Tutti terroristi, nessun terrorista: Sergio Romano confonde le acque questa volta sul presidente iraniano Ahmadinejad
Testata:Corriere della Sera Autore: Sergio Romano Titolo: «Elezioni iraniane: quando i«terroristi »vanno al potere»
IL CORRIERE DELLA SERA pubblica a pagina 43 una lettera a Sergio Romano nella quale un lettore si chiede se, visto lo scandalo degli americani per l'elezione a presidente dell'Iran di Ahmadinejad, che partecipò al sequestro dei diplomatici americani a Teheran, gli inglesi non avrebbero dovuto scandalizzarsi ancora di puù quando premier di Israele divenne Menachem Begin, responsabile dell'attentato al King David Hotel?
Invece di segnalare al lettore le differenze tra i due fatti (il King David Hotel era la sede del comando britannico durante la guerra di liberazione di Israele, nel 79 l'Iran non era certo occupata dagli Stati Uniti e i diplomatici non erano militari, Ahmadinejad è tuttora un nemico giurato degli Stati Uniti, mentre Begin non era certo un nemico del Regno Unito quando divenne primo ministro di Israele. Va poi ricordato dell'attacco al King David Hotel venne dato un preavviso )Romano produce un lungo elenco di uomini di stato che avevano iniziato la loro carriera come cospiratori e terroriristi. Si va da Franceso Crispi a Yasser Arafat, da Sandro Pertini ad Adolf Hitler. Senza mai prendere in considerazione la natura dei rispettivi progetti politici, nè la diversa disponibilità a scegliere come obiettivi civili innocenti. Romano è anzi esplicito nel sostenere la relatività di simili considerazioni, conclude infatti così la sua risposta:"le ricorderò, caro Cremonini, che Francesco Crispi, quando un giovane collaboratore lo interrogò sulle cospirazioni di cui era stato protagonista, rispose bruscamente che quelle congiure avevano fatto l'Italia. È probabile che ciascuna delle persone da me citate avrebbe detto grosso modo la stessa cosa". Da parte nostra ci permettiamo di continuare a credere che tra "fare l'Italia", o fondare Israele, e "fare la Repubblica islamica di Iran", stato dedito al progetto di risolvere il problema sionista attraverso il genocidio atomico, ci sia una differenza molto chiara, che rende irrilevanti, prima ancora che inaccettabili e fuorvianti, certi paragoni.
Segnaliamo anche, infine, il modo molto prudente con il quale Romano fa riferimento all'Olp, organizzazione sempre "considerata" dagli israeliani terrorista. Non è detto che lo fosse, sembra suggerire l'ex ambasciatore. Nonostante le innumerevoli stragi di cui si è macchiata?
Ecco il testo: Ma se l'opinione pubblica americana si sente offesa dall'elezione di un uomo che forse ha partecipato al sequestro dei 52 ostaggi dell'ambasciata di Teheran nel 1979, che cosa avrebbero dovuto pensare i britannici quando videro arrivare come primo ministro di Israele Begin che aveva certamente organizzato la strage di centinaia di loro concittadini (fra cui anche civili)? Non sarebbe il caso di essere un po' più realisti e, piuttosto che concentrarsi su chi è stato eletto, concentrarsi sul come è stato eletto, su quanto siano state democratiche le elezioni che si sono appena svolte? marcomasimedicina@tin.it
Caro Cremonini, dopo avere letto la sua lettera, ho cercato di fare mentalmente la lista degli uomini politici che sono stati accusati di terrorismo o cospirazione, sono stati processati o incarcerati e hanno finalmente fatto il loro ingresso nei palazzi dove avevano lavorato e vissuto, sino a qualche tempo prima, i loro nemici e persecutori. Sono certo di averne dimenticati parecchi. Ecco, comunque, qualche nome. Comincerei da Napoleone III, imperatore dei francesi e nipote del grande Bonaparte. A Roma, nel 1830, divenne carbonaro e collaborò ad alcuni complotti falliti. Un anno dopo partecipò al movimento insurrezionale nelle Romagne. Clandestino in Francia, tentò due colpi di mano contro la monarchia di Luigi Filippo, fu condannato all'ergastolo dopo il secondo e venne incarcerato nella fortezza di Ham da cui fuggì nel 1846. Ma queste vicende non gli impedirono di salire trionfalmente al trono imperiale nel dicembre del 1852. Il massacro del teatro dell'Opera nel gennaio del 1858, quando Felice Orsini attentò alla sua vita, fu per certi aspetti una vendetta carbonara, un «atto di giustizia» contro il fratello che aveva tradito il giuramento iniziatico della società segreta. La bomba con cui Orsini cercò di uccidere l'imperatore era una palla di ferro piena di polvere nera e ricoperta di cappellotti. Quando lasciò Londra per la Sicilia nel 1859, Francesco Crispi ne aveva un modello in creta, nascosto fra i bagagli. Lo mostrò e ne insegnò l'uso ai patrioti di Messina, Catania, Siracusa e Palermo per l'insurrezione che sarebbe dovuta scoppiare il 4 ottobre, onomastico di Francesco II. Quello non fu, tuttavia, il primo episodio potenzialmente terroristico nella vita di un uomo che sarebbe diventato presidente della Camera, ministro dell'Interno e presidente del Consiglio. Durante il suo soggiorno a Parigi, fra il 1856 e il 1858, andò nel quartiere della Bastiglia, per incarico di Mazzini, a scovare un operaio che conosceva bene i sotterranei di NotreDame e si era detto capace di far saltare in aria la cattedrale durante il battesimo del principe imperiale. Andiamo avanti di circa cinquant'anni. Dopo il fallimento della rivoluzione russa del 1905 il partito socialdemocratico perdette un gran numero di membri, fu privato dei sostegni finanziari che gli erano giunti negli anni precedenti e dovette subire la repressione poliziesca del governo Stolypin. Per rimpinguare le casse dell'organizzazione , Lenin, contro la volontà dei menscevichi e di Plechanov, sostenne che occorreva lasciar fare alle squadre di combattimento, particolarmente esperte negli assalti alle banche. Nella sua biografia di Stalin, Isaac Deutscher scrive che fra il 1905 e il 1908 furono segnalati nel Caucaso 1150 atti di terrorismo. Qualche anno dopo, nel 1911, le porte di un carcere italiano si richiusero su due pericolosi agitatori che avevano violentemente protestato contro la guerra di Libia e che avrebbero occupato alte cariche nel governo del loro Paese. Si chiamavano Benito Mussolini e Pietro Nenni. La lista, dopo la fine della Grande guerra, si allunga: Adolf Hitler passò tredici mesi in prigione per il putsch fallito del 1923; Sandro Pertini fu condannato nel 1925, nel 1926 e nel 1929; Jozip Broz, meglio noto come Tito, fu ospite per sei anni delle prigioni jugoslave; Ante Pavelic, leader degli ustascia croati e regista dell'assassinio di Alessandro I a Marsiglia, fu condannato a morte in contumacia nel 1934, ma divenne Poglavnik di Croazia dopo lo smembramento della Jugoslavia nel 1941. Vuole che continui? Dovrei ricordare Menachem Begin, leader dell'organizzazione che fece saltare in aria un'ala del King David Hotel di Gerusalemme nel luglio del 1946; Yasser Arafat, che gli israeliani considerarono sempre un terrorista e che divenne, ciononostante, presidente dell'Entità autonoma palestinese; Jerry Adams, oggi leader del Sinn Fein al Parlamento dell'Ulster, ma in passato, secondo una sua recente biografia, membro attivo dell'esercito clandestino irlandese. So di avere messo insieme uomini politici di qualità e origini alquanto diversi. So che fra Sandro Pertini e Ante Pavelic vi sono fondamentali differenze e che non tutti ebbero il crisma di un mandato democratico. Ma le ricorderò, caro Cremonini, che Francesco Crispi, quando un giovane collaboratore lo interrogò sulle cospirazioni di cui era stato protagonista, rispose bruscamente che quelle congiure avevano fatto l'Italia. È probabile che ciascuna delle persone da me citate avrebbe detto grosso modo la stessa cosa. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.