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La Stampa Rassegna Stampa
17.06.2005 I dissidenti iraniani, dimenticati anche dall'America
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 17 giugno 2005
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Ma l'America non aiuta i moderati»
LA STAMPA di venerdì 17 giugno 2005 pubblica un'analisi di Fiamma Nirenstein sulle elezioni imminenti iraniane.

Ecco il testo:


«Il Consiglio dei Guardiani» sembra il titolo di un libro giallo a sfondo medievale: invece è la realtà delle elezioni in Iran. Con attenzione quasi patetica l’occidente cerca di scorgere nelle elezioni di oggi una speranza di democratizzazione, ma la realtà è che i Guardiani ne hanno già vanificato il significato. Non solo: queste elezioni, segnate da un dissenso giovanile quasi totale, da coraggiose manifestazioni subito represse e dal distacco deluso della popolazione che promette al massimo un 30 per cento di partecipazione. Per forza: il vincitore più probabile è Ali Akhbar Hashemi Rafsanjani, un miliardario ben accetto ai Guardiani, che l’occidente definisce «pragmatico» ma la cui precedente presidenza è stata accompagnata da grandi violazioni di diritti umani e da sospetti verso il regime di sostegno a importanti atti di terrorismo, come quello di Buenos Aires del 94.
Una prospettiva di fronte alla quale gli iraniani si sentono abbandonati: Bush ha ricevuto alla Casa Bianca i militanti dei diritti umani di Mosca, della Nord Corea, del Venezuela, ma non quelli iraniani. Gli Usa così scoraggiano i dissidenti e i pacifisti dei Paesi mediorientali, che pure sono tanti; e se un domani la gente di Teheran, come ha fatto quella di Kiev e di Beirut decidesse di scendere in piazza contro i risultati elettorali, sentirebbe di non avere nessuno alle spalle. I dissidenti dei Paesi mediorientali certo in questi giorni non leggono un incoraggiamento nell’atteggiamento americano.
E i moderati? Dove sono? Anche se il principale candidato riformista, Mostafa Moin, ministro nel governo Khatami, adesso è stato riammesso a correre dopo essere stato squalificato il Consiglio ha colpito duro. Ha preselezionato mille candidati, e ne ha ricavato una lista di sette, tutti conservatori fuorchè uno, aggiungendovi poi Moin e Nohsen Mehralizadeh. Tutte le ottantanove donne che si sono presentate sono state eliminate. Amir Taheri, un famoso esperto di Iran, spiega anche che «tutti i candidati sono vecchi impiegati del governo, cinque sono "Guardie rivoluzionarie". La maggioranza si dichiara del ramo iraniano degli hezbollah».
Durante la campagna elettorale, nelle parole del leader supremo Ali Khamenei, il voto si è trasformato da «dovere nazionale» a «dovere religioso». L’ultraconservatore Ahmad Janati si è spiegato ancora meglio: «Ci aspettiamo che i votanti si esprimano con un grande "Morte all’America" andando alle urne». Tutti e quattro i candidati conservatori sostengono oltre alla censura, e alla repressione delle idee occidentali, anche l’odio verso gli Usa e la distruzione di Israele. In sostanza, sullo sfondo, c’è la determinazione a proseguire con nucleare, guadagnando tempo in trattative con l’Europa.
Moin parla con coraggio di diritti umani e attacca il potere clericale e i suoi Guardiani; se la gente andasse a votare, potrebbe vincere, ma resterebbe su di lui l’ala nera del boicottaggio dei conservatori e anche dei «pragmatici» che hanno già rovinato Khatami. In realtà, i Guardiani sono a tutt’oggi padroni a casa loro sia che la gente vada a votare sia che decida di asternersi. Quanto a Israele, teme lo sviluppo nucleare e seguita a sentire i missili Shihab puntati verso di sé con la scritta che portavano alle ultime parate: «Questo è per te Tel Aviv».
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