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La Repubblica - Europa - Il Sole 24 Ore - L'Unità Rassegna Stampa
01.07.2005 Riflessi condizionati, catastrofismo, esagerazioni
rassegna di cronache scorrette sulle tensioni a Gaza

Testata:La Repubblica - Europa - Il Sole 24 Ore - L'Unità
Autore: Marco Ansaldo - un giornalista - Roberto Bongiorni - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Israele, Sharon blinda Gaza per frenare la rivolta dei coloni - Raid dell'esercito contro i coloni rifugiati nella fortezza del Mare - Sharon usa la forza con i coloni - Oltranzisti nel nome del regno di Giudea»
LA REPUBBLICA di venerdì 1 luglio 2005 pubblica a pagina 12 l'articolo di Marco Ansaldo "Israele, Sharon blinda Gaza per frenare la rivolta dei coloni".
"Il pugno di Sharon si abbatte sui dimostranti", esordisce Ansaldo e prosegue per alcune righe a descrivere la "spettacolare azione di forza" dell'esercito israeliano. i riflessi condizionati sono difficili da bbandonare, così che questa parte della cronaca di Ansaldo ricorda quelle che REPUBBLICA dedicava alle cronache degli scontri tra esercito israeliano e palestinesi, caratterizzate dalla sottolineatura della sproporzione tra le forze dei contendenti, dalla connotazione dell'esercito israelinao come una forza minacciosa, brutale.


I terroristi delle Brigate dei Martiri di al Aqsa sono definiti nell'articolo "militanti" o guerriglieri". Quelli di Hezbollah: "militanti sciiti". Nemmeno "militanti di Hezbollah", ma "militanti sciiti", cioè di una confessione religiosa. Proprio come si dice "cattolici militanti"...

Ecco il testo:

Il pugno di Sharon si abbatte sui dimostranti. I coloni che da qui al 17 agosto non vogliono sgomberare dagli insediamenti sono avvertiti.
Macchine pneumatiche e lunghe pertiche a scavalcare i muri sono state adoperate con successo dai militari che, nel ridotto di Gush Katif, Striscia di Gaza, hanno chiuso ieri con una spettacolare azione di forza l´ex albergo che rischiava di divenire una sentina di manifestanti anti-ritiro. La fortezza è ora trasformata in una base militare. I dimostranti, evacuati dalla palazzina a due piani, sono stati caricati a forza sugli autobus. I giornalisti cacciati. La zona, isolata con cancelli di ferro e filo spinato.
L´esercito ha disposto a tempo indeterminato anche la chiusura della Striscia, per impedire l´arrivo di nuovi militanti dell´ultradestra a tentare di dar manforte ai nazionalisti.
Ieri mattina gli abitanti di Nevé Dekalim, il più importante tra i villaggi che compongono l´arcipelago di Gush Katif, hanno avuto l´impressione di trovarsi in uno stato di guerra. «All´improvviso abbiamo visto affluire decine di autobus carichi di soldati - ha detto uno di loro, raggiunto al telefono - le jeep avevano sul cofano e sul tetto pannelli di identificazione, proprio come avviene durante le operazioni militari». È probabile che le recenti immagini televisive di giovani estremisti ebrei impegnati a infierire su un giovane palestinese nel villaggio di Muwasi, e il continuo imbarazzante confronto fra soldati e coloni, abbiano fatto scattare la decisione di Sharon di porre fine e subito al bubbone scoppiato a Gush Katif.
Una scelta delicata, che il primo ministro ha rivendicato in un´intervista al quotidiano Yedioth Ahronot. «Adotteremo ogni misura possibile per fermare le violenze - ha detto Sharon replicando a un´osservazione sui disordini e i blocchi stradali dell´altro ieri -. Quella che vediamo davanti ai nostri occhi non è una lotta sull´evacuazione da Gaza, ma una battaglia per l´immagine di Israele». Il premier ha poi lamentato l´atteggiamento passivo assunto da molti ministri, che di fronte a eventi drammatici «semplicemente tacciono. Chiunque sia in pensiero per il destino del paese deve assolutamente prendere posizione». Parole indirizzate soprattutto al numero due del Likud, Benyamin Netanyahu, che sul ritiro nutre non poche riserve.
Ma la giornata di ieri è stata caratterizzata anche da un giallo. Il falso sequestro, rivendicato dalle Brigate dei martiri di Al Aqsa, di due militari nei dintorni della città assediata di Nablus, in Cisgiordania. Un´azione che tuttavia non trovava conferme, poiché né le forze armate né le famiglie avevano denunciato la sparizione di persone.
Nella tarda mattinata ingenti reparti militari erano entrati nel centro della città cisgiordana, protetti a distanza dagli elicotteri. Forte tensione e scontri sporadici con gli abitanti avevano caratterizzato l´incursione, il cui obiettivo non era precisato. Poco dopo, la tv Al Arabiya diffondeva la notizia di due soldati uccisi dai militanti di Al Aqsa, notizia poi rettificata parlando di semplice rapimento. I guerriglieri del movimento, considerato vicino ad al Fatah, chiedevano a Gerusalemme la liberazione di tutti i detenuti palestinesi, la restituzione dei cadaveri dei militanti uccisi e l´eliminazione dei blocchi in Cisgiordania come condizioni poste per il rilascio dei due soldati.
Ma l´esercito, dopo diverse ore trascorse a controllare le proprie unità, affermava tramite un portavoce di non avere alcuna conferma delle voci riguardanti i propri uomini. La verità è che in mattinata due militari avevano sbagliato strada nei pressi di Nablus, finendo per perdersi prima di rientrare nei ranghi. La notizia, circolata confusamente, e mai confermata dalla stessa Autorità nazionale palestinese, era poi cresciuta fino ad assumere proporzioni e versioni inconsistenti alla luce dei fatti.
Intanto, non si placano le tensione a nord, nella zona delle Fattorie di Shebaa compresa fra i confini di Israele, Libano e Siria, dove l´esercito ha lanciato un attacco aereo contro i guerriglieri Hezbollah. Il raid è avvenuto, a quanto ha riferito la tv israeliana, dopo le incursioni effettuate dai militanti sciiti la notte precedente.
I riflessi condizionati giocano un brutto scherzo anche ad EUROPA. Il quotidiano della Margherita a pagina 2 descrive lo sgombero dell'hotel Maoz Yam di Neve Dekalim come "Raid dell'esercito contro i coloni rifugiati nella fortezza del Mare", come recita il titolo. Raid? L'esercito non ha fatto uso di armi. Rifugiati? I coloni non si erano "rifugiati", erano lì in seguito a una decisione politica.
Se l'esercito israeliano è cattivo, perchè compie, per definizione "raid" contro "rifugiati", i coloni, essendo israeliani, non possono essere buoni. E, soprattutto, sono violenti. "Continuano le violente proteste degli estremisti ebrei" scrive infatti EUROPA. E poi: "ieri la polizia israelina ha fatto irruzione all'hotel Maoz Yam di Nevè dekalim". Ma in quell'occasione i coloni hanno opposto allo sgombero solo una resistenza nonviolenta.

IL SOLE 24 ORE pubblica a pagina 7 un articolo di Roberto Bongiorni, dal titolo impreciso "Sharon usa la forza con i coloni" (in realtà la forza è stata usata con alcuni, non con tutti i coloni indistintamente).
Bongiorni esordisce così "Si temeva il peggio, e la situazione, oggi prelude al peggio".
Ovvero: ci aspettavamo un disastro, di fatto, non c'è stato, ma si tratta solo di aspettare. Un esempio lamapnte del sensazionalismo e della scarsa aderenza ai fatti (si preferiscono le minacce, le previsioni, i rischi) con cui un certo giornalismo affronta la vicenda del ritiro. L'articolo è poi in gran parte dedicato a delineare i motivi per cui ci si dovrebbe aspettare ilm peggio: dal calo del consenso per il ritiro (che è espresso comunque dalla maggioranza della popolazione israeliana all'affermazione di una portavoce di Gush Katif che non esclude reazioni individuali violente da parte di coloro perderanno la loro casa.

Umberto De Giovannangeli, a pagina 7 dell'UNITA dedica un articolo ("Oltranzisti nel nome del regno di Giudea") all' ultra-destra israeliana, descrivendo gruppi e correnti di opinione minoritarie come il segno di una spaccatura dell'intera società israelina, che sarebbe divisa in due fronti contrapposti e di eguale forza.

Ecco il testo:

IL SUO NOME: MOSHE FEIGLIN. Il suo obiettivo: difendere con ogni mezzo Eretz Israel, la Sacra Terra di Israele. Il suo nemico dichiarato: «Arik il traditore», al se-
colo Ariel Sharon, primo ministro di Israele. Il nostro viaggio virtuale nel mondo delle idee dell’ultradestra ebraica ha inizio con il signor Feiglin. Teorico della disobbedienza civile contro Yitzhak Rabin nel 1995 (l’anno dell’assassioni del premier laburista da parte di un giovane zelota oltranzista) e oggi membro del Comitato Centrale del Likud (dove guida una corrente ultranazionalista) Moshe Feiglin sostiene di non essere coinvolto nella organizzazione delle proteste del 2005 contro il piano di ritiro da Gaza messo a punto da Sharon, sostenuto dai laburisti di Shimon Peres, approvato dalla Knesset e appoggiato, stando agli ultimi sondaggi, dalla maggioranza degli israeliani. Resta il fatto che Moshe Feiglin è stato mostrato l’altro ieri dalla televisione commerciale mentre prega con gli organizzatori delle manifestazioni che hanno paralizzato il Paese. «La ragione fondamentale del ritiro - spiega Feiglin all’Unità - è un tentativo di separare i Figli del Signore dal Padreterno. Le colonie rappresentano il legame fra Fede e Storia. Eliminarle significa atrofizzare l’ebraismo fino a farlo tornare una religione della Diaspora, prigioniera tra le pareti di una sinagoga». «Quella che è in corso non è una lotta fra i coloni e la sinistra», spiega Feiglin, che nella «sinistra» include anche il capo del suo partito, ossia Sharon. «C’è invece una lotta fra la sinistra e la realtà, cioè l’Onnipotente».
Tra i più attivi sostenitori del Feiglin-pensiero vi sono coloro che si identificano con «I giovani delle colline», ossia con la seconda generazione del coloni della Cisgiordania. «Due popoli diversi si stanno formando in Israele», scriveva giorni fa Voce della Giudea, una delle loro pubblicazioni. Da una parte «giovani laici senza ideali, esposti al crimine e alle droghe». Dall’altra «giovani idealisti, pronti a sacrificarsi per il popolo di Israele». I primi - sostiene Voce della Giudea - non hanno futuro e «dovranno essere rieducati all’ebraismo» dato che oggi «sono solo Gentili che si esprimono in ebraico». Il loro movimento giovanile ha rivendicato la disseminazione dei chiodi e le macchie di olio sull’autostrad nella prova di forza intentata l’altro ieri. Poche ore dopo un portavavoce ufficiale di Habbad ha invece smentito che l’organizzazione fosse coinvolta in quell’episodio. Habbad comunque accusa Sharon di aver «proclamato guerra aperta contro il Santissimo, contro il Suo popolo e contro la sua Legge» quando ha ordinato un ritiro da Gaza che rischia di trasformarsi in una «minaccia esistenziale concreta» per Israele. «Sei diventato il nemico del popolo, inciti alla guerra civile» mandano adire i rabbini di Habbad al «dittatore della Fattoria dei Sicomori», alludendo al ranch del premier. «Questa iniziativa scellerata e crudele - aggiungono, riferendosi al ritiro da Gaza - non andrà in porto e segnerà la fine della tua carriera».
Avvertimenti, minacce che nessuno in Israele sottovaluta. Riflette Eli Barnavi, storico ed ex ambasciatore israeliano a Parigi: «Vi sono non uno ma due conflitti profondi in Israele: il primo sul processo di pace, il secondo sul rapporto tra l’idea religiosa e l’idea laica dello Stato. Oggi i due conflitti sono collegati, e le strutture della democrazia israeliana sono sottoposte a tensioni fortissime». Tensioni che investono e mettono a rischio le stesse basi democratiche dello Stato d’Israele. A lanciare l’allarme è Yitzhak Zamir, ex giudice della Corte Suprema israeliana: «Grandi percentuali della popolazione», avverte, «non vedono più nella democrazia un valore di importanza primaria. Parti significative della popolazione vorrebbero un leader forte, che risolva tutti i problemi. Molti sono pronti a negare i diritti degli arabi». «In particolare - sottolinea ancora il giudice Zamir - temo per la nuova generazione. Ci sono gruppi che sarebbero felici di sostituire la democrazia con altri regimi».
In questo contesto di «doppio conflitto», politico e identitario, l’approdo «pragmatico» a cui giunge Sharon con il ritiro da Gaza e lo smantellamento, per la prima volta nella storia dello Stato di Israele, di insediamenti, rappresenta anche una rivincita del sionismo sulle correnti messianiche che hanno permeato l’ideologia della destra israeliana, orientandone la politica. È una rivincita su quel messianismo radicale del quale l’ala dura del movimento dei coloni è espressione concreta e attiva, che fa dell’adesione al concetto di «Stato del popolo ebraico» il cardine della propria identità, laddove questa affermazione non solo significa soppressione dei diritti delle minoranze etnico-religiose, ma soprattutto constatazione dell’assoluta prevalenza dei princìpi di ordine religioso su quelli di natura secolare. In questa concezione lo Stato non è tanto Medinat Israel. Stato di Israele, quanto Medinat Halakah, Stato della Legge religiosa. Nella prima accezione, l’accento è posto sullo Stato secolare, nella seconda, sulla sacralità inviolabile di Eretz Israel, la Terra di Israele. A differenza della destra nazionalista europea, quella israeliana non ha il culto dello Stato. Nelle sue frange estreme vagheggia la riedificazione di una monarchia di stampo biblico, assistita da un sinedrio rabbinico. «L’abbandono volontario della Cisgiordania o di Gaza ai palestinesi esige che gli israeliani diano una risposta definitiva alla domanda: chi siamo noi nazione? Dobbiamo avere confini ispirati alla Bibbia o al pragmatismo? Interrogarsi sulla propria identità non è solo un problema di sicurezza», osserva il giornalista e scrittore americano Thomas L.Friedman, profondo conoscitore della realtà mediorientale. Un conflitto identitario al quale il rabbino Yossef Dayan, uno dei fautori del ritorno alla monarchia, vicino al Nuovo sinedrio, ha risolto così: «L’ebraismo e la democrazia occidentale sono incompatibili». A sostegno di questa tesi si schiera quel 4,3% di israeliani che - stando ad un sondaggio pubblicato da Yediot Ahronot in occasione della Giornata dell’Indipendenza (11-12 maggio) - vorrebbe sterminare gli arabi o rinchiuderli in grandi ghetti. Il giornale rileva che nella zona di Gerusalemme (dove è più forte la percentuale dei religiosi), l’idea del trasferimento di massa dei palestinesi è cinque volte più alta che nella laica Tel Aviv. E’ l’Israele della diffidenza, l’Israele messianico a dar forza a Moshe Feiglin e ai militanti del «regno di Giudea» . Per questo l’Israele democratico trema. E chiede all’ex «generale bulldozer» di difenderlo.
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