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Il Manifesto Rassegna Stampa
07.07.2005 Guadagnare consenso con le stragi: è la politica criminale di Hamas
lo scrive il quotidiano comunista, e lo giudica normale

Testata: Il Manifesto
Data: 07 luglio 2005
Pagina: 11
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Hamas resta fuori dal governo, per contare di più»
IL MANIFESTO di giovedì 7 luglio 2005 pubblica un articolo di Michele Giorgio sul rifiuto di Hamas di entrare nel governo palestinese.
Giorgio descrive la strategia del gruppo terroristico alla stregua di quella di un qualsiasi partito politico, e arriva a scrivere "Hamas inoltre non intende disarmare «Ezzedin Al-Qassam», il suo braccio armato che, con attentati e azioni armate, ha conquistato un enorme consenso tra i palestinesi durante l'intifada, assicurando allo stesso tempo alla leadership politica prestigio e influenza nelle vicende interne palestinesi": nessun commento su una strategia politica che prevede l'organizzazione di stragi per assicurarsi "un enorme consenso", né un brivido di fronte all'evidente patologia di una società nella quale i "politici" crescono in popolarità a misura del numero delle loro vittime.

Il terrorismo anti-israeliano è "normalizzato", accettato, non attraverso un’ esplicita dichiarazione di sostegno, ma attraverso l'uso di un linguaggio sterilizzato e fintamente oggettivo, così diverso da quello indignato e ideologico che Giorgio usa per descrivere e deprecare i comportamenti di Israele.

Ecco il testo:

Il premier palestinese Abu Ala continuerà a tenere aperto il dialogo nonostante il secco no di Hamas alla partecipazione ad un governo di unità nazionale e le dichiarazioni di fuoco rilasciate dal leader del movimento islamico Mahmud Jahar contro l'Anp e l'ipotesi di disarmo dei gruppi armati dell'Intifada. Lo ha detto ieri alla radio Voce della Palestina Samir Huleileh, direttore dell'ufficio del primo ministro. È tuttavia un atteggiamento simbolico perché Hamas difficilmente muterà la sua posizione. Ieri ben pochi si attendevano risultati concreti all'incontro a Damasco tra il presidente Abu Mazen e Khaled Mashaal, suprema guida politica del movimento islamico. A dire la parola fine all'idea di un governo di unità nazionale peraltro è stato proprio uno degli esponenti più moderati di Hamas, lo sceicco Hassan Yusef, che si è detto convinto che «il dialogo tra palestinesi proseguirà anche se le forze islamiche non faranno parte dell'esecutivo dell'Anp». Parole che non hanno lasciato dubbi sulla volontà di Hamas di tenersi a distanza dal governo, almeno per il momento. E i motivi che hanno ispirato questa linea sono tanti. Il rifiuto dell'Anp, nata dagli accordi di Oslo (mai riconosciuti dall'opposizione palestinese), è solo quello più noto. Hamas, in questo momento, non intende lasciarsi coinvolgere in quella fase delicata nota ormai a tutti come «disimpegno israeliano», ovvero l'evacuazione (a partire dalla metà di agosto) delle colonie e delle basi militari israeliane nella Striscia di Gaza, in linea con il piano approvato nei mesi scorsi dal premier Ariel Sharon. «Entrare in un governo che si è detto pronto a garantire la sicurezza di Israele nei giorni in cui coloni e soldati lasceranno Gaza, significherebbe avallare di fatto il ruolo dell'Anp, il piano Sharon e, in definitiva, una forma di collaborazione politica e di sicurezza tra israeliani e palestinesi. Ciò è troppo per Hamas che «non dimentichiamolo, almeno ufficialmente non riconosce Israele», ha spiegato il politologo di Gaza, Ghaji Hamad, precisando che Hamas non ha alcuna intenzione di offrire garanzie a Sharon.

Hamas inoltre non intende disarmare «Ezzedin Al-Qassam», il suo braccio armato che, con attentati e azioni armate, ha conquistato un enorme consenso tra i palestinesi durante l'intifada, assicurando allo stesso tempo alla leadership politica prestigio e influenza nelle vicende interne palestinesi. Lo hanno affermato martedì con estrema chiarezza il portavoce di Hamas a Gaza, Mushir Masri, e, soprattutto, Mahmud Zahar che ha puntato l'indice contro l'Anp intenzionata, a suo avviso, ad adottare in futuro una politica repressiva contro l'opposizione islamica, allo scopo di soddisfare Stati uniti e Israele. Soprattutto Hamas non vuole entrare in un esecutivo visto dalla stragrande maggioranza dei palestinesi come «corrotto» e pertanto non idoneo ad amministrare Cisgiordania e Gaza. «La leadership islamica ha puntato gran parte della sua strategia sulla lotta alla corruzione ai vertici dell'Anp e un suo eventuale ingresso nel governo apparirebbe alla popolazione come un tradimento.

Sarebbe un passo controproducente in vista delle elezioni legislative» che si terranno, con ogni probabilità, all'inizio del 2006, ha spiegato Ghaji Hamad. Sulla posizione di Zahar e degli altri leader ha influito comunque anche il netto rifiuto opposto al governo di unità nazionale da Jihad islami, l'altro gruppo musulmano, che sta cercando di conquistare consensi tra i palestinesi giocando proprio sulla svolta moderata di Hamas. Il rifiuto delle opposizioni islamiche di entrare nell'esecutivo dell'Anp potrebbe peraltro aver segnato la sorte di Abu Ala, già da tempo in rotta di collisione con Abu Mazen. La sua sostituzione sarebbe stata discussa dal presidente palestinese da Faruk Qaddumi, il segretario generale di Al-Fatah, durante il loro incontro di una settimana fa ad Amman.
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