Il ritiro da Gaza non porterà alla guerra civile israeliana Emanuele Ottolenghi spiega perchè
Testata: Il Foglio Data: 02 luglio 2005 Pagina: 2 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Perché chi tifa per una guerra civile in Israele sarà deluso»
IL FOGLIO di sabato 2 luglio 2005 pubblica a pagina 2 un' analisi di Emanuele Ottolenghi sullo "stato dell'arte (reale) del ritiro da Gaza", al di là delle previsioni catastrofiche, spesso compiaciute, che prevalgono aui quotidiani italiani.
Ecco il testo: Londra. Il piano di disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza comporterà inevitabilmente dei traumi: sia per i circa 9 mila coloni che dovranno lasciare le loro case l’esistenza di decenni in cui successivi governi di destra e sinistra li incoraggiavano restare, sia per il paese che starà a guardare, col fiato sospeso, nel timore che la violenza fratricida si aggiunga alla possibile violenza palestinese che accompagnerà il ritiro da metà agosto in poi. Per anni la comunità internazionale ha auspicato il disimpegno israeliano dai territori e il concomitante smantellamento degli insediamenti. Ora, di fronte a un primo parziale ritiro, le tensioni che lo accompagneranno mostreranno nei fatti quanto tutto ciò sarà difficile. Occorre tuttavia offrire il pieno sostegno al premier israeliano, Ariel Sharon. Non è possibile credere che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace e criticare il premier quando egli decide, dopo anni di tentennamenti, di imporre un’inversione a u" della politica israeliana sui settlements, ordinandone un primo parziale smantellamento. Ritirarsi significa evacuare, interrompere bruscamente l’esistenza di comunità che, al di là del giudizio politico che se ne fa, si trovano a Gaza da oltre trent’anni. Lo spettacolo non sarà grazioso, ma per chi crede che la pace passi per un ritiro israeliano da almeno parte dei territori – e questo include gli insediamenti – il disimpegno da Gaza, anche quando si attua trascinando forza civili inermi da case e asili, va sostenuto. Tali scene continueranno a esserci tra l’altro, proprio perché gli oppositori più determinati al ritiro sperano di suscitare emozioni forti, che mettano pressione sui leader. Hanno esaurito ogni arma politica. Ai settler rimane solamente quella mediatica per sperare di ostacolare il piano. L’opposizione al disimpegno è ben organizzata e molto motivata, anche perché il ritiro da Gaza, per loro, rappresenta un tradimento e un abbandono dell’ideologia della Grande Israele, un precedente che potrà in futuro essere applicato ad altre zone dei territori, in Cisgiordania, e una mossa azzardata che mette a rischio la sicurezza del paese senza alcuna tangibile contropartita. Chi spera di vedere un livello di violenza che rasenta la guerra civile però si sbaglia. Trauma sì, qualche tafferuglio pure, atti di disobbedienza civile con tutta probabilità (ce ne sono già stati), e forse qualche gesto drammatico e spettacolare, come avvenne nel 1982 durante l’evacuazione del Sinai, quando gli oppositori più irriducibili s’incatenarono alle case per fermare i bulldozer. Anche questa volta è probabile che si verifichino simili azioni. Occorre però notare che finora le forme d’ostruzionismo e di protesta, per quanto isteriche, sono limitate a pochi. La maggioranza dei coloni di Gaza ha accettato, seppur a malincuore, il verdetto del ritiro e sta negoziando col governo i termini pecuniari e operativi dell’evacuazione. In attesa del 15 agosto, la maggior parte dei coloni continua pacificamente la propria esistenza e ha condannato duramente le azioni violente di pochi facinorosi, inclusa la presa dell’albergo a Gush Khatif e il tentativo di linciaggio di un giovane palestinese di un villaggio vicino. L’esercito, intervenuto giovedì per evacuare a forza gli abusivi, ha ottenuto l’approvazione di tutte le forze politiche, compresi i gruppi che rappresentano i settler: pochi, a parte gli estremisti, sono disposti ad approvare il ricorso alla violenza e ancor meno intendono, viste le esperienze a volte tragiche e traumatiche che il paese ha vissuto in passato in simili circostanze, incitare alla rivolta contro una decisione politica che, per quanto controversa e carica di incertezze, è stata approvata a larga maggioranza in Parlamento e gode di un forte e robusto appoggio nei sondaggi d’opinione. L’opposizione dura e violenta è per ora marginale ed emarginata. Né è da prevedere che quando arriverà il momento di evacuare l’esercito troverà forte resistenza tra i diretti interessati. E’ vero invece che l’opposizione dei settler, per quanto ci sia stata e continui a essere espressa nei dibattiti pubblici e politici, ha seguito finora in maniera rigorosa i canali istituzionali: dimostrazioni e manifestazioni pacifiche, ricorse alla Corte suprema, petizioni sui giornali e azioni non-violente. I casi di gesti estremi e vandalici sono attribuibili a pochi estremisti fanatici e sono stati condannati anche da chi crede che il ritiro sia una tragedia. E comunque finora si sono limitati a danni alla proprietà. Bastano pochi estremisti per innescare una spirale di violenza al momento del ritiro e non è da escludere che un simile tentativo ci sarà. Ma la responsabilità mostrata dalla leadership dei settler e dalla destra moderata e l’accortezza dei mezzi utilizzati dall’esercito indicano che chi si aspetta uno spettacolo cruento, quest’estate, rimarrà deluso. Non sarà certo in Israele la guerricciola civile, che accompagnerà e seguirà il piano di ritiro da Gaza. 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