La sentenza sul ritiro da Gaza non condanna il sionismo come invece afferma Janiki Cingoli in un'intervista al quotidiano cattolico
Testata: Avvenire Data: 10 giugno 2005 Pagina: 11 Autore: Luca Geronico Titolo: ««Con questa sentenza il sionismo non ha più fondamento giuridico»»
AVVENIRE di venerdì 10 giugno 2005 pubblica l'articolo "Respinto il ricorso dei coloni «È legale il ritiro da Gaza»" nel quale si legge:
i rappresentanti di Hamas e del movimento della Jihad Islamica hanno detto al presidente Abu Mazen che continueranno a rispettare la tregua nei Territori, ma al tempo stesso hanno ribadito che continueranno a reagire duramente a ogni attacco da parte di Israele. I due movimenti hanno detto di aspettare che Abu Mazen fissi una nuova data per le elezioni legislative, rinviate in seguito a irrisolti dissensi sulla nuova legge elettorale. Hamas e Jihad, a quanto si è appreso, hanno inoltre accettato di aderire a una commissione che permetterà ai militanti delle diverse fazioni di «consultarsi e di coordinarsi» con l'Autorità nazionale palestinese sul ritiro israeliano dalla Striscia. In realtà Hamas e Jihad hanno continuato ad attaccare Israele con razzi qassam e colpi di mortaio, che non sono stati affatto "risposte" ad attacchi israeliani. Inoltre definire i due gruppi terroristici "movimenti" e i loro membri "militanti" è, a dir poco, eufemistico. AVVENIRE dedica alla sentenza della Corte suprema israeliana anche un'intervista di Luca Geronico all'analista Janiki Cingoli. Il titolo scelto per l'intervista riprende un'affermazione incomprensibile di Cingoli, secondo la quale la sentenza sulla legitimmità del trasferimento dei coloni, toglierebbe "fondamento legale" al sionismo, cioè, se le parole hanno un senso, allo Stato di Israele. Una tesi assurda, se si tiene conto del fatto che l'impianto della sentenza è basata sulla distinzione tra territori israeliani e territori che non fanno parte a dello Stato nono stante in seguito alla guerra del 67 siano sotto il suo controllo. E' ovvio che Israele, e con esso l'autodeterminazione del popolo ebraico in Terra di Israele e il progetto sionista, debbono preliminarmente essere riconosciuti come legittimi perchè la sentenza abbia un valore, e anche solo un significato.
Se invece Cingoli si riferiva non al sionismo, ma alla rivendicazione di Cisgiordania e Gaza come parte dello Stato di Israele, avrebbe dovuto essere più chiaro (se lo è stato AVVENIRE doveva riferire le sue parole più fedelmente).
Ecco il testo dell'intervista «Per la prima volta una sentenza israeliana afferma che la Cisgiordania e Gaza sono terre conquistate durante la guerra, ma non sono parte di Israele», sottolinea Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente. «Una affermazione - prosegue l'analista politico - che colpisce al cuore l'ideologia del "Grande Israele". Un punto fermo: si ammette un danno al diritto di proprietà dei coloni, ma per la Corte è una violazione commisurata agli scopi politici e di sicurezza. Una sentenza che toglie qualsiasi fondamento giuridico al sionismo». Come reagiranno i coloni e la società israeliana? In febbraio il consenso al piano era 65%, l'ultimo sondaggio si attesta al 48%. Fluttuazioni dovute al momento di incertezza, ma ritengo che ci sia un ampio consenso al piano di ritiro sia da parte israelana che palestinese: il governo israeliano di unità nazionale si appoggia ai due terzi del Likud, al Labour, allo Yahad di Beilin, allo Shinui e i 4 deputati arabi. Inoltre il 45-50% dei coloni di Gaza ha già accettato le condizioni di rimborso del governo e si stima che si giungerà al 60%. Una componente estremistica dei coloni potrebbbe opporsi con tutti i mezzi allo sgombero in collegamento con l'estrema destra religiosa che è uscita dal governo per questo. Ma per quanto rumorosi sono una minoranza. Certo, una minoranza pericolosa come ci ricorda tragicamente l'assassinio di Rabin. Il vice-ministro della Difesa israeliano mi ha confermato che si stanno prendendo delle precauzioni per evitare incidenti. La polizia procederà disamata e solo di rincalzo interverrà l'esercito: se poi ci saranno delle vittime la reazione nell'opinione pubblica sarà diversa se queste saranno fra i coloni o fra i poliziotti. Un passaggio difficile, denso di rischi, ma in un clima di grande consenso sociale. Una «ritiro unilaterale» voluto da Sharon. Ma poi tutto si è messo in movimento nella regione... Il ritiro era unilaterale quando fu concepito il 18 dicembre 2003 come ripiegamento su una nuova linea difensiva. Poi è morto Arafat e Sharon ha trovato un interlocutore in Abu Mazen, c'è stato il vertice di Sharm al-Sheick e la visita del presidente dell'Anp da Bush. Questo non ha spento le accuse incrociate: "l'Anp non combatte il terrorismo", "Sharon non rilascia abbastanza prigionieri". Un contrasto che si spiega con la necessità di rassicurare le rispettive opinioni pubbliche. Tuttavia un dialogo è già in atto: prima del vertice di Sharm al-Sheick attraverso la mediazione egiziana, ora direttamente fra le due parti. Quando si potrà parlare di un nuovo processo di pace?Alla morte di Arafat si sperava in una grabnde svolta, poi entrambi i campi hanno dimostarto una forte vischiosità. Sharon deve fare i conti con gli insediamenti che lui stesso ha contribuito a creare, Abu Mazen con la struttura interna ad al-Fatah, con i gruppi armati, con le elezioni rinviate per paura di una affermazione di Hamas. Sono come dei vettori che creano un equilibrio in continuo movimento: ma nonostante questa vischiosità il processo va avanti. Sono passi intermedi ma molto importanti: non si può pensare di cancellare 4 anni di Intifada e riprendere la trattativa dove era rimasta dopo il vertice di Taba. Certo, fatti questi passi intermedi si ripresentaranno tutti i nodi negoziali irrisolti, ma intanto ci si muove in questa direzione. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.