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Europa Rassegna Stampa
29.06.2005 Il ritiro da Gaza e l'obiettivo del sionismo
cronaca del discorso di Sharon all'Agenzia ebraica

Testata: Europa
Data: 29 giugno 2005
Pagina: 2
Autore: Stefano Baldolini
Titolo: «Sharon alza la voce contro i coloni;»
EUROPA di mercoledì 29 giugno 2005 pubblica un articolo di Stefano Baldolini che riporta parti del discorso tenuto dal premier israeliano Sharon all'Agenzia ebraica.

Ecco il testo

I comportamenti incivili di una minoranza mettono a repentaglio l’esistenza stessa di Israele. Ariel Sharon sceglie di tornare alle origini del sionismo e rivolge un duro messaggio ai coloni che si oppongono al disengagement, il piano di disimpegno previsto dal 15 agosto con lo sgombero di 21 colonie ebraiche dalla striscia di Gaza e quattro dalla Cisgiordania.
L’occasione – il discorso all’Assemblea dell’agenzia ebraica riunita a Gerusalemme – è quanto mai simbolica. L’agenzia infatti risale al 1929, quando venne istituita si mandato britannico per dare alla comunità ebraica una rappresentanza di fronte ai governi stranieri e alle organizzazioni internazionali, funzione che dal 1923 veniva svolta dall'Organizzazione sionistica in Palestina.
Dopo aver lanciato un appello all’unità – "ritirarsi dalla striscia di gaza è difficile e doloroso per tutti" –il premier stigmatizza il comportamento di una "piccola minoranza che infrange la legge e intende usare la forza contro i nostri soldati e le nostre forze di sicurezza" E lancia un monito. "Questa minoranza non rappresenta tutti i coloni. Dobbiamo tutti ricordare che gli appelli alla disobbedienza dei soldati e i tentativi di stravolgere la vita degli israeliani sono atti che mettono a repentaglio l’esistenza di Israele come paese ebraico e democratico".
Le dure parole di Sharon – "sono certo che le autorità legali del paese adotteranno le misure necessarie per fermare questi comportamenti incivili –giungono mentre nel paese monta la tensione in vista del controverso ritiro.
Lunedì sera a Gerusalemme, migliaia di automobilisti hanno risposto all’appello degli ebrei ultra-nazionalisti che si oppongono al ritiro, creando lunghe file di autovetture. Per quindici minuti agli incroci principali della città, centinaia di persone che indossavano indumenti con il colore arancione, in riferimento alla rivoluzione ucraina, hanno scandito il grido "Gli ebrei non scacciano gli ebrei".
Più o meno con le stesse parole ("un ebreo non deporterà altri ebrei) domenica scorsa, il caporal maggiore Avi Beiber, 19 anni decideva di dare il via alla disobbedienza civile –seguito da 12 commilitoni – rifiutandosi di partecipare agli scontri in seguito alla demolizione di 12 case abbandonate sulla spiaggia di Gush Katif, a Gaza. Le operazioni erano state decise per impedire che i coloni vi si barricassero dentro. Ma accanto alle rovine lasciate dai buldozer, il giorno successivo una trentina di nazionalisti occupavano un ostello abbandonato. Intanto Beiber veniva condannato a 56 giorni di reclusione.
Gli episodi di protesta preoccupano le autorità israeliane che temono il rallentamento delle massicce operazioni (si calcola che parteciperanno quarantamila poliziotti e ventimila poliziotti) e l’aumento del rischio di violenza nelle zone da sgomberare dove abitano circa 8000 persone. Ma nonostante la tensione Sharon può contare sul sostegno della popolazione. Secondo un recente sondaggio dell’università di Haifa, il 54% degli ebrei israeliani sarebbe favorevole al ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, e il 41% contrario.
Comunque, a poche settimane dal via, il primo ministro israeliano sembra voler tornare alle radici politiche del suo piano di disimpegno e tentare la difficile operazione di legarlo ai "padri nobili" degli anni 20. Così nel discorso all’Assemblea, cita Zeev Jabotinsky che in un articolo del 1923 intitolato "Maggioranza", definiva scopo del sionismo "la creazione di una maggioranza ebraica". "Sognavamo uno stato per gli ebrei su tutte le parti della Terra d’Israele – ha affermato il primo ministro – purtroppo non possiamo realizzare questo sogno. Quello che possiamo fare è realizzare parti importanti di quel sogno. E’ sulla base di questo ragionamento che ho avviato il piano dio disimpegno. Ci stiamo ritirando dalla striscia di Gaza, un’area ne3lla quale non c’è la possibilità di creare una maggioranza ebraica e che, come è chiaro a tutti, non farà mai parte dello Stato di Israele in nessun accordo finale. Nello stesso tempo stiamo impiegando la maggior parte dei nostri sforzi per garantire la nostra esistenza nelle aree più importanti: la Galilea, il Negev, l’area di Gerusalemme, i blocchi di insediamenti, le zone di sicurezza strategica.
E’ proprio per lo sviluppo di Negev e Galilea, secondo il Jerusalem Post, gli Stati Uniti starebbero valutando aiuti straordinari a Israele (si parla di un miliardo di dollari) a disimpegno avvenuto.
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