Senza Hamas e il terrore, che democrazia è? un'analisi molto poco convincente
Testata: La Repubblica Data: 16 giugno 2005 Pagina: 23 Autore: Hussein Agha - Robert Malley Titolo: «In Palestina l´ultima sfida Hamas contro gli eredi di Arafat»
LA REPUBBLICA di giovedì 6 giugno 2005 pubblica un articolo di Hussein Agha e Robert Malley, che ripotiamo. Hussein Agha è membro associato del St. Anthony's College di Oxford ed è coautore di A Framework for a Palestinian National Security Doctrine (Chatham, 2005). Robert Malley è stato assistente speciale del presidente Clinton per gli affari arabo-israeliani.
Ecco il testo: La decisione presa dall´Autorità palestinese di posticipare le elezioni legislative aggiunge un elemento di incertezza ad un processo elettorale già altamente problematico. A differenza della consultazione presidenziale, in cui l´elezione di Abu Mazen era del tutto prevedibile, le votazioni per il Consiglio Legislativo Palestinese sono sin dall´inizio avvolte nelle nebbie dell´incertezza. Fatah, l´organizzazione laica e nazionalista che per decenni ha dominato la scena politica, può contare sul vantaggio di essere al potere, dell´appoggio di istituzioni quasi statali, e di quello di tutti i principali attori internazionali. Hamas, l´organizzazione islamica radicale, non ha mai partecipato a elezioni nazionali, non ha esperienza di governo, ed è considerata un gruppo terroristico sia dagli Stati Uniti sia dall´Unione Europea. Eppure, è proprio Hamas a guadagnare terreno, e Fatah non nasconde le sue preoccupazioni. Hamas "organizzazione islamica radicale" è "considerata" un’organizzazione terroristica. Quindi, pare di capire, non è detto che lo sia perché sulle stragi di civili israeliani sussiste un perenne dubbio:forse sono "lotta di liberazione nazionale". Sul terrorismo di Fatah, invece, nessuno ha dubbi: non è mai esistito. L´incertezza ha fatto germogliare strane reazioni. Incoraggiata da non pochi israeliani e occidentali, solitamente fautori della democrazia palestinese, Fatah stava da tempo prendendo in seria considerazione la possibilità di rinviare le elezioni per evitare risultati più che mediocri. Il rinvio potrebbe consentire a Fatah di vantar credito per il ritiro israeliano da Gaza, per l´annunciata ripresa economica, per il ristabilimento della legge e dell´ordine. O almeno così si spera. Da parte sua, Hamas, solitamente scettica nei confronti della politica di tipo occidentale, e contraria a ogni interferenza straniera, aveva richiesto e richiede l´intervento di osservatori internazionali per monitorare le procedure di voto. Non si tratta di "strane reazioni": israeliani e occidentali sanno che il fondamentalismo, il terrorismo, il rifiuto di ogni compromesso e la guerra a oltranza a Israele (intervallata da tregue), anche se issati al potere per via democratica, porterebbero alla morte della democrazia. I partiti fondamentalisti e totalitari, dal canto loro, sanno sfruttare le regole della democrazia per distruggerla. Quattro decenni dopo la sua creazione, Fatah sembra essere priva di un canovaccio di iniziativa politica da seguire, mentre Hamas pare intenzionata a scriverne uno nuovo. Al pari di Fatah, Hamas si staccò dalla Fratellanza Musulmana, l´organizzazione che si dedicava al proselitismo nelle società arabe. Mentre i capi di Fatah si resero indipendenti dalla dirigenza della Fratellanza per perseguire la lotta armata, quelli che sarebbero divenuti i leader di Hamas si concentravano su questioni interne: la loro priorità era la trasformazione in senso religioso della società palestinese, non il confronto militare con Israele. Paradossalmente, delle due organizzazioni, è oggi Hamas a poter vantare un pedigree militare di tutto rispetto. Un "pedigree militare di tutto rispetto"? Si allude qui alle stragi di civili?
E in assenza di un confronto militare prolungato, è Hamas ad avere altre risorse politiche a sua disposizione. Dal punto di vista del presidente palestinese, è meglio avere Hamas all´opposizione all´interno delle istituzioni palestinesi, piuttosto che fuori. Abu Mazen non si fa molte illusioni sul fatto che Hamas possa in breve tempo rinunciare all´uso della violenza, accettare una coesistenza di lungo periodo con Israele, o le politiche di una Palestina indipendente. Eppure, una volta che Hamas sarà entrata nel Consiglio Legislativo, comincerà a vedere le cose in modo diverso, e dovrà persino accettare quelle decisioni di maggioranza che si sarà trovata a contrastare. Hamas può certo aspirare al lusso di partecipare senza avallare ogni decisione, ma non potrà partecipare senza accettarle. Abu Mazen spera che, dando tempo al tempo, offrendo garanzie da parte dell´Autorità, e lasciando che l´opinione pubblica eserciti le sue pressioni, Hamas permetterà al suo pragmatismo di elaborare nuove e diverse politiche. Hamas è certo capace di sponsorizzare attentati suicidi, ma non è un´organizzazione suicida. D´altra parte, un confronto diretto andrebbe incontro a pericoli ben maggiori. Hamas è diventata parte integrante della società, ha messo radici sociali e culturali profonde, e si è guadagnata la lealtà di un numero significativo di palestinesi. Ogni tentativo di disarmarla con la forza mentre perdura l´occupazione israeliana provocherebbe forti resistenze, al punto di scatenare una guerra civile. Dopo tutto, Sharon, che può contare su un potere istituzionale e militare ben maggiore, fa di tutto per evitare un conflitto aperto con i suoi coloni, che rappresentano un gruppo irrisorio rispetto ad Hamas. I coloni non sono un’organizzazione terroristica dedita alle stragi contro la popolazione civile palestinese. In ogni caso, Sharon fa, ovviamente, il possibile per evitare lo scontro, ma ciò non gli impedisce di procedere con determinazione sulla via del disimpegno da Gaza. Fondata per guidare il popolo palestinese alla liberazione, Fatah ha perso la sua ragion d´essere prima ancora di aver raggiunto i suoi obiettivi. E oggi è difficile dire per cosa si batta, chi rappresenti, e cosa la distingua dall´Autorità Palestinese. Il che ha lasciato un vuoto al centro della politica palestinese, e l´ascesa di Hamas è solo una delle conseguenze. Le elezioni parlamentari, tuttavia, non saranno solo un confronto diretto tra Fatah e Hamas. Molti palestinesi voteranno in base alle famiglie e ai clan di appartenenza, e non saranno influenzati più di tanto dai programmi politici. Entrambe le formazioni si preoccupano di come saranno percepite (Hamas come troppo estremista, Fatah come arrogante e opportunista) e cercheranno senza dubbio di reclutare candidati indipendenti e rispettabili. Rimane comunque certo che il confronto diretto tra le due formazioni è il tema più interessante delle elezioni, destinato a pesare sul futuro delle relazioni tra Israele e i palestinesi. L´integrazione di Hamas nel processo politico e la ripresa di Fatah sono requisiti indispensabili per le possibilità di successo di qualunque strategia diplomatica Abu Mazen voglia mettere in atto. Il mantenimento del cessate il fuoco ha bisogno del consenso degli islamici, il che implica inevitabilmente concedere loro una posizione adeguata nel sistema politico. Il negoziato con Israele sulle questioni più spinose del contenzioso richiede un consenso ampio intorno a una piattaforma che goda di legittimità e di appoggio popolare. Nulla di tutto ciò sarà possibile senza risolvere, o quanto meno aggirare, la contraddizione che ha tormentato il movimento nazionale palestinese sin dagli anni 90. Come si possono costruire istituzioni in regime di occupazione? E come si può resistere all´occupazione mentre si è impegnati nel processo pacifico della costituzione di uno Stato? Questa descrizione della politica palestinese negli anni 90 è del tutto falsata. Dopo Oslo era in corso un processo negoziale, che ridusse progressivamente la presenza delle truppe israeliane nei territori, ampliando progressivamente l’autonomia dei palestinesi. Il problema di "combattere l’occupazione" era dunque inesistente. Restavano quelli di costruire uno Stato, e di raggiungere un accordo con Israele. Nella soluzione di questi problemi l’Anp ha clamorosamente fallito, proprio perché non ha saputo abbandonare la strategia della "lotta armata" contro Israele (non contro l’occupazione). Nel corso degli anni, la contraddizione ha arrecato beneficio a Hamas e logorato Fatah, i cui ingegneri istituzionali si sono dimostrati privi di scrupoli e hanno ridotto al silenzio gli oppositori interni. Abu Mazen riflette fedelmente questa contraddizione, nel modo in cui cerca di combinare i suoi attuali convincimenti e le sue radici. Preoccupato per lo stato di caos oggi prevalente, sembra aver adottato con decisione un piano d´azione statuale, convinto che le riforme, nuove istituzioni e l´affermazione di uno stato di diritto siano essenziali per il benessere dei palestinesi. Non si possono d´altra parte dimenticare i decenni spesi da militante per i diritti del suo popolo: in questo, Abu Mazen resta in tutto e per tutto un leader che aspira alla liberazione, che si preoccupa per gli effetti rilassanti della prosperità economica, del riconoscimento diplomatico, e della costituzione di un mini-stato a Gaza e in parte della West Bank. Gli effetti "rilassanti" della "costituzione di un mini-stato a Gaza e in parte della West Bank" distoglierebbero, per Abu Mazen e per gli autori dell’articolo, i palestinesi dalla lotta per la "liberazione". Della "Palestina" dall’ "entità sionista"? Tra i leader di Fatah, Abu Mazen è uno degli ultimi a preoccuparsi seriamente per il dilemma in cui si trova, convinto com´è della tensione inevitabile tra costruzione dello stato e liberazione, angustiato per il fatto che privilegiare un aspetto potrebbe far fallire l´altro, sempre alla ricerca di un punto di equilibrio tra le due esigenze. Certo della possibilità di una soluzione negoziata e permanente del conflitto, è determinato a far cessare la violenza, e a costruire una società più trasparente e fondata sul diritto. Quando rappresentanti di Israele lo descrivono come vicino ad Arafat nei suoi obiettivi politici, pensano a un solo aspetto del suo pensiero. Si preoccupano dei suoi trascorsi nella Fatah di un tempo, della sua prospettiva di liberazione nazionale, dei suoi legami con la diaspora palestinese. Abu Mazen non ignora questi sospetti, e per certi versi li comprende. Ma non se ne preoccupa più di tanto. (Traduzione di Pietro Corsi. Per concessione di The New York Review of Books-la Rivista dei Libri). Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.