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Il Foglio Rassegna Stampa
01.07.2005 Ahmadinejad, il vero volto del regime iraniano
toglie all'Europa i suoi alibi

Testata: Il Foglio
Data: 01 luglio 2005
Pagina: 1
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: «L'Iran ora mostra il suo vero volto e l'Europa ha meno scuse e alibi»
A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO di venerdì 1 luglio 2005 pubblica un'analisi di Emanuele Ottolenghi sull'Iran.

Ecco il testo:

Il nuovo presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad
è il vero volto del regime che è
stato eletto a rappresentare. La sua elezione
è quindi una salutare svolta nei rapporti tra
Iran e occidente: non ci sono più scuse dietro
alle quali nascondersi e pretendere che
con l’Iran il dialogo sia possibile. Da due anni
ormai l’Iran gioca con l’Europa sulla questione
delle sue ambizioni nucleari e della
minaccia che esse pongono all’occidente, come
il gatto gioca con il topo. L’illusione di
Mohammad Khatami, un presidente "riformista"
e ritenuto "moderato" lascia ora il
posto alla realtà di Ahmadinejad, l’autentica
espressione della rivoluzione iraniana.
Ahmedinejad combina populismo e radicalismo,
estremismo e nazionalismo in un
colpo solo. E’ stato maldestramente caratterizzato
come un laico solo perché, a differenza
di chi lo precede, non emerge dal clero
sciita. Ma Ahmadinejad è laico soltanto nel
senso di non essere clero. Il suo zelo religioso
non dovrebbe comunque lasciar dubbi.
Contrariamente ai suoi due predecessori,
Khatami e Hashemi Rafsanjani, Ahmadinejad
non pretende infatti di presentarsi come
il volto rispettabile, modernizzatore e
moderato della Repubblica islamica. Il suo
pedigree non lascia spazio al dubbio. Ahmadinejad
ha cominciato la sua carriera organizzando
e partecipando alla presa degli
ostaggi americani poco dopo la rivoluzione
iraniana, nel 1979. Come ricorda il
Wall Street Journal di martedì, il neopresidente
da allora ha collezionato una lunga lista
di rimarchevoli successi nel suo curriculum
da estremista. Prima come partecipante
alla rivoluzione culturale che seguì inevitabilmente
l’ascesa al potere del totalitarismo
Khomeinista. Poi come aguzzino, quando
negli anni 80 interrogava prigionieri in
un carcere noto per la tortura e poi come
membro di un’unità delle guardie rivoluzionarie
responsabile per operazioni all’estero:
principalmente atti di terrorismo e assassinio
di dissidenti. Fervente nelle sue convinzioni,
lo ritroviamo impegnato a organizzare
negli anni 90 quegli squadroni di vigilantes
(la versione iraniana della camicia nera del
ventennio) che tanto si sono prodigati a menare
in piazza e a far sparire studenti durante
le manifestazioni anti regime del 1999. La sua lunga militanza nella Guardia rivoluzionaria
e il suo ruolo nei vigilantes gli hanno
assicurato una fedele armata di convincenti
propagandisti le cui persuasive argomentazioni
durante le elezioni hanno di sicuro
aiutato molti a scegliere "liberamente" Ahmadinejad.
I numerosi brogli riportati e la
scarsa affluenza alle urne testimoniata da
molti bloggers iraniani gli ha spianato la
strada. L’esclusione di qualsiasi serio candidato
dalle elezioni imposta dal suo protettore
e confidente, il leader supremo ayatollah
Ali Khamenei, ha fatto il resto. Altro che elezioni
libere e via iraniana alla democrazia.
Qui si tratta di una dittatura, i cui grotteschi
burattinai si sentono ormai abbastanza
forti da potersi permettere di mettere un estremista alla presidenza, carica largamente
simbolica in materia di sicurezza e politica
estera, ma comunque forte grazie alla sua
visibilità.
Il nuovo presidente ha fatto immediatamente
sapere che i negoziati con l’Europa
sulla sospensione del programma nucleare
iraniano sono inutili. Ha chiarito come l’Iran
non abbia interesse a migliorare i propri
rapporti con gli Stati Uniti, se questo
comporta determinate rinunce. E se ci sono
dubbi sulla strada che il neoeletto presidente
intende intraprendere in temi di democrazia,
diritti umani, apertura all’occidente,
libertà individuali e pari opportunità per le donne, il suo passato non lascia molto spazio
al dibattito. L’Iran è un regime totalitario.
Alla sua guida oggi non c’è più nemmeno un
personaggio come Khatami che tanti si erano
illusi rappresentasse la svolta. La vittoria
di Ahmadinejad rappresenta, per chi cerca
paralleli storici, non una primavera di Praga
fallita né tantomeno un ritorno all’Ancien
Régime, ma peggio ancora, il ritorno al fascismo
rivoluzionario delle origini della Repubblica
di Salò.
E’ importante quindi che di fronte a questa
svolta l’Europa non si ostini a percorrere
la via del dialogo a tutti i costi. Immediatamente
dopo le elezioni, il quasi "ministro
degli Esteri" europeo, Javier Solana, ha detto
che per il momento nulla cambia. Nella
sua dichiarazione del 28 giugno, Solana afferma
infatti che l’Europa rispetterà i tempi
e le procedure accordate all’Iran prima delle
elezioni. Sta bene. Ma per quale motivo illudersi?
Da anni ormai il balletto continua:
promesse, ritardi, rinvii, ma le politiche di
Teheran sono rimaste le stesse: violazione
dei diritti umani a casa, sostegno di organizzazioni
terroristiche, sovversione e proliferazione
all’estero e tentativo sistematico di
mettere a tacere i dissidenti.
Ora assurge alla presidenza un uomo che
più di ogni altro in Iran rappresenta il braccio
esecutivo di quella serie di politiche repressive
e violente che fanno del regime degli
ayatollah una minaccia alla stabilità del
medio oriente. La sua elezione è positiva
soltanto per il fatto che mostra al mondo il
vero volto del regime islamico di Teheran e
mette fine agli equivoci. E’ giusto che come
promesso l’Europa si presenti al prossimo
incontro con l’Iran con una lista di misure
atte a soddisfare le esigenze occidentali, ma
senza illudersi troppo che questa leadership,
come la precedente del resto, sia disposta
a cambiar corso. E farebbe bene l’Europa
a premunirsi anche di una lista alternativa,
di misure di sanzione e punizione
contro l’Iran da adottarsi tra breve se il governo
di Teheran si rifiutasse di conciliare,
come di sicuro farà. L’Iran ha mostrato il suo
vero volto, è tempo che l’occidente accetti la
possibilità che il dialogo, con questa leadership,
sia ormai futile.
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