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La Stampa Rassegna Stampa
09.07.2005 Forse finirà la tolleranza inglese verso il terrorismo
L'analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 09 luglio 2005
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «In Moschea»
Pubblichiamo l'analisi di Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi 9-7-2005, nel quale viene descritta molto chiaramente la tolleranza delle autorità inglesi verso il terrorismo islamico.

Ecco l'articolo:

«Chi ha alzato troppo la voce e detto cose che possono essere state interpretate male è chiamato a rivedere i propri atteggiamenti». Abdulkarim Khalil, direttore del centro islamico Al-Manaar, sceglie queste parole per far capire ai fedeli del venerdì che dopo gli attacchi terroristici del 7 luglio a Londra nulla sarà più come prima. Chi è inginocchiato sui tappeti della moschea di Acklam Road, un edificio di pochi piani stretto fra un parcheggio e la ferrovia, non ha molti dubbi sul fatto che il riferimento è alla tolleranza assoluta finora avuta dal governo nei confronti di alcuni fra i leader e gruppi islamici più estremisti.
Anche nella moschea di Finsbury Park, roccaforte degli integralisti a due passi dallo stadio dell’Arsenal, si fa sentire l’impatto degli oltre cinquanta morti e l’imam dice al microfono: «Chiunque ha commesso tali crimini deve essere catturato e punito, uccidere civili è terribile».
Fino ad ora Londra è stata non solo la città europea più accogliente per i musulmani - ha il maggior numero di moschee dopo Istanbul - ma anche quella che ha garantito rifugio a personaggi come Abu Hamza al-Masri, sotto processo per incitamento al terrorismo dal pulpito di Finsbury Park, ed il siriano Omar Bakri Mohammed, a piede libero pur avendo nel marzo del 2004 preannunciato come «inevitabile» un attacco a Londra da parte di un «gruppo ben organizzato di giovani musulmani che si chiamano Al Qaeda in Europa» ovvero una sigla molto simile all’unica che finora ha rivendicato gli attacchi.
La tolleranza nei confronti degli fondamentalisti si è spinta fino alla stretta di mano nel 2004 fra il sindaco Ken Livingstone e Yusuf al-Qaradawi, sostenitore degli attacchi kamikaze, senza parlare dei numerosi leader di gruppi come Jihad islamica ed Ansar di cui da anni Egitto ed Algeria chiedono inutilmente l’estradizione. Fra i pochi ad essere stati arrestati c’è Abu Qatada, i cui sermoni furono trovati nell’appartmento di Amburgo usato dai kamikaze dell’11 settembre, ma si tratta di eccezioni perché «fino ad ora aveva tenuto il tacito patto di non aggressione - spiega Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo dell’"Investigative project" - fra il governo e gli integralisti».
«Londra non interveniva sugli estremisti perché le loro attività erano rivolte contro i governi nei Paesi d’origine - aggiunge Mahaan Abadin, direttore di "Terrorism Monitor" - ma ora tutto è destinato a cambiare».
Sono gli imam delle moschee i primi a far capire che questa intesa mai scritta sembra destinata a finire nel cestino e di questo si è parlato sui tappeti di Regent’s Park, dove i pareri erano molto discordi. «Gli inglesi ci toglieranno la libertà come già avviene per i nostri fratelli in America e tutto questo per nulla - sono le parole di un sessantenne originario delle isole di Mauritius con una barba che definisce "da fratello di Bin Laden" - perché nessuno sa chi ha commesso in realtà questi attacchi, l’unica cosa che sappiamo è che quando crollarono le Torri Gemelle fra le vittime non si è trovato neanche un ebreo...»
Teorie cospiratorie e pregiudizi antisemiti sono l’altra faccia delle denunce sulle «ingiustizie del mondo» che un trentenne oppositore di Gheddafi, elenca addebitandole all’America ed ai suoi alleati: «Palestina, Iraq, Afghanistan, Cecenia, Kashmir». «Come possiamo credere a Bush e Blair quando parlano di democrazia in Iraq - si chiede - se poi non si curano dei musulmani oppressi nel resto mondo?» Nella libreria di Regent’s Park per due sterline si può acquistare «Jihad in the Qur'an & Sunnah» ovvero 47 pagine di commenti su parabole come quella di Khalid bin Walid che guidò i fedeli alla vittoria contro un soverchiante numero di romani. Il «capo dei Romani» è descritto nel libello in lingua inglese come il nemico giurato dei mojaheddin ed è difficile non identificarlo con uno dei leader dell’Occidente dei nostri tempi. Il commesso assicura che il pamphlet «si vende bene» ma poco distante un quarantenne vestito all’occidentale ed arrivato per mano al figlio non potrebbe essere più lontano dalla Jihad: «Sono venuto a pregare come ogni venerdì, siamo musulmani e britannici, i killer hanno ferito noi come tutti gli altri cittadini».
Imbarazzo ed incertezza hanno portato molti a disertare le preghiere del venerdì. «Donne con il chador sono state insultate e i naziskin hanno imbrattato di scritte offensive alcune moschee - racconta Hamza, trentottenne di Tangeri, mentre entra ad Acklam Road - e tutto ciò per colpa di estremisti che uccidendo civili dissacrano il Corano». S’è saputo in serata che nelle ultime ventiquattro ore vi sono stati almeno settanta episodi antimusulmani, il più grave dei quali è stato il lancio di una bottigli incendiaria contro una moschea a Leeds. «Ciò che non capisco - aggiunge Hamza - è come sia possibile colpire coloro con cui viviamo fianco a fianco, se provano così tanto odio questi estremisti se ne vadano in Arabia Saudita».
Attorno a lui la sparuta processione di uomini vestiti con jalabieh bianche e donne a capo coperto entra nella moschea di Al-Manaar attraversando un imponente schieramento di agenti, simile a quelli che circondano Finsbury Park e Regent’s Park. I fedeli di Al-Maanar sono noti per essere moderati quanto quelli di Finsbury integralisti mentre Regent’s Park è il maggiore luogo islamico cittadino. Per le differenti anime dell’Islam britannico - due milioni di fedeli pari al 4 per cento della popolazione - il giorno seguente agli attacchi sembra segnato dalle lacerazioni che una madre pakistana ha confessato alla radio: «Mia figlia ha sette anni e mi ha detto che non vuole più essere musulmana, non so cosa dirle».

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