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Il Foglio Rassegna Stampa
02.07.2005 Ritratto privato di Ariel Sharon
la testimonianza di uno dei migliori amici del premier israeliano in un articolo di Anna Barducci

Testata: Il Foglio
Data: 02 luglio 2005
Pagina: 1
Autore: Anna Barducci
Titolo: «Vita provata di un bulldozer»
A pagina 1 dell'inserto, IL FOGLIO di sabato 2 luglio 2005 pubblica un articolo di Anna Barducci, un ritratto di Ariel Sharon basato sulla testimonianza del giornalista Uri Dan, uno dei suoi migliori amici.

Ecco il testo:

Un uomo allegro, spiritoso e con un lato introverso. Alto e grosso, cammina arrancando, ma deciso. I capelli bianchi, ben pettinati. Ha raccontato più volte, scherzando, di capire più di grano e di olivi che di politica. Lo si accusa, lo si offende e raramente lo si difende. Nel 2003 il quotidiano britannico, The Independent, ha pubblicato una vignetta di Dave Brown, dove Ariel Sharon era un divoratore di bambini. E a poco è servito il suo gesto coraggioso e tormentato: decidere il ritiro unilaterale da Gaza, andando contro una parte del proprio elettorato e dividendo il suo stesso partito. Proprio quando la sua popolarità dovrebbe essere grande, in Europa Sharon è, quasi a prescindere dai fatti, identificato come il cattivo di un film western, se non peggio. Orgoglioso e militante, malinconico e sentimentale, odiato e sbeffeggiato. Nessuno descrive il carattere menshlesh (umano, in yiddish) di Sharon, un uomo che ha deciso di provare a cambiare la storia del suo paese a un caro e doloroso prezzo, non soltanto emotivo. Continuano a chiamarlo "assassino", "boia", a considerarlo "il responsabile di Sabra e Chatila". Eppure fu sottoposto a indagine da parte della Commissione governativa israeliana per la strage del 1982 fatta dalle milizie maronite nel campo profughi palestinese in Libano e decise poi di dimettersi dalla carica di ministro della Difesa, dopo essere stato giudicato indirettamente responsabile per non essere riuscito a evitare l’accaduto. Nel 2000, è stato invece accusato di aver provocato lo scoppio della seconda Intifada, con la sua passeggiata sul Monte del Tempio. Un pretesto utilizzato dai gruppi armati palestinesi e dall’ex rais Yasser Arafat, come racconta il laburista Shlomo Ben Ami, all’epoca ministro degli Esteri, nel suo libro "Quale futuro per Israele?". Ma chi è davvero Ariel Sharon? Nella sua autobiografia, "The warrior" (sì, "Il guerriero", perché fino a oggi – come ricorda lo stesso premier – questo è stato
il ruolo di ogni israeliano per difendere lo stretto fazzoletto di terra, anche senza necessariamente combattere) appare come un uomo che ha lottato sia nell’esercito sia in politica, commettendo
talvolta errori da lui stesso riconosciuti, per assicurare al popolo ebraico, dopo millenni di diaspora, una patria che non fosse minacciata da nemici esterni. Arriva quindi, a un certo punto, la decisione di ritirarsi da Gaza e successivamente la scelta di dare il controllo di vari centri urbani in Cisgiordania. Per il premier, si tratta di un’interna lacerazione: ogni luogo della Palestina è un tassello della lunga storia ebraica, dunque della sua. "Dobbiamo trovare la radice che ci unisce e portare a termine le nostre azioni con saggezza e responsabilità, per permetterci di vivere in una nazione matura e con esperienza – ha detto Sharon in un discorso alla Knesset nel 2004 sul piano di ritiro – Vi chiedo di appoggiarmi". Sharon nasce il 27 febbraio del 1928 da padre polacco-tedesco e da madre russa, nel villaggio di Kfar Malal, sotto mandato britannico. E’ un sabra (un fico d’India, in ebraico), uno nato in Israele, e come il frutto è pungente all’esterno e dolce all’interno: un romantico – dicono gli amici – che però non lascia trasparire le sue emozioni. Prima di cambiare
sotto le armi il proprio cognome ashkenazita con quello ebraico "Sharon" (come la valle in cui è nato), si chiamava Scheinermann. Nello Stato ebraico, però, lo conoscono tutti come "Arik". Uri Dan, giornalista israeliano, è uno fra i migliori amici di Sharon. Suo consigliere personale, conosce il premier da più di cinquantacinque anni e racconta al Foglio lo Sharon privato. Arik si sposa negli anni 50 con Margalith, di cui era molto innamorato, e con la quale ha il primo figlio, Gur. La moglie muore in un incidente d’auto nel 1962 sulla via da Gerusalemme a Tel Aviv. "Allora non c’era ancora una strada diretta a unire le due città – spiega Uri – Era prima della guerra dei Sei
giorni, c’erano piccole strettoie non asfaltate, e così Margalith ci lasciò". Soltanto qualche anno dopo, Sharon perde anche il figlio di soli undici anni, ucciso accidentalmente da una pallottola.
Quando nel 2002 una bambina è uccisa a Hebron – ricorda Arik in un’intervista rilasciata ad Ari Shavit per il quotidiano Ha’aretz, "a livello personale, per me è stato molto difficile. Ho visto le immagini del padre che prendeva la figlia fra le braccia e ho pensato a uno dei momenti più duri della mia vita: quando un bambino di tredici anni ha sparato alla testa di mio figlio più grande. L’ho trasportato anch’io fra le mie braccia e me ne stavo lì, senza sapere bene che cosa fare, sul ciglio della strada, cercando un passaggio per portarlo all’ospedale più vicino, e vedevo mio figlio morire senza essere capace di salvarlo". Poi Sharon si risposa, per la seconda volta, con Lily, l’amore più importante della sua vita, morta di cancro nel 2000, e sorella minore di Margalith, dalla
quale ha avuto Omri e Gilad. Adesso la famiglia, per il premier, sono solo i suoi figli. Gilad è stato accusato di essere coinvolto in uno scandalo di corruzione e Omri, membro della Knesset, in uno politico. In entrambi i casi, le indagini sono ancora in corso. "Senza Omri non sarei dove sono adesso. Già qualche anno fa, mi ha detto che, se volevo entrare in politica, non dovevo vedere le cose in bianco e nero. Da questo punto di vista, ha una grande influenza su di me. E’ dotato
di grande intelligenza e della capacità di capire le persone – ha detto Ariel a Shavit – Gilad è fragile e magro, ma duro come una roccia. Omri è grosso e cresciuto troppo, ma farebbe 200 chilometri
per fotografare un fiore nel Negev. Senza dubbio, ha avuto su di me un effetto calmante e mi ha addolcito". L’adolescenza di Sharon è trascorsa in un moshav agricolo, una cooperativa, a nord di Tel Aviv. In privato il premier a volte racconta la propria infanzia a Kfar Malal. Con il ricordo della clinica, dov’era nato e da dove "la sua famiglia era stata ostracizzata". Una situazione in cui si ritroverà a essere per il resto della sua vita. Il padre era un agronomo dal carattere burbero e la madre aveva studiato medicina, senza però completare la propria istruzione. La famiglia apparteneva al Mapai, il partito socialista- sionista di David Ben Gurion. A cinque anni Ariel si rompe il mento e, a causa dei rapporti poco felici con gli abitanti della cooperativa, il piccolo Sharon corre con la madre per due miglia, sanguinante, per raggiungere la clinica del più vicino moshav. La sua vita intera, sin da allora, è scandita dallo scorrere del conflitto nella regione. Sharon ricorda ancora quando, all’età di nove anni, si sedeva in cucina e leggeva a sua madre sul giornale
le cronache dei disordini del 1937: nell’autunno di quell’anno scoppia infatti la rivolta palestinese. Oggi invece, nel tempo libero, legge racconti sulla storia del popolo ebraico e storie di guerre illustri. L’ultimo libro sul comodino è un testo sulla battaglia di Stalingrado. All’età di 14 anni è già arruolato nel Palmach, unità d’élite dell’Haganah, e a soli vent’anni comanda la fanteria della brigata Alexandroni nella guerra d’Indipendenza. Il suo battaglione perde 54 uomini. Ma Arik non si demoralizza. Le sue capacità di soldato e la sua reputazione d’eroe di guerra crescono quando
fonda nel 1953 un’unità speciale dell’esercito, la "101". Con un pugno di uomini riesce a cambiare la sicurezza interna, che si sta a poco a poco deteriorando. Costituisce il primo commando militare
moderno della storia del paese, da cui nasceranno anche le unità dei paracadutisti. Nonostante Israele fosse uscito vittorioso dalla guerra d’Indipendenza, negli anni 50 i "fedayin" quasi raggiungono Tel Aviv, assalendo e uccidendo civili israeliani. I suoi migliori amici, molti di loro morti, appartengono a quella che fu la leggendaria unità 101. Poi, arriva la guerra lampo dei Sei
giorni e la vittoria d’Israele. Ariel è ormai considerato da tutti un eroe. A quei tempi abitava a Tel Aviv e aveva portato Gur in Samaria e Giudea per fargli vedere le antiche terre ancestrali del popolo ebraico, leggendogli le Sacre scritture, con la Torah in mano, e dicendo che quelle zolle non sarebbero mai state cedute. "Era all’apice della sua popolarità ed era il generale più importante del paese. Lily accudiva i figli e Gur stava crescendo assieme a Omri e a Gilad – dice Uri – Ma proprio nel momento di maggiore felicità, Gur muore. Nessuno sapeva come Ariel avrebbe potuto continuare a vivere. Era disperato. Aveva già subito un duro colpo, con la scomparsa di Margalith. E adesso il suo primo figlio non c’era più. Lo amava molto. Lo chiamava tutte le sere per dargli la buona notte, per raccontargli storie, per parlargli. Anche quando era in missione di guerra, faceva di tutto per tornare a casa e trascorrere del tempo con lui. Ancora oggi non è riuscito a superare il dolore. Ariel è una persona che cerca di non far vedere i propri sentimenti e le proprie debolezze,
ma la sofferenza è lì, e chi lo conosce lo sa. Tutti gli anni per Rosh Hashana (il capodanno ebraico), si reca al cimitero a pregare per Margalith, Gur e Lily". Dopo la guerra di Yom Kippur del ’73
– come il premier stesso ammetterà anni dopo – Arik è deluso per non avere ricevuto dal proprio governo il credito sperato dopo aver portato l’esercito dello Stato ebraico alla vittoria, attraversando
il Canale di Suez, violando anche un ordine e litigando col ministro della Difesa Moshe Dayan. Sharon è sempre stato un innovativo e uno stratega. Lo chiamano il "bulldozer", per la determinazione. Mentre tutti stavano pensando alla difesa, a quel punto della guerra, Arik aveva capito di dover passare all’attacco, per non lasciare il tempo al nemico di penetrare in Israele.
"Non perde mai la calma – dice Uri – me lo ricordo in quei giorni di tensione: eravamo accerchiati, ma lui era concentrato e riusciva sempre a mantenere la situazione sotto controllo. E’ l’uomo che riesce a rendere possibile l’impossibile". Sharon, infatti, si contraddistingue per la capacità di parlare in maniera diplomatica, né una parola di troppo né una di meno. Non si lascia mai sfuggire una frase fuori luogo, nemmeno contro gli avversari politici, se non è voluta. Uno stile asciutto, militaresco. Quando s’infuria, non si capisce dalle parole che usa, rimane composto, senza
alzare troppo i toni, ma dai suoi occhi è evidente lo stato d’animo. Nelle conferenze e nella vita privata, ama fare battute, racconta barzellette e ricollega situazioni ad aneddoti divertenti. Se si arrabbia, al limite arriva a dire: "Qui c’è qualcuno che non ha rispettato i patti". Allude, ma attacca solo con lo sguardo. Nel ’73, nasce il partito "Likud" e Sharon è fra i suoi fondatori. Quando il
presidente egiziano, Anwar Sadat, firma la pace con Israele, Ariel è ministro dell’Agricoltura. Il premier Menachem Begin chiede a Sharon il suo appoggio per il disimpegno del settlement Yamit
nel Sinai, lui risponde che sarà al suo fianco senza esitare, per il raggiungimento della pace. Negli anni 80, poi, continua la costruzione degli insediamenti iniziata dai laburisti dopo la guerra dei Sei giorni, costruendo in Giudea e Samaria (Cisgiordania). In quei giorni, è considerato dai likudnik come il padre dei settlement. Nel 2000, un anno prima di diventare primo ministro, Lily muore di cancro, dopo una lunga convalescenza. "Mi chiamò al telefono per darmi la notizia. Era a pezzi. Credo fosse un venerdì, durante la visita del Papa in Israele. Ariel passava le notti in ospedale e lei lo incoraggiava ad andare avanti". Lily era una pittrice, amava il design e Ariel si è fatto contagiare: adesso è un appassionato di arte moderna. Un giorno, prima che sua moglie morisse, il suo ranch Sycamore nel Negev andò a fuoco e molti suoi acquisti artistici andarono perduti. La tomba della moglie è nel compound del ranch, lui le rende sempre omaggio. Oggi ci sono invece soltanto voci di
corridoio e gossip sulla sua vita sentimentale. Nulla di certo, probabilmente semplici amicizie. Per esempio, è stato visto con Michal Modai all’Opera di Tel Aviv. Lei è bellissima, da giovane è stata
Miss Israele, ora è presidente dell’Organizzazione internazionale delle donne sioniste. E’ la vedova di Ytzhak Modai, membro del Likud, che nella guerra di Latrun nel ’48 salvò la vita a Sharon, ferito, portandoselo sulle spalle. Nel 2003, Sharon è riconfermato premier, sconfiggendo il laburista Amram Mizna, che come primo punto del suo programma aveva proprio il piano di ritiro. Arik a quei tempi diceva: "Gli insediamenti a Gaza hanno un’importanza sionista. Per Kfar Darom, non vedo alcuna ragione perché i suoi abitanti debbano evacuare. Netzarim è vitale". I mitnachalim (i settler), che lo avevano votato, adesso si sentono delusi, come se fossero stati traditi dal loro padre.
Che cosa è successo? Che cosa è cambiato? Le parole che possono spiegare lo stato d’animo di Sharon, la sua decisione netta e il suo cambiamento d’opinione, con la rinuncia ai suoi stessi
principi, sono quelle di Yehoshafat Harkabi, politico e stratega militare. "Quello che è rilevante è la morale, la razionalità". Nel 2004, Sharon scrive al presidente americano, George W. Bush: "Il mio piano creerà una nuova e migliore realtà per lo Stato d’Israele, e ha anche la potenzialità di apportare le giuste condizioni per ricominciare i negoziati con i palestinesi. Credo che il ritiro
sia l’unica via per portare la pace e la sicurezza in medio oriente". Sharon, quando è a casa, ascolta musica classica. C’è ancora la collezione di dischi raccolta in una teca del ranch da sua moglie. Da piccolo studiava violino. Fino a qualche tempo fa, aveva un posto fisso alla Filarmonica di Tel Aviv. Dicono che si commuova, ascoltando le vecchie canzoni israeliane. E’ ordinato. Veste
semplice. Non gli importa di essere elegante. Quando Lily era in vita, si occupava lei del suo look. A casa si toglie semplicemente la giacca. Guarda la televisione e ama i film di James Bond, oltre
ai documentari storici. Prima di diventare premier navigava spesso su Internet, guardava informazioni sul tempo, sull’agricoltura e panorami in giro per il mondo, adesso ha poco tempo.
Ha un leggero tic all’occhio, imitato dai comici, così come la sua divertente e riconoscibile risata, c’è chi la definisce old-fashioned. Il suo inglese ha un forte accento israeliano, con la "reish"
(erre ebraica) forte e chiara, ma non si sforza di cambiarlo. Parla russo. Alcuni dicono non troppo bene, ma quando è venuto a Gerusalemme il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, che
padroneggia la lingua, gli ha fatto i complimenti. Arik mangia frutti di mare e della "kasherut", le regole alimentari del Pentateuco, gli importa poco. Questo però non compromette il suo sentire
profondamente ebraico. Il suo piatto preferito rimane la "shnitzel", cotoletta di pollo alla milanese, con la mostarda, accompagnata da legumi al vapore. Nei momenti più difficili ritrova la forza nel suo ranch. Appena può lascia la sua residenza a Gerusalemme per ritirarsi nel Negev e passare lì la notte. Va a letto molto tardi, di solito verso le due: fa tante telefonate. Si sveglia verso le sei del mattino e si rigenera passeggiando per i campi. Adesso, però, è meno libero di spostarsi, a causa delle minacce di morte nei suoi confronti. La sua foto preferita ritrae lui nella sua stalla con una pecora sulle spalle. La terra, la famiglia e la fattoria sono i suoi punti di riferimento. "Ariel è al
contempo un contadino, un generale e uno statista". Durante varie crisi economiche, Sharon ha aiutato finanziariamente il movimento dei kibbutzim, ideologicamente lontani da lui. Il modello
della cooperativa e l’agricoltura lo riconducono al suo attaccamento per il moshav, dov’è nato, e ai primi halutzim pionieri) che venivano in Israele senza niente. In politica, molti lo demonizzano.
"Delle cose che sono state scritte e dette molte sono bugie. Mi sentivo preso in giro. Non volevo reagire. Lily diceva che riuscivo ad assorbire le cose con un superpotere". Gli amici spiegano che
l’Ariel privato è "menshlesh": sempre disponibile ad aiutare gli altri nel momento del bisogno. Quando Uri da ragazzo ha avuto problemi amorosi, Sharon era lì per dargli i consigli. "Non conosco un altro uomo, che abbia partecipato e abbia avuto un ruolo chiave in ogni passaggio della storia d’Israele. Ariel ha saputo affrontare tutte le fasi più difficili della sua vita: la sua storia personale, la morte dei suoi migliori amici in battaglia, gli attacchi pubblici – dice Uri – Per capire chi è Sharon bisogna leggere il Libro del profeta Iyov (Giobbe) e la poesia ‘Se’ di Rudyard Kipling". Iyov era un benestante, definito l’uomo più grandioso e retto di quei tempi. Un giorno perde la sua famiglia e tutti i suoi averi, ma mantiene la propria integrità: verrà così ricompensato con maggiori ricchezze. Kipling scrive: "Se, calunniato, non perderai tempo con le calunnie, o se, odiato, non ti farai prendere dall’odio (…). Se riuscirai a riempire l’attimo inesorabile e a dar valore a ognuno dei suoi
sessanta secondi, il mondo sarà tuo allora, con quanto contiene, e – quel che più conta – tu sarai un Uomo, ragazzo mio!". "Im (se, in ebraico), im, im – ripete Uri Dan – se alla fine, quando tutto è
distrutto, hai la forza di ricominciare dall’inizio, allora sì, sei un uomo".
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