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Il Manifesto Rassegna Stampa
15.06.2005 Il quotidiano comunista scopre gli israeliani poveri, ma solo per contestare i risarcimenti ai coloni di Gaza
una polemica miope e ipocrita

Testata: Il Manifesto
Data: 15 giugno 2005
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Hotel Palm Beach, Fort Alamo dei coloni»
IL MANIFESTO di mercoledì 15 giugno 2005 pubblica a pagina 8 l'articolo di Michele Giorgio "Hotel Palm Beach, Fort Alamo dei coloni".

Segnaliamo una frase particolarmente ipocrita: "I generosi risarcimenti governativi messi a disposizione dei settlers che per oltre 30 anni hanno vissuto a Gaza in violazione aperta delle risoluzioni internazionali - gli israeliani più deboli e poveri, invece si sono visti tagliare in questi ultimi anni i sussidi statali - hanno convinto la maggior parte dei 7.000 abitanti degli insediamenti da evacuare, a trasferirsi in Israele (ma anche nelle colonie cisgiordane)".
In realtà i coloni residenti a Gaza non violavano il diritto internazionale, che consente per motivi strategici l'insediamento di civili in zone conquistate in guerra.
In ogni caso il diritto internazionale non può annullare il diritto di proprietà, e risarcimenti dovuti quando esigenze di sicurezza portano a limitarlo.
La preoccupazione del MANIFESTO per "gli israeliani più deboli e poveri" é meritoria, ma sarebbe meno sospetta se fosse manifestata anche quando si tratta di valutare gli effetti sociali ed economici della guerra scatenata dal terrorismo palestinese. Al contrario il quotidiano comunista accusa sovente Israele di impoverire la popolazione palestinese con le misure che prende per difendersi dal terrorismo, ma non ha mai accusato il terrorismo di impoverire la popolazione israeliana. Che vi sia un collegamento tra quattro anni di "intifada" e crescita della povertà in alcuni settori della popolazione israeliana è invece evidente.
Oltre che ipocrita e infondata la polemica sui risarcimenti ai coloni appare piuttosto miope. E' evidente che la conflittualità politica prodotta in Israele dal piano di disimpegno deve essere contenuta. Ed è altrettanto evidente che sloggiare semplicemente i coloni dalle loro case, senza risarcirli, in quanto "trasgressori del diritto internazionale" andrebbe nella direzione opposta e sarebbe un passo che nessun governo israeliano potrebbe permettersi.

Ecco il testo:

Per gli irriducibili di Maoz Ha-Yam, l'ex hotel «Palm beach» delle colonie ebraiche di Gush Qatif, i giudici della Corte suprema sono «strumenti nelle mani degli arabi e della sinistra». Le loro sentenze sono soltanto «pezzi di carta». In questa roccaforte dell'estremismo nazional-religioso, la Fort Alamo della resistenza contro il piano di ritiro israeliano da Gaza, gli unici «codici internazionali» che contano sono la Torah e gli altri testi ebraici. «Questa è Erez Israel» (la biblica Terra d'Israele, ndr) e non la patria degli arabi; per portarci via da qui dovranno usare la forza e, possono esserne certi, non troveranno degli agnellini pronti ad arrendersi», avverte Moshe (non rivela il cognome per «motivi di sicurezza») commentando la recente sentenza della Corte suprema che ha proclamato la legittimità del piano di evacuazione delle colonie e, più di tutto, che Gaza non è parte del territorio dello Stato d'Israele. Per il colono Moshe, i massimi giudici sono dei «traditori del sionismo», gli stessi giudici che qualche settimana fa hanno dato il via libera alla costruzione del muro intorno all'insediamento ebraico di Ariel, a sud ovest di Nablus, che permetterà a Israele di annettersi in futuro un'altra ampia porzione di Cisgiordania. I generosi risarcimenti governativi messi a disposizione dei settlers che per oltre 30 anni hanno vissuto a Gaza in violazione aperta delle risoluzioni internazionali - gli israeliani più deboli e poveri, invece si sono visti tagliare in questi ultimi anni i sussidi statali - hanno convinto la maggior parte dei 7.000 abitanti degli insediamenti da evacuare, a trasferirsi in Israele (ma anche nelle colonie cisgiordane). Altri invece pensano di attuare una breve «resistenza passiva» di carattere simbolico. Quelli di Maoz ha-Yam invece intendono far uso anche della violenza contro la «pulizia etnica degli ebrei attuata da altri ebrei». Per esercito e polizia quelli di metà agosto saranno giorni difficili. Decine di estremisti delle colonie più militanti della Cisgiordania, in particolatre della zona di Hebron, si sono trasferiti alla spicciolata a Gaza nonostante il (blando) divieto delle autorità, per rafforzare la protesta dei più «moderati». Lo stesso stanno facendo i fanatici che popolano gli insediamenti ebraici della zona di Nablus come Yitzhar, Itamar e Alon Moreh - «l'avanguardia del volere di Dio» - nelle quattro piccole colonie della Cisgiordania vicine a Jenin che verranno sgomberate assieme a quelle di Gaza. L'hotel «Palm Beach», ora Maoz Ha-Yam (fortino sul mare), è una costruzione bianca, lunga e bassa in cemento armato, adagiata sulla splendida spiaggia che i palestinesi della vicina città di Khan Yunis non hanno più potuto raggiungere da quando è stata costruita Newe Dekalim, il «capoluogo» di Gush Qatif. I coloni in passato pensavano di farlo diventare il terminale del flusso del turismo «mistico-religioso» che ispira soprattutto le migliaia di americani di origine ebraica che ogni anno giungono in Israele. L'Intifada invece ha messo fine alle velleità di chi pensava di perpetuare all'infinito l'occupazione delle terre palestinesi. Il Palm Beach, abbandonato, con i vetri rotti e le porte spalancate ai venti, oggi è un rudere, il simbolo del fallimento della colonizzazione israeliana di Gaza. Oppressione e normalità non camminano mai assieme. Da alcune settimane gruppi di estremisti hanno cominciato a restaurare l'hotel, sistemando porte e finestre, imbiancando i muri, riparando tubi e fili elettrici. Vi abitano già una quindicina di famiglie guidate da Baruch Marzel, leader del gruppo «Fronte ebraico» ed ex dirigente del disciolto movimento razzista anti-arabo «Kach», assistito nell'operazione da due note attiviste di estrema destra, Nadia Matar, leader delle «Donne in verde» (nemiche giurate delle pacifiste «Donne in nero»), e Datya Itzhaki.

Quest'ultima ha rivolto critiche durissime ai coloni di Gush Qatif decisi ad accettare il risarcimento del governo e lasciare pacificamente Gaza. Il loro atteggiamento, ha affermato, falsa la lotta dei «veri coloni». Nadia Matar da parte sua ha annunciato che a Maoz ha-Yam verranno ospitate fino a 110 famiglie (provenienti da altri insediamenti ebraici) e che nelle sue vicinanze verranno costruite nuove case. Forti dei sondaggi che danno in progressivo calo, ormai sotto la soglia del 50%, il sostegno dell'opinione pubblica israeliana al piano di ritiro, diverse organizzazioni estremiste promettono di portare a Gush Katif oltre 150.000 persone in agosto. Una cifra gonfiata, ma che lascia comunque immaginare l'ampiezza dell'opposizione alla evacuazione delle colonie. «Il nostro piano di pace è chiaro: tutti devono tornare a casa - dice beffarda Nadia Matar - gli ebrei alla loro terra promessa e i palestinesi a casa degli arabi».
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