Vertice tra Sharon e Abu Mazen: il fallimento, ovviamente, è attribuito a Israele rassegna di quotidiani
Testata:Corriere della Sera - Il Sole 24 Ore - La Stampa - La Repubblica - Il Manifesto - Il Mattino - Europa Autore: Alessandra Coppola - Ugo Tramballi - Aldo Baquis - Alberto Stabile - Michele Giorgio - un giornalista Titolo: «Sharon - Abbas il vertice della delusione - Gelo tra Sharon e Abu Mazen -A vuoto l'incontro Sharon - Mazen - Gerusalemme vertice fallito: è gelo tra Sharon e Abu Mazen - Freddo l'incontro tra Sharon e Abu Mazen. Una retata di militanti prima del vertice»
Il CORRIERE DELLA SERA di mercoledì 22 giugno 2005 pubblica a pagina 13 una cronaca del vertice tra Sharon e Abu Mazen dell'inviato Alessandra Coppola. Nel descrivere la scarsità di risultati del vertice la Coppola scrive "Alla controparte, il capo del governo israeliano ha presentato l'elenco delle recenti « azioni terroristiche » : la donna fermata lunedì a Eretz con i pantaloni imbottiti di esplosivo, gli spari contro una macchina di coloni vicino a Jenin ( ucciso un uomo), l'agguato il giorno prima lungo il confine con l'Egitto ( morto un soldato)" Incomprensibile l'uso delle virgolette per "attacchi terroristici". Di che cosa si sarebbe trattato secondo la Coppola? Senza virgolette invece l'espressione "esponenti politici" riferita poco più avanti a un terrorista condannato per molteplici omicidi come Marwan Barghouti. Alla fine dell'articolo Alessandra Coppola propone la sua analisi politica: da un lato Abu Mazen chiede concreti miglioramenti per la popolazione civile, dall'altra Sharon, "con l'aumento della violenza" palestinese e la conseguente necessità di "mantenere tranquilli gli estremisti ebrei e gli attivisti anti-ritiro" doveva dare risposte negative. In realtà, però, la violenza terroristica, in diverse forme che vanno dagli attentati suicidi riusciti o sventati ai bombardamenti indiscriminati con mortai e razzi, non è mai cessata e l'Anp non ha mai tentato di disarmare i vari gruppi, così che Israele si e trovata a compiere numerosi gesti distensivi (ritiro da città palestinesi, rilascio di prigionieri) senza contropartite in termini di sicurezza. Sicurezza che Sharon deve ovviamente sforzarsi di assicurare ai suoi cittadini, indipendentemente dall'opinione di qualsiasi "estremista ebreo" o "attivista antiritiro". Invece, le espressioni scelte dalla Coppola stabiliscono un'asimmetria irreale che torna a tutto a svantaggio di Israele: l'Anp, in questo falso quadro della situazione, formula richieste volte a migliorare le condizioni della popolazione palestinese che è "tentata" di sostenere i "radicali" (Hamas e Jihad), ma non è essa stessa "radicale"; Sharon le rifiuta per "mantenere tranquilli" gli "estremisti israeliani", non per rispondere alle esigenze di una popolazione colpita dal terrorismo.
Ecco l'articolo: Niente strette di mano davanti alle telecamere. Il secondo vertice tra il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier israeliano Ariel Sharon si è consumato a porte chiuse, rombo di elicotteri e ampi cordoni di sicurezza davanti alla residenza del primo ministro a Gerusalemme. Solo poche selezionate immagini ( i due leader al tavolo, con le rispettive delegazioni, l'uno di fronte all'altro divisi da un vaso di fiori) per evitare di mostrare a lungo la tensione e l'imbarazzo: a meno di due mesi dal ritiro da Gaza, la « cooperazione » tra le due parti ( sollecitata appena domenica dal segretario di StatoUsa Condoleezza Rice) avanza a fatica e al primo punto in agenda è di nuovo segnato il ritorno della violenza nei Territori. « Vogliamo fare progressi con i palestinesi e arrivare ad applicare la Road Map ha detto Sharon — , ma non sarà possibile se prima non finiranno gli attentati terroristici » . Con questa premessa, le concessioni all'Anp sono state minime: ritiro ( già promesso) entro 15 giorni da altre due città della Cisgiordania: Betlemme e Qalqilyah, poi sarà anche il turno di Ramallah. E autorizzazione a preparare la riapertura dell'aeroporto di Gaza. Sempre che la violenza si fermi. Sfumata l'occasione di fare delle due ore e mezza di colloquio di ieri un incontro memorabile: il primo di questo livello mai svoltosi nella Città Santa. Sharon e Abbas si sono intesi molto poco e rispetto alla prima ufficiale stretta di mano di Sharm El Sheikh, lo scorso 8 febbraio, che ha segnato l'inizio di una ( piuttosto fragile) tregua, non hanno avuto incoraggianti annunci da fare. Alla controparte, il capo del governo israeliano ha presentato l'elenco delle recenti « azioni terroristiche » : la donna fermata lunedì a Eretz con i pantaloni imbottiti di esplosivo, gli spari contro una macchina di coloni vicino a Jenin ( ucciso un uomo), l'agguato il giorno prima lungo il confine con l'Egitto ( morto un soldato). Attentati ai quali Israele ha risposto ieri: retata di militanti della Jihad islamica ( che ha firmato gli ultimi attacchi), oltre 50 arresti in Cisgiordania; omicidio mirato ( fallito) a un esponente di spicco della Jihad a Gaza. Sharon si è detto preoccupato per l' « inattività » dell'Anp e ha chiesto ad Abbas di presentare un piano dettagliato su come i servizi di sicurezza palestinesi hanno intenzione di prevenire gli attacchi contro coloni e soldati durante le sei settimane di ritiro. « Non ci sarà disengagement sotto il fuoco » , ha ripetuto di recente Sharon: se non ci penserà l'Autorità nazionale, è il suo messaggio, ci penseremo noi. Il premier vuole il disarmo delle milizie radicali perché siano costrette amantenere la tregua. E per ora non è disposto ad allargare i margini della trattativa con Abbas. « E' stato un incontro difficile — ha detto il primo ministro palestinese Ahmed Qureia, in una conferenza stampa con il ministro Dahlan e il capo dei negoziatori Erekat a Ramallah — al di sotto delle nostre aspettative » . La delegazione guidata da Abbas si era presentata a Gerusalemme con un elenco di richieste per la gran parte rimaste disattese. Il rilascio di prigionieri ( 7.000 nelle celle israeliane): il presidente ha portato una lista di malati, anziani, minorenni, donne ed esponenti politici, incluso il popolare leader Marwan Barghouti, a cui dare la priorità. Su questo punto forse potrebbe esserci stato qualche movimento: si tratta sulla liberazione di un gruppo di detenuti che hanno già scontato gran parte della pena e del rientro ( dai Paesi dell'Europa in cui erano stati esiliati, tra cui l'Italia) dei militanti che si erano asserragliati nella Basilica della Natività a Betlemme. Abbas vuole garanzie perchéGaza dopo il ritiro non sia completamente bloccata: servono, dice, un collegamento con la Cisgiordania, la possibilità di far uscire dalla Striscia uomini e merci, un aeroporto e un porto. Se ne riparlerà meglio, è la posizione israeliana, dopo un periodo di « prova » , in cui i palestinesi avranno mostrato di tenere a bada gli estremisti. Nel « pacchetto » ritiro si procede almomento solo sulla messa a punto della distruzione, già concordata, delle case abbandonate dai coloni. Ciò però a cui la leadership palestinese tiene di più adesso è la possibilità di mostrare alla popolazione miglioramenti concreti: alleggerimento dei posti di blocco, controllo su tutte le città palestinesi parzialmente rioccupate dagli israeliani durante la seconda intifada ( compresa Jenin), gestione dell'area delle 4 colonie che saranno smantellate a Nord della Cisgiordania. E poi: congelamento degli insediamenti, stop alla costruzione delMuro ( « barriera di sicurezza » per Israele), revisione dei progetti di distruzione di case arabe a Gerusalemme Est. Un lungo elenco chi si tradurrebbe per il presidente nella possibilità di offrire alla sua gente un'alternativa ai radicali, che nella crescente anarchia dei Territori puntano a sfruttare il disagio e a guadagnare terreno. La Jihad islamica dopo gli arresti aveva chiesto il rinvio del vertice, ed è ormai pronta ad annunciare la fine della tregua. Critiche al summit anche da Hamas. Con l'aumento della violenza, però, la risposta di Sharon, che a sua volta deve mantenere tranquilli gli estremisti ebrei e gli attivisti anti ritiro, non poteva essere diversa: « Secca e chiara da poter stare in un Sms — aveva previsto ieri su Haaretz l'analista Akiva Eldar — : una combinazione delle lettere " N" e " O" » . Per sbloccare la situazione Abbas punterebbe ora sul sostegno della comunità internazionale, in particolare dei Paesi arabi, e già ieri sera si sarebbe messo al telefono per cercare di riattivare i suoi contatti. IL SOLE 24 ORE pubblica a pagina 7 l'articolo "Gelo tra Sharon e Abu Mazen", di Ugo Tramballi . Questo il passaggio centrale della sua analisi: "Gli israeliani hanno parlato di terrorismo e i palestinesi di terra. Come sordi che discutono dello stesso argomento credendo di dire cose diverse. In questo conflitto violenza e territorio sono due aspetti dello stesso problema". Tramballi fa poi l'elenco delle rimostranze delle due parti e conclude: "Torti e ragioni come sempre si dividono equamente senza che una parte riconosca i suoi e comprenda quelle dell'altra". In realtà, però, tutte le rimostranze palestinesi eccetto una riguardano misure prese da Israele per rispondere al terrorismo (la barriera difensiva, le limitazioni al movimento degli uomini e delle merci, la detenzione dei terroristi... ).L’uno è dunque la causa, il che esclude che i torti e le ragioni si ripartiscano equamente. Il torto è, ovviamente, degli aggressori. L'unica eccezione alla regola, ovvero l'unica azione israeliana indipendente dal terrorismo che suscita le proteste dei palestinesi è l'espansione degli insediamenti. Ma essa non può certo essere messa sullo stesso piano del terrorismo. Non solo perché fra costruire case e organizzare stragi non vi è equivalenza morale, ma anche perché costituisce un ostacolo infinitamente meno grave al raggiungimento di un accordo definitivo. Il futuro Stato palestinese potrebbe infatti rinunciare senza danno ad aree ormai a maggioranza ebraica in cambio di adeguate compensazioni territoriali, mentre nessuno stato potrebbe accettare di convivere con una costante minaccia terroristica. L'ostentato "equilibrio" di Tramballi è dunque falso, perché giudica equivalenti ragioni e torti che non lo sono.
LA STAMPA pubblica a pagina 8 l'articolo di Aldo Baquis "A vuoto l'incontro Sharon - Mazen" che si chiude ricordando che Sharon "non è andato incontro" ai palestinesi "nelle questioni che stanno loro più a cuore", un' enfatizzazione delle richieste di una parte (quella palestinese) a discapito delle ragione dell'altra (quella israeliana). Accompagna l'articolo la fotografia di un bambino palestinese a una manifestazione di protesta contro il "muro". Non illustra il contenuto dell'articolo, ma serve a demonizzare Israele.
Ecco l'articolo: «Non abbiamo raggiunto alcun accordo»: questo lo sconfortato commento del premier Abu Ala dopo un incontro di due ore e mezzo a Gerusalemme fra la delegazione palestinese guidata dal presidente Abu Mazen e quella israeliana presieduta da Ariel Sharon. Il presidente palestinese è uscito scuro in volto dalla palazzina di Sharon, a Gerusalemme, trasformata in un fortino: per ragioni di sicurezza lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, aveva chiuso al traffico cinque strade vicine. Di ritorno a Ramallah, Abu Mazen ha preferito chiudersi nel proprio ufficio. Anche Sharon non ha commentato. A febbraio un primo incontro fra i due statisti aveva acceso molte speranze. Ieri, quando sono tornati a parlarsi, erano entrambi molto indeboliti. Sharon in casa è contestato dalla destra nazionalista, sempre più impegnata a fomentare la disubbidienza civile nelle strade. Oggi il movimento dei coloni - che si oppone strenuamente al ritiro da Gaza - progetta di paralizzare il traffico in decine di arterie, anche spargendo chiodi sull'asfalto. Abu Mazen deve vedersela nei Territori non solo con i gruppi armati dell’intifada che hanno moltiplicato gli attacchi anti-israeliani, ma anche con scene ripetute di anarchia armata che esasperano l’opinione pubblica interna. Negli ultimi giorni il presidente è stato più volte invitato a dimettersi se i suoi servizi di sicurezza non sono in grado d’imporre l'ordine. In questa atmosfera era difficile prevedere sviluppi positivi, che in effetti non sembrano esserci stati. Sharon ha molto insistito sulla necessità che gli uomini di Abu Mazen debellino i gruppi armati dell’intifada e ha ribadito che non tollererà che si apra il fuoco contro i soldati israeliani quando il prossimo agosto saranno inviati a Gaza per sgomberare ottomila coloni che vi abitano. Se i miliziani dovessero attaccare, la reazione militare di Israele sarebbe «irruente». Mentre a Gerusalemme iniziava l'incontro Sharon-Abu Mazen, a Nord di Gaza un velivolo israeliano ha tentato - invano - di eliminare un esponente della Jihad islamica coinvolto in ripetuti attacchi con razzi contro le colonie vicine e contro la città israeliana di Sderot. Per Sharon il punto centrale è il mantenimento della sicurezza, senza la quale non sarà possibile procedere nel Tracciato di pace. In altre parole: completato il ritiro da Gaza se i servizi di sicurezza palestinesi non daranno prova di incisività non ci sarà per i palestinesi alcun nuovo orizzonte politico. Abu Mazen ha replicato che gli attacchi dell'intifada si ritorcono anche contro l'Anp e la indeboliscono. Il suo governo ha bisogno di puntelli israeliani: ad esempio, il ritiro dalle principali città cisgiordane, la liberazione di detenuti (fra cui personaggi importanti come Marwan Barghuti, Hussam Khader, Fuad Shubaki e il leader del Fronte popolare Ahmed Saadat, mandante dell’uccisione di un ministro israeliano), il congelamento delle colonie e del Muro di separazione, la fine delle retate quotidiane di militanti dell’intifada. L'incontro, definito da uno dei partecipanti «a tratti tempestoso», in un paio di occasioni è stato sul punto di essere troncato. Poi però sono emerse alcune intese: fra due settimane Betlemme e Kalkilya torneranno sotto controllo palestinese, in seguito anche Ramallah. Una decina di militanti espulsi in Europa potranno rientrare in Cisgiordania. Una ventina di reclusi potranno forse riacquistare la libertà se il ministro israeliano della giustizia lo riterrà opportuno. «In ogni caso non libererò assassini di bambini», ha precisato Sharon, ancora inorridito per il tentativo di una kamikaze di al-Fatah di entrare lunedì in Israele per compiere una strage nell'ospedale dove era stata curata. Nel ritiro di Gaza Sharon si aspetta la cooperazione dei palestinesi: ad esempio nello sgombero delle macerie della case dei coloni. Ma nelle questioni che stanno loro più a cuore non è andato loro incontro: il premier si oppone alla ricostruzione dell'aeroporto Dahanye a Sud di Gaza e a un controllo palestinese del valico di Rafah con l'Egitto e non si vuole impegnare per ora ad allestire un corridoio terrestre fra Gaza e la Cisgiordania. Per i palestinesi questo significa che una volta completato il ritiro da Gaza, gli abitanti della striscia (quasi un milione e mezzo) si troveranno «chiusi in gabbia». L'intero articolo di Alberto Stabile "Gerusalemme, il vertice del gelo", pubblicato da REPUBBLICA è teso a contrapporre la coraggiosa apertura di Abu Mazen (che partecipando al vertice a Gerusalemme si è attirato le critiche di Hamas) all'intransigenza di Sharon. Le ragioni di Israele sono liquidate con espressioni come "il premier israeliano fermo sulla Maginot della sicurezza", "il presidente palestinese che s´è visto respingere una ad una tutte le richieste, proprio perché, ad insindacabile giudizio di Sharon, l´Autorità palestinese non ha fatto abbastanza per impedire gli attacchi delle milizie contro soldati e coloni israeliani", che cancellano i fatti oggettivi (l'Anp non ha disarmato i gruppi terroristici, la violenza è proseguita) presentando il terrorismo come una personale ossessione di Sharon.
(a cura della redazione di Informazione Corretta)
Ecco il testo: GERUSALEMME - Due ore di colloquio tra Ariel Sharon e Mahmud Abbas (Abu Mazen), nel loro secondo per certi versi "storico" incontro, dopo quello di Sharm el Sheikh, si sono risolte in una specie di dialogo tra sordi. Con il premier israeliano fermo sulla Maginot della sicurezza, come condizione indispensabile per qualsiasi eventuale concessione, e il presidente palestinese che s´è visto respingere una ad una tutte le richieste, proprio perché, ad insindacabile giudizio di Sharon, l´Autorità palestinese non ha fatto abbastanza per impedire gli attacchi delle milizie contro soldati e coloni israeliani. A sera, è toccato al premier palestinese, Ahmed Qorei (Abu Ala) offrire alle telecamere la sua espressione corrucciata per spiegare l´esito fallimentare del vertice. «E´ stato un incontro difficile, non a livello delle nostre aspettative. Le risposte che ci sono state date dagli israeliani non ci convincono. Sono state risposte non genuine, non serie, non soddisfacenti». Troppo generico, per capovolgere il giudizio di Abu Ala, il commento di Sharon: «Abbiamo concordato un pieno coordinamento della nostra partenza da Gaza. Una nostra uscita pacifica è nell´interesse di tutti». Ma dove, come, attraverso quali concrete misure verrà attuato questo coordinamento? Se è vero che anche le forme servono in politica a definire la sostanza, già la stessa organizzazione del vertice, mostrava una sorta di predestinazione al fallimento. Tempo e luogo, le 4 del pomeriggio, nella residenza del primo ministro, sono stati definiti a notte fonda. Niente telecamere. Niente dichiarazioni congiunte. Niente strette di mano per la gioia dei fotografi. E niente sorrisi di convenienza, si può aggiungere, dopo aver visto le immagini trasmesse dall´unica tv ammessa nella sala dei colloqui. Le due delegazioni si fronteggiavano con sguardi gelidi e facce funeree, mentre dal microfono aperto filtrava, non a caso, la protesta di Sharon: «Stiamo ancora raccogliendo i nostri morti». Riferimento agli attacchi, con due vittime, compiuti dalla Jihad islamica, uno a Rafah (striscia di Gaza) e l´altro, ieri, in Cisgiordania. Immerso in una sorta di preventiva clandestinità mediatica che risultati poteva dare l´incontro? Quello uno degli editorialisti di Haaretz, Akiva Eldar, aveva riassunto al mattino con le seguenti parole: «Per quanto riguarda il primo ministro Ariel Sharon, tutto quello che ha da dire al presidente dell´Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, può entrare in un sms, e rimarrebbe dello spazio. Da rilevare sarà la combinazione di due lettere, N e O". Dagli uffici di Sharon nulla autorizzava un minor pessimismo. A chi chiedeva se il premier avrebbe concesso qualcosa al suo interlocutore, attingendo alle molte misure di, per così dire, incoraggiamento al dialogo, decise al vertice di Sharm el Sheikh, i primi di febbraio e rimaste lettera morta, una fonte altolocata replicava seccamente: «Questo non è tempo di concessioni». E dire che il successore di Arafat, accettando di incontrare Sharon nella residenza ufficiale del primo ministro israeliano, nel cuore di Gerusalemme, aveva deciso, per la seconda volta, di fare un passo che il suo predecessore non si sarebbe mai sognato. Venire nella Gerusalemme ebraica per un incontro ufficiale avrebbe significato gettarsi alle spalle la contesa decennale, riconoscere, di fatto, una sovranità ancora in discussione. Abu Mazen l´ha fatto e gli integralisti di Hamas gliel´hanno subito rimproverato. Si trattava per il leader palestinese di proseguire sulla strada di Sharm el Sheikh convincendo Sharon a liberare un maggior numero di prigionieri palestinesi, a rimuovere i posti di blocco nei Territori, a restituire le città occupate. Ha ottenuto soltanto il ritiro delle truppe israeliane da Betlemme e Kalkilya, nell´arco di due settimane, ma sempre a condizione che l´Autorità palestinese farà fronte agli obblighi di garantire più sicurezza, cominciando con il disarmare le milizie. L´altro capitolo dei colloqui l´aveva dettato Condoleezza Rice nella sua recente visita a Ramallah e Gerusalemme: l´incontro di ieri sarebbe dovuto servire a mettere a punto il coordinamento tra le due aprti in vista del ritiro israeliano da Gaza. I palestinesi hanno illustrato le loro ben note richieste: riattivazione dell´aeroporto, controllo del valico di Rafah, con l´Egitto, apertura di un collegamento diretto tra Gaza e la Cisgiordania, ristrutturazione dei passaggi di Karmi e Erez per rilanciare le esportazioni. Picche su tutto il fronte, o quasi. Sharon avrebbe autorizzato Abu Mazen di iniziare «i preparativi» per la riapertura dell´aeroporto di Gaza. Ma sempre «a condizione» che. Pubblichaimo anche l'intervista di Stabile allo scrittore israeliano David Grossman. Lasciamo il giudizio sulle sue dichiarazioni, che ci lasciano su più punti perplessi, ai nostri lettori. Ecco il testo: GERUSALEMME - «Un dialogo tra sordi». David Grossman, scrittore israeliano di successo e osservatore attento della realtà politica mediorientale, non nasconde il suo scetticismo sulla qualità delle relazioni tra il suo Paese e l´Anp. Quali sono le sue impressioni sull´incontro fra Sharon e Abu Mazen? «Ho l´impressione che anche questo incontro, come quelli che lo hanno preceduto, non abbia avuto alcun risultato pratico. Sembra un dialogo fra sordi, in cui ciascuna parte riversa sull´altra le colpe e le responsabilità della situazione. Non solo, ma questi due sordi non strillano l´uno contro l´altro, bensì vogliono farsi sentire da qualcuno che non si trova con loro, dal presidente Bush. Gli americani stanno esercitando forti pressioni sulle due parti affinché avanzino nel processo di pace dopo il disimpegno da Gaza. E queste due parti cercano di dimostrare agli americani che stanno facendo tutto il possibile per procedere nella Road Map ma che se ci sono dei ritardi la colpa è sempre dell´altro». Il governo israeliano fa abbastanza per consolidare la posizione di Abu Mazen? «Sharon si comporta esattamente come si è sempre comportato nel corso di tutta la sua carriera militare e politica. Agisce in maniera unilaterale, crea ed impone situazioni e si aspetta che il suo interlocutore si adatti. I palestinesi, da parte loro, non riescono a contenere completamente le attività terroristiche: negli ultimi giorni abbiamo visto l´uccisione di alcuni israeliani, l´altroieri è stata presa una terrorista pronta a farsi saltare nell´ospedale dove era stata curata per mesi, e il lancio di missili contro Sderot non è cessato. Ci troviamo davanti ad un circolo vizioso in cui ciascuna parte consente ai propri estremisti - che si tratti di approcci estremisti alla sicurezza da parte israeliana o degli attivisti della Jihad Islamica da parte palestinese - di dettare la linea politica, mentre è necessario l´esatto contrario: compiere cioè dei passi volti a creare una reale fiducia, per rafforzare il presidente palestinese consentendogli di superare le forze ostili interne». E Abu Mazen fa abbastanza per dimostrare di poter garantire la sicurezza degli israeliani, se non subito, almeno in futuro? «Il suo raggio di azione è molto limitato. Israele si aspetta sempre che si comporti con i suoi estremisti come Ben Gurion si comportò con le organizzazioni estremiste ebraiche nel periodo a cavallo della fondazione dello Stato. La situazione storica, però, è completamente diversa e un´azione armata di Abu Mazen contro gli estremisti palestinesi non la ritengo possibile. Allo stato attuale Hamas gode di vasti appoggi nella popolazione: il palestinese medio vede che l´occupazione continua, la costruzione della barriera pure e i prigionieri non vengono liberati. Non ha speranza di migliorare la propria situazione e tende sempre più verso chi gli promette una soluzione violenta. Non giustifico chi imbocca la strada del terrorismo, penso solo che Israele non è abbastanza pronto a riconoscere che ora - dopo 38 anni di occupazione militare, gli anni di corruzione di Arafat e la polverizzazione di tutte le strutture di governo palestinesi - Abu Mazen non ha quasi libertà di movimento. D´altra parte, non tutti i mezzi di sicurezza adottati da Israele sono ingiustificati. Il problema è, come sempre, la quantità e la qualità». Che cosa deve succedere dopo il disimpegno affinché si riapra il processo di pace? «Il giorno dopo il ritiro si devono intraprendere i passi necessari verso un ritiro israeliano da tutti i territori occupati e una riapertura del negoziato che garantisca la soluzione di due stati sovrani per i due popoli. Se vi saranno compromessi territoriali, spero che vengano raggiunti sulla base di uno scambio reciproco, in cui i palestinesi ricevano un adeguato compenso territoriale in cambio dell´annessione da parte di Israele dei maggiori blocchi di insediamenti. Se Sharon pensa di aver concluso il processo con l´evacuazione di Gaza, temo che la realtà gli proverà immediatamente quanto si sbagli. I palestinesi non accetteranno il perdurare dell´occupazione. Ovviamente anche Michele Giorgio che pubblica sul MANIFESTO l'articolo "Gerusalemme vertice fallito: è gelo tra Sharon e Abu Mazen" punta il dito contro Israele. L'interesse di Giorgio però, più che al vertice è rivolto aun documento della Procura di Stato israeliana che attribuisce alla barriera difensiva una finalità "politica" oltre che di "sicurezza". "È la prima volta" scrive Giorgio "che lo Stato ebraico fa quest'ammissione ufficiale": meglio sarebbe stato scrivere che un organo dello Stato ebraico sostiene questa tesi. Tuttavia, prosegue Giorgio:"il giudice capo Aharon Barak - lo stesso che appena qualche settimana fa, respingendo i ricorsi contro il ritiro israeliano da Gaza, aveva ricordato che i territori palestinesi sono occupati militarmente - trova adesso «irrilevante» la motivazione politica dietro il progetto del muro a Gerusalemme poiché la città è «parte del territorio» d'Israele". Osserviamo che la contraddizione tra i due pronunciamenti della Corte suprema deriva soltanto dall'interpretazione politica che Giorgio ha cercato di dare del primo, presentandolo come un'ammissione del fatto che i Territori conquistati da Israele nella guerra del 1967 sarebbero "occupati" e non "contesi". In realtà quella prima sentenza affermava soltanto che i Territori non sono considerati dalla legge israeliana parte integrante dello Stato. Si tratta una mera constatazione giuridica, dato che non sono mai stati annessi. A differenza di quanto è avvenuto con Gerusalemme Est.
Ecco l'articolo: Mentre Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen tenevano ieri a Gerusalemme ovest, nella residenza del premier israeliano, il loro secondo vertice, un'altra (e ben più importante) riunione era in corso nella sede dell'Alta corte di giustizia chiamata ad esaminare i tanti ricorsi presentati dai legali dei palestinesi minacciati dalla costruzione del muro a nord di Gerusalemme. Gli 11 massimi giudici israeliani si sono visti consegnare dalla Procura dello Stato un documento in cui per la prima volta si afferma che il progetto del muro - che riguarda principalmente la Cisgiordania - non ha solo finalità di sicurezza, come ha sempre affermato il governo Sharon, ma anche un chiaro obiettivo politico. È la prima volta che lo Stato ebraico fa quest'ammissione ufficiale, confermando così quanto i palestinesi hanno sempre denunciato e ciò che la stessa Corte internazionale di giustizia dell'Aja aveva messo in rilievo un anno fa. Per i giudici israeliani tuttavia questo documento ufficiale non sembra avere importanza. Il quotidiano Ha'aretz ha riferito che il giudice capo Aharon Barak - lo stesso che appena qualche settimana fa, respingendo i ricorsi contro il ritiro israeliano da Gaza, aveva ricordato che i territori palestinesi sono occupati militarmente - trova adesso «irrilevante» la motivazione politica dietro il progetto del muro a Gerusalemme poiché la città è «parte del territorio» d'Israele. Il giudice Barak non riconosce che il settore est di Gerusalemme sia occupato come il resto dei territori palestinesi e arabi catturati da Israele nel 1967. La scelta di tenere il summit Sharon-Abu Mazen a Gerusalemme è stata criticata da molti palestinesi che rimproverano al loro presidente di non aver tenuto conto dello status della città e di avere, di fatto, riconosciuto il controllo israeliano su di essa. Critiche sono giunte anche dal movimento islamico Hamas. L'incontro si è svolto in un clima gelido e si è concluso senza alcun passo in avanti significativo. Le due parti non hanno rilasciato dichiarazioni alla folla di decine di giornalisti locali e internazionali rimasti in attesa per quasi tre ore davanti alla residenza ufficiale di Sharon. Abu Mazen, al termine dei colloqui è entrato in auto ed è partito in direzione di Ramallah. «È stato un incontro difficile, non all'altezza delle nostre aspettative e di quelle della comunità internazionale», ha commentato poco dopo il premier palestinese Abu Ala in una conferenza stampa tenuta a Ramallah. «Non c'è stata alcuna risposta positiva alle richieste avanzate dalla nostra delegazione», ha aggiunto. Sharon infatti ha voluto discutere per gran parte del tempo di questioni di sicurezza e, hanno riferito i media locali, ha intimato ad Abu Mazen di far cessare immediatamente ogni attacco della resistenza, altrimenti Israele non trasferirà ai palestinesi il controllo delle due città cisgiordane di Betlemme e Qalqilya. Non ci saranno altre scarcerazioni di detenuti politici, questione sulla quale il presidente dell'Anp ha sempre posto l'accento, perché «necessaria» per conquistare il sostegno dell'opinione pubblica palestinese alla via diplomatica.
Il raìs dell'Anp ha inoltre chiesto che Israele ceda il controllo dei valichi di frontiera una volta completato lo sgombero delle forze armate e la distruzione degli insediamenti e che fermi la colonizzazione ebraica della Cisgiordania e la costruzione del muro. Sharon, come aveva anticipato ieri su Ha'aretz il giornalista Akiva Eldar, ha detto di no praticamente a tutte le richieste palestinesi. Secondo fonti israeliane avrebbe invece dato il suo assenso ai preparativi per la riapertura dell'aeroporto internazionale di Gaza, rimasto chiuso per quasi cinque anni.
Mentre a Gerusalemme era in corso il vertice, l'aviazione israeliana ha sganciato due missili contro una zona abbandonata nella parte settentrionale della striscia di Gaza, nei pressi di Beit Lahiya, nel tentativo di eliminare un dirigente locale del Jihad islami, l'organizzazione responsabile in questi ultimi giorni di attacchi contro obiettivi israeliani nei Territori occupati. Qualche ora prima l'esercito aveva arrestato in Cisgiordania cinquanta presunti attivisti del Jihad. Il ministro della difesa, Shaul Mofaz, ha avvertito che Israele continuerà a colpire l'organizzazione palestinese «in ogni momento e luogo». Michele Giorgio scrive anche sul MATTINO, dove, rivolgendosi a un pubblico moderato, evita i proclami ideologici e si affida alla manipolazione linguistica. Così nel pezzo: "Vertice, Sharon e Abu Mazen a muso duro" compaiono i "gruppi dell’intifada", il "movimento islamico Hamas " e i "prigionieri politici" palestinesi, tra i quali i terroristi condannati per stragi efferate.
Ecco l'articolo: Gerusalemme. È stato il vertice della freddezza, ben diverso da quello della speranza dell’8 febbraio a Sharm El-Sheikh, quello che Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen hanno tenuto ieri a Gerusalemme. È andato tutto come previsto, con uno Sharon rigido e determinato a chiarire alla delegazione palestinese che le questioni di sicurezza sono centrali per Israele. Il suo governo, ha aggiunto il primo ministro, non tollererà altri attacchi da parte dei gruppi armati dell’intifada e, soprattutto, farà ogni cosa per impedire che il ritiro di coloni ebrei e soldati da Gaza, previsto a metà agosto, avvenga sotto il fuoco palestinese. Al termine dei colloqui Abu Mazen è salito velocemente in auto e si è diretto verso Ramallah mentre a poche decine di metri di distanza un nutrito gruppo di israeliani manifestavano contro l’evacuazione delle colonie di Gaza urlando slogan e sventolando le bandiere arancioni divenute il vessillo di tutti coloro che si oppongono al piano di disimpegno di Ariel Sharon. Il premier israeliano ha accusato l'Autorità nazionale palestinese di non aver saputo e voluto disarmare i gruppi dell’intifada e di aver consentito al movimento islamico Hamas di rafforzarsi militarmente e di divenire un importante soggetto politico sulla scena palestinese. Abu Mazen da parte sua ha condannato l’espansione delle colonie ebraiche, la costruzione del muro in Cisgiordania e ha chiesto la scarcerazione dei prigionieri politici, tra cui i leader di Al-Fatah Marwan Barghuti e Husam Khader, nonchè il controllo dei valichi di frontiera una volta che Israele avrà lasciato Gaza. Richieste alle quali Sharon ha risposto «no» oppure «vedremo». La principale novità emersa dai colloqui è il prossimo passaggio all'Anp delle citta’ cisgiordane di Kalkilya e di Betlemme, dove potranno rientrare una decina di militanti dell’intifada espulsi all'estero tre anni fa (tre dei quali anche in Italia). In seguito anche Ramallah tornerà ad essere autonoma. Sharon, secondo i media locali, avrebbe inoltre dato il suo assenso ai preparativi per la riapertura dell’aeroporto internazionale di Gaza. È stata discussa anche la demolizione delle case dei coloni ebrei. La posizione di Israele è che le macerie dovrebbero essere sgomberate dai palestinesi, con finanziamenti internazionali. «È stato un incontro difficile, non all'altezza delle nostre aspettative», ha commentato il premier palestinese Abu Ala in una conferenza stampa tenuta a Ramallah. «Non c'è stata alcuna risposta positiva» alle richieste avanzate dalla nostra delegazione, ha aggiunto. Mentre a Gerusalemme si apriva il vertice, l’aviazione israeliana ha cercato di uccidere con due missili un dirigente della Jihad islamica, l’organizzazione responsabile degli ultimi attacchi contro soldati e cittadini dello Stato ebraico. Il raid, nel nord di Gaza ha fatto solo danni materiali. Qaulche ora prima una cinquantina di presunti attivisti della Jihad erano stati arrestati in Cisgiordania. Nella notte tra lunedì e martedi’ numerosi colpi di mortaio e razzi artigianali Qassam palestinesi sono caduti sulle colonie ebraiche di Gaza senza fare vittime. Nel campo della manipolazione linguistica però, Giorgio è un dilettante in confronto a un anonimo giornalista di EUROPA. L'articolo dedicato al vertice, a pagina 3 si intitola "Freddo l'incontro tra Sharon e Abu Mazen. Una retata di militanti prima del vertice". I "militanti", membri del gruppo terroristico Jihad islamica, nel trafiletto diventano "presunti militanti cisgiordani". Si vedono qui gli effetti cumulativi di due differenti tecniche propagandistiche: ogni volta che Israele accusa qualcuno di terrorismo i media si sentono in dovere di precisare i terroristi sono solo "presunti", d'altro canto i terroristi palestinesi sono sistematicamente definiti "militanti". Ecco allora comparire la nuova esilarante categoria: quella dei "militanti presunti" appunto. A breve, si attende la comparsa dei "presunti palestinesi" e dei "presunti cisgiordani".
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