito che stavano
combattendo una guerra precedente a
quella in corso. Si sentono traditi in funzione
dell’ideale del ‘Grande Israele’ che era
un sogno impossibile fin dall’inizio. Per difendere
il diritto dei figli dei coloni di andare
a prendere lezioni di ballo bisogna mobilitare
una brigata di riservisti. Le colonie si
basano su un principio di scambio tra terra
e pace oggi del tutto fallito. Ha funzionato
con Egitto e Giordania. Mentre le comunità
della Cisgiordania verranno inglobate come
estensioni delle città già esistenti". Dopo il
1967 Israele ha tre alternative: grande, non
ebraico e democratico; grande, ebraico e
non democratico; piccolo, ebraico e democratico.
Solo l’ultima è una soluzione possibile.
In mezzo secolo lo Stato ebraico è passato
da 500 mila a 7 milioni di abitanti. Cento
anni fa solo un centinaio di persone in
tutto il mondo parlavano jewish. Oggi 8 milioni,
il doppio del numero degli inglesi che
parlava inglese al tempo di Shakespeare.
Effetto del miracolo sionista.
Indispensabile sarà l’asimmetria fra
Israele e Stati Uniti. "Ci sono interessi economici
e militari, i depositi in Israele di armi
americane e la capacità di coordinazione
tecnica altissima. Ma soprattutto le loro
grandi tradizioni democratiche". La percentuale
di americani a favore di Israele è
pari a quella dei non americani a favore
dei palestinesi. "Israele, per il fatto di combattere
con le spalle al muro e di difendere
la propria sopravvivenza, è un grande
esempio per ogni paese in lotta col terrorismo
islamista". Il profeta Ezechiele disse
che nell’epoca messianica i morti avrebbero
ritrovato i loro corpi e nei morti sarebbe
stato soffiato un afflato divino. Per questo,
spiega Segre, l’epopea sionista è stata una
"rinascita di morti nella carne".
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