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La Repubblica Rassegna Stampa
10.06.2005 Titoli scandalistici e analisi fondate su equivoci
due pagine di informazione scorretta

Testata: La Repubblica
Data: 10 giugno 2005
Pagina: 23
Autore: Alberto Stabile - un giornalista - Lucio Caracciolo
Titolo: «L'armata dei coloni bambini dimenticati nelle carceri - Corano violato in cella, ecco la foto - Il progetto americano che allarma Gerusalemme»
LA REPUBBLICA di venerdì 10 giugno 2005 pubblica a pagina 23 un articolo di Alberto Stabile intitolato "L'armata dei coloni bambini "dimenticati" nelle carceri".
In realtà l'articolo illustra solo un caso in cui una dodicenne è stata arrestata durante un blocco stradale senza che i genitori la reclamassero e uno in cui dieci minori (di cui non viene specificata l'età) si sono rifiutati di dire il proprio nome e cognome durante un processo.
Complessivamente l'articolo sembra affrontare in modo scandalistico la questione della partecipazione di minori alle manifestazioni contro il ritiro.
Tanta attenzione al fenomeno stupisce, in un giornale che non ha affrontato la questione, ben più grave, della militarizzazione dell'infanzia palestinese, spinta a partecipare a scontri a fuoco e ad aspirare al "martirio", non a prendere parte a blocchi stradali.

Ecco il testo:

C´è un esercito di bambini che si batte contro il ritiro da Gaza. Sono gli shabab dell´"intifada arancione" scatenata dai coloni che si rifiutano di abbandonare gli insediamenti del Gush Katif, e nella battaglia contro il Piano di disimpegno voluto da Sharon, hanno arruolato, d´ufficio, i loro figli. Non solo li hanno arruolati, ma li hanno anche addestrati alla guerriglia urbana, ad applicare la tattica del mordi e fuggi con le forze dell´ordine, a bloccare gli ingressi alle città, i cancelli di scuole e uffici pubblici, le autostrade. E poi, se arrestati, a tacere anche davanti al più severo dei magistrati o al più scaltro dei poliziotti. E´ così che la Procura generale, sentendosi impotente davanti a questi miliziani in erba, ma audaci e risoluti come professionisti della guerriglia, ha minacciato di sottrarli alla potestà dei legittimi genitori, scatenando un coro di proteste.
I numeri, spesso, parlano da soli. Delle 700 persone arrestate finora per aver preso parte a manifestazioni violente contro il ritiro, la metà circa, 348, sono minori e fra questi sono in molti ad avere meno di 14 anni e, dunque, per la legge israeliana non sono punibili. I loro genitori devono tuttavia aver pensato che, benché non punibili, i loro bambini-guerrieri possono, comunque, essere fonte d´imbarazzo, d´incertezza, di confusione, per l´autorità che deve, anche se per un breve periodo, tenerli in custodia.
Al di là delle statistiche, quello che colpisce in qualsiasi manifestazione di protesta contro l´evacuazione è l´età media dei partecipanti. La stragrande maggioranza sono adolescenti, spesso poco più che bambini. Le ragazzine portano le gonne lunghe di jeans, o a fiori, che un tempo usavano gli hippy, ma che qui rappresentano l´applicazione del dettame religioso della modestia. I fanciulli ostentato le loro kippa colorate e ricamate all´uncinetto, segno di militanza nazionalista e religiosa insieme. Oggi è d´obbligo una maglietta, un nastro, un indumento qualsiasi di colore arancione, il colore della lotta.
E´ negli ultimi due mesi, da quando la protesta dei coloni ha assunto toni più decisi e talvolta violenti, che sono entrati in scena veri e propri commando metropolitani di guerriglieri-bambini. Compaiono all´improvviso su un´arteria o uno snodo stradale. Possono bloccare il traffico stendendosi per terra, come hanno fatto diverse volte alle porte di Gerusalemme, o incendiare pile di copertoni nascosti nei paraggi durante la notte (sistema usato spesso per paralizzare le autostrade). All´arrivo della polizia non scappano, ma si lasciano docilmente ammanettare, salvo vandalizzare le celle, tanto sanno che non potranno essere puniti.
Grande è stato lo stupore di un gruppo di investigatori quando, tre settimane fa, dopo aver interrotto un blocco stradale arrestando alcune dimostranti, si sono ritrovati di fronte una bambina di 12 anni che, richiesta di declinare le generalità, se n´è rimasta a bocca chiusa, senza tradire emozione. Ma ancor più sorprendente è stato scoprire che, nelle tre settimane successive, nessuno della famiglia s´è presentato al Russian Compound, la vecchia prigione di Gerusalemme, per chiedere di riportarla a casa.
Soltanto quando il giudice dell´udienza preliminare ha minacciato di applicare la legge per la tutela dell´infanzia i parenti diretti si sono palesati. Nel caso che i genitori si rendano responsabili di estrema trascuratezza nei confronti dei figli (sottrazione all´obbligo scolastico, maltrattamenti, istigazione a delinquere) la legge israeliana prevede che il giudice possa dichiarare il minore «bambino bisognoso», sottrarlo ai genitori che hanno violato i loro doveri e metterlo in affidamento.
Quello della bambina di 12 anni non è stato un caso isolato. Ieri mattina sono stati portati davanti al Tribunale di Tel Aviv 30 minori arrestati dopo aver bloccato il traffico, danneggiando alcuni semafori e segnali stradali vari, nella solita protesta anti-ritiro. Venti di loro hanno accettato di declinare le generalità e sono stati riconsegnati alle famiglie (con alcune limitazioni alla libertà di movimento) dieci si sono rifiutati di dire nome e cognome e sono stati ricondotti in carcere.
Che la tattica del silenzio sia il frutto di un piano preordinato, la polizia non lo dubita. Questi ragazzi, senza eccezione, hanno il pieno appoggio dei loro genitori che li considerano «soldati a tutti gli effetti», nella guerra contro l´«immorale politica dell´espulsione» del governo Sharon. E´ per rompere questa catena di omertà parentale che la procura generale ha minacciato di applicare la legge sull´infanzia contro i padri e le madri di questi imberbi «prigionieri politici».
Ma subito s´è levato un coro d´indignazione. Il vice ministro del Walfare, Avraham Ravitz, ha paragonato la proposta della procura alle misure in vigore nella Russia di Stalin, quando i bambini venivano sottratti agli oppositore del regime, i quali, dopo essere stati definiti «pazzi», venivano privati dei loro figli. Anche alcuni genitori, trincerandosi dietro l´anonimato, per non scoprire i figli arrestati, si sono scagliati contro la procura, definendo la proposta dei magistrati «anti-democratica e dittatoriale».
A pagina 22 il trafiletto "Corano violato in cella, ecco la foto". La prima frase dell'articolo recita: "La Jihad islamica ha mostrato le foto del Corano profanato nella prigione israeliana di Megiddo".

Ovviamente la foto non mostra un "Corano violato". La foto non mostra neppure, a maggior ragione, un "Corano profanato nella prigione israeliana di Megiddo". La foto mostra un Corano con le pagine strappate, in quali cirsostanze ciò sia avvenuto non è visibile nell'immagine. Il titolo e l'incipit dell'articolo sono dunque ingannevoli.

Ecco il testo:

GERUSALEMME - La Jihad islamica ha mostrato le foto del Corano profanato nella prigione israeliana di Megiddo. Due copie del testo sacro per i musulmani con le pagine strappate. Il principale quotidiano d´Israele, Haaretz, ha pubblicato ieri le immagini, scattate dai detenuti palestinesi. Durante una perquisizione nelle celle, i secondini avrebbero strappato il Corano.
La direzione del carcere nega e spiega che i volumi erano rilegati male, ma un gruppo di detenuti da ieri rifiuta il cibo e le visite per protestare contro le violazioni.
Sempre a pagina 22 LA REPUBBLICA pubblica un articolo di Lucio Caracciolo "Il progetto americano che allarma Gerusalemme", che riportiamo
Tesi: Israele ha vinto. La seconda Intifada si è risolta nel suicidio della causa palestinese. Il terrorismo non ha scompaginato la società israeliana né stroncato la sua economia. Il muro - o "barriera di separazione" nella dizione di Gerusalemme - funziona. La piazza araba è sempre meno propensa a entusiasmarsi per i palestinesi. Bush è allineato con Sharon. Sepolto Arafat, liquidato Saddam, messa in un angolo la Siria di Bashar al Assad, accerchiato l´Iran degli ayatollah dall´impressionante schieramento di basi e truppe americane tra Afghanistan e Golfo Persico, con i regimi egiziano e saudita impegnati nella lotta per sopravvivere contro le stesse reti dell´islam radicale che vorrebbero distruggere l´"entità sionista", chi minaccia ancora l´esistenza di Israele? Di più, lo Stato ebraico sta espandendo il suo raggio d´influenza in Medio Oriente, quasi a configurarsi come la massima potenza regionale.
Antitesi: Israele ha solo guadagnato tempo. Arabi e islamici non accetteranno mai "l´entità sionista". L´odio per gli ebrei resta moneta corrente nelle società mediorientali. I jihadisti hanno sequestrato la causa palestinese. I regimi di polizia che nella regione si sentono stretti nella tenaglia del radicalismo islamico e della democratizzazione sponsorizzata dagli Stati Uniti non possono accedere a una vera pace con lo Stato ebraico, pena il loro rovesciamento. E se davvero si votasse liberamente, in molti paesi arabi trionferebbero gli arcinemici dell´Occidente e di Israele. In ogni caso, Bush non è eterno, né può schiacciarsi per sempre su Sharon.
Infine, la demografia resta l´arma atomica dei palestinesi: entro il 2020 nello spazio fra Mediterraneo e Giordano (Israele più Territori occupati) vi sarà una chiara maggioranza araba. L´antico dibattito che affaticò il movimento sionista fin dalle origini, se il futuro Stato dovesse essere ebraico o di ebrei (Judenstaat), verrebbe risolto a favore degli arabi. Fine di Israele e battesimo dell´"Israstina" a suo tempo auspicata da Gheddafi, secondo la formula "due popoli in uno Stato".
Sintesi: il futuro resta incerto, ma oggi lo Stato ebraico è più forte che mai.
Il segreto del successo di Sharon sta nell´11 settembre. Senza lo "Yom Kippur americano" - riferimento all´attacco arabo a sorpresa che nel 1973 traumatizzò gli israeliani - Washington e Israele non si sarebbero trovati abbracciati nella medesima trincea. (…)
Ma oggi fra Bush e Sharon rischia di emergere una dissonanza strategica, legata alla campagna per l´espansione della democrazia nel mondo, il cavallo di battaglia scelto dal presidente Usa per il suo secondo mandato. Elezioni più o meno libere e oneste ne sono un passaggio inevitabile. Applicata al Medio Oriente tale ricetta significa la probabilità che molti regimi autoritari, oggi più o meno vicini agli Stati Uniti, siano travolti dalle formazioni che si richiamano all´islam politico e detestano l´"imperialismo americano" in quanto garante dell´"entità sionista". Il voto sancirebbe quindi "democraticamente" l´aborto delle speranze di libertà e di democrazia. E minerebbe l´influenza statunitense anziché radicarla. Un caso da manuale di incompatibilità fra valori e interessi, difficilmente digeribile per la mentalità americana.
Ma se Washington può pragmaticamente bilanciare nel tempo e nello spazio quest´aporia - ad esempio tenendo in piedi regimi illiberali ma utili, come quello giordano, la dittatura militare pachistana e financo la petromonarchia saudita - per Gerusalemme la scelta sarebbe tra la vita e la morte. Una costellazione di regimi islamisti, legittimati dal consenso popolare quanto disposti ad impugnare le armi contro Israele, sarebbe un incubo. Tra un nemico mortale "democratico" - tipo Hamas o Hezbollah - e un autocrate alleato o neutrale, gli israeliani non potrebbero concedersi il lusso del dubbio.
Ci sembra che questa analisi muova da un equivoco. Non è vero che la democrazia, intesa come democrazia liberale, non semplicemente come dominio della maggioranza richieda la partecipazione alle consultazioni elettorali di partiti terroristici (come Hamas, Hezbollah) o la cessione del potere a partiti che voglioni instaurare un totalitarismo (come i Fratelli musulmani in Egitto).
In Italia le Brigate Rosse non hanno mai partecipato alle elezioni, ma questo, ci pare, non ha sovvertito il nostro ordinamento democratico. In Israele il partito Kahch, accusato di razzismo antiarabo, è stato posto fuorilegge per e Israele è una democrazia. Non si vede peer quale motivo il test di democrazia degli stati islamici dovrebbe essere la partecipazione alle elezioni delle forze politiche che vogliono distruggere Israele.


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