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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.06.2005 La Siria rende strabico il Corriere
Olimpio la conta giusta, Romano no

Testata:Corriere della Sera
Autore: Guido Olimpio-Sergio Romano
Titolo: «I servizi siriani-la difficile eredità»
Più che squilibrato il CORRIERE della SERA di oggi 11-6-2005.
In un articolo ben documentato Guido Olimpio descrive come i servizi segreti siriani stiano preparando l'eliminazione di politici libanesi non "graditi" all'ex paese occupante. Il quale non occupa più formalmente ma sostanzialmente mantiene sul Libano ancora un forte potere.
Nella sua rubrica invece Sergio Romano traccia un ritratto del dittatore Assad e del paese in generale e dipinge il tutto di rosa. Romano assomiglia sempre di più con il passare degli anno a Gianni Minà, il non dimenticato intervistatore aduso a intervistare i dittatori in ginocchio e a testa china.
Leggere per credere.
Riportiamo per primo il pezzo di Olimpio, poi quello di Romano.
Una lettera al direttore Paolo Mieli sulle contraddizioni del suo giornale ci starebbe bene, per chiedergli come il CORRIERE della SERA da lui diretto concilia la posizione del giornale, ostile a qualunque dittatura, con quella di Romano, che attacca gli USA e liscia la Siria. Incredibile !

« I servizi siriani hanno una lista nera di politici libanesi »

Una lista nera con i nomi di politici libanesi da eliminare, un piano per destabilizzare il Paese dei Cedri. Ad appena sei settimane dal ritiro delle truppe la Siria avrebbe ripreso a tessere una trama per mantenere il controllo su quello che considera il cortile di casa.
L'accusa viene dagli Stati Uniti. Preceduta da indiscrezioni sulla stampa americana, la Casa Bianca ha accusato Damasco di mantenere, in modo clandestino, una rete di 007. « Siamo profondamente preoccupati dalle interferenze della Siria in Libano... Sono coinvol ti elementi dell'intelligence » , ha affermato il portavoce Scott McClellan. Per le autorità americane Damasco avrebbe violato l'impegno a ritirare tutte le sue forze — 007 compresi — entro il 26 aprile.
Ma al mancato ritiro, secondo le rivelazioni comparse su Washington Post eNew York Times , si è accompagnata un'attività segreta da parte dell'intelligence siriana. Le spie di Damasco, secondo l'accusa, potrebbero scatenare una campagna di omicidi mirati, spazzando via quanti fino ad oggi han no contestato l'egemonia siriana. Dopo l'uccisione dell'ex premier Rafik Hariri e del noto commentatore Samir Kassir, i sicari potrebbero eliminare esponenti drusi e cristiani. Un piano per far rimpiombare il Libano nel caos spingendolo verso un conflitto inter etnico che potrebbe in qualche modo giustificare un ritorno della tu tela di Damasco.
Fonti concordanti sostengono che i siriani hanno creato basi d'appoggio per i loro agenti nella valle libanese della Bekaa e nei campi profu ghi. Un'infiltrazione agevolata dall'Hezbollah ( movimento filo iraniano), da partiti libanesi locali e soprattutto dalle fazioni radicali palestinesi. Il gruppo fondato da Jibril ad esempio ha messo a disposizione le sue strutture. Lo stesso hanno fatto organizzazioni minori operanti nella regioni meridionali. Esponenti libanesi, a partire dal druso Walid Jumblatt, sostengono che Damasco, dopo aver chiuso il quartier generale dei servizi vicino al confine, ha sparpagliato i suoi agenti e li ha rimandati in Libano. Esperti americani non escludono che eventuali omicidi possano essere affidati a elementi locali in modo da depistare le indagini.
La bordata di Washington ha spinto sulla difensiva Damasco, peraltro impegnata a discutere eventuali riforme del regime. L'ambasciatore all'Onu Faysal Mekdad ha reagito con sorpresa alle accuse: « Sono certo che non vi siano nostri agenti in Libano » E il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha deciso di inviare a Beirut una missione incaricata di verificarlo.
Guido Olimpio
Siria: la difficile eredità di un riformatore sfortunato

Vorrei porle un quesito: che cosa pensa del giovane presidente siriano Assad? Tempo fa ho letto una sua biografia in cui si diceva che si è laureato in medicina e specializzato in oftalmologia in Gran Bretagna; una persona con una formazione di tale livello, che ha vissuto per tanti anni in Europa, non può avere la stessa mentalità del padre.
Ritengo che sia sinceramente animato dal desiderio di modernizzare il suo Paese, ma che debba scontrarsi con la corruzione, l'enorme potere delle forze armate e dei servizi segreti, l'organizzazione di stampo sovietico dello Stato siriano. Mi sbaglio? Leandro Lioce leandrolioce@ libero. it

Caro Lioce, come altri Stati mediorientali ( l'Egitto di Mubarak e l'Iraq di Saddam Hussein prima della guerra), la Siria è una repubblica monarchica dove il capo dello Stato trasmette il potere a uno dei propri figli. Il giovane Bashar, figlio di Hafez al Assad, presidente dal 1971 al 2000, non era il principe ereditario. Viveva a Londra, dove coltivava la sua duplice passione ( oftalmologia e informatica), quando la morte del fratello Basil, nel 1994, lo costrinse a ritornare precipitosamente in patria. Cominciò da quel momento la formazione di un leader ventottenne che avrebbe dovuto governare, non appena fosse giunto il suo momento, con il sostegno delle forze armate e dei servizi segreti: accademia militare di Homs, scuola di stato maggiore, tenente colon nello nel 1997, colonnello nel 1999. In un lungo profilo biografico Lorenzo Trombetta, autore di un documentato libro sulla Siria apparso alla fine dell'anno scorso presso gli Editori Riuniti, racconta che il padre ebbe l'accortezza di promuovere insieme a lui un gruppo di giovani ambiziosi che avrebbero associato la loro fortuna politica a quella del delfino e lo avrebbero protetto dalle insidie dei concorrenti più anziani. Contemporaneamente Bashar cominciò ad avere un ruolo politi co e si distinse, tra l'altro, per una campagna contro la corruzione lanciata nel 1997. Fu un buon segnale, anche se in molti casi la pulizia delle stalle, in Medio Oriente, prende di mira i nemici e risparmia gli amici. L'incoronazione ebbe luogo, in stile baathista, immediatamente dopo la morte del padre, nell'estate del 2000. Il congresso nazionale del partito Baath lo proclamò segretario generale e rinnovò i propri direttivi per fare spazio agli alleati del nuovo raìs. Il Parlamento dovette modificare la costituzione ( un articolo prevedeva che il capo dello Stato non avesse meno di 40 anni) e lo acclamò presidente. La procedura non fu un esempio edificante di buona democrazia, ma la scelta cadde probabilmente sul leader più riformatore e modernizzatore. Le circostanze, tuttavia, non gli furono favorevoli. L'elezione di George W. Bush alla Casa Bianca, la vittoria elettorale di Ariel Sharon in Israele, l'attacco alle torri gemelle, l'offensiva dell'America contro gli « Stati canaglia » e la guerra irachena hanno isolato la Siria. Non è facile, in queste circostanze, smantellare i « poteri forti » del regime, vale a dire quei gruppi al vertice dello Stato che agitano la bandiera del nazionalismo e gli imperativi della sicurezza per meglio conservare il potere e accumulare ricchezze. Il caso del Libano è esemplare. La Siria ha avuto un ruolo determinante nella pacificazione del Paese, ma la sua presenza militare garantiva probabilmente, insieme a qualche comprensibile esigenza politica, un ingarbugliato intreccio di affari illeciti, investimenti, speculazioni, contrabbando. Anche Bashar Assad, del resto, riconosce che il lavoro resta largamente incompiuto. A una domanda di Antonio Ferrari che lo intervistava per il Corriere della Sera nell'autunno del 2003 e lo interrogava sul problema dei dirit ti umani nel suo Paese, il leader siriano ha risposto di non essere soddisfatto e ha ammesso di avere di fronte a sé « un lungo e difficile cammino » . Ma ha puntato contemporaneamente il dito contro gli americani, responsabili del caotico dopoguerra iracheno, e gli israeliani, indifferenti ai diritti dei 500.000 siriani nel Golan occupato. Da allora, per lui, le cose non sono migliorate. Gli americani sostengono che l'intelligence di Damasco consente ai militanti islamici di entrare in Iraq attraverso il territorio siriano. La comunità internazionale lo ha costretto ad abbandonare il Libano. E in Siria il clero musulmano tradizionalista approfitta della sua debolezza per rialzare la testa. Qualcuno, giustamente a mio avviso, sostiene che non è utile tenerlo continuamente nell'angolo dei cattivi e che il congresso del partito Baath, attualmente in corso a Damasco, potrebbe offrire una sia pur modesta prospettiva di cambiamento. Ma non mi sembra che gli Stati Uniti, per il momento, siano disposti a cambiare politica.
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