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La Stampa Rassegna Stampa
07.06.2005 Le violenze palestinesi a Gerusalemme e la questione degli insediamenti illegali: una cronaca e un'analisi corrette
con titoli e sottotitoli sbagliati

Testata: La Stampa
Data: 07 giugno 2005
Pagina: 11
Autore: Aldo Baquis - Yariv Gonen
Titolo: «Guerra di religione nella Cttà Santa - In Csgiordania i coloni non si fermano»
LA STAMPA di martedì 7 giugno 2005 pubblica una corretta cronaca di Aldo Baquis sugli incidenti avvenuti a Gerusalemme lunedì 6 giugno. Scorretto il sottotitolo (I fedeli palestinesi lanciano sassi contro un gruppo di estremisti
ebraici che cercava di entrare nell’area di Al Aqsa. La polizia
israeliana interviene con granate assordanti e proiettili di gomma) che oppone "fedeli palestinesi" a "estremisti ebraici": peccato che gli "estremisti" volessero pregare, i "fedeli" abbiano cercato di impedirglielo lanciandogli contro sassi e ferendoli. Discutiblie il titolo (Guerra di religione nella Cttà Santa), che annuncia una "guerra di religione" che per fortuna non esiste, grazie soprattutto alla sovranità israeliana su Gerusalemme che, se da un lato reprime le aggressioni islamiche contro gli ebrei, dall'altro tiene controllo le provocazioni di gruppi ebraici estremisti come Revavà

Ecco il testo dell'articolo:

Nel 38.mo anniversario della Guerra dei sei giorni, israeliani e palestinesi sono tornati a confrontarsi ieri sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme che si conferma uno dei punti più esplosivi in assoluto della Regione.
Ad accrescere la tensione erano giunti nei giorni precedenti messaggi incendiari da parte di leader religiosi islamici ed ebraici. Ieri la situazione è stata sul punto di precipitare quando un piccolo gruppo di israeliani, intenzionati a visitare a quello che per gli ebrei è il Monte del Tempio (distrutto nel 70 d.C dai legionari di Tito), hanno fatto ingresso nella Spianata dove erano schierati fedeli islamici pronti a difendere col loro corpo, se necessario, la moschea al-Aqsa, terzo luogo sacro per l'Islam.
Una prima eruzione di violenza è stata presto circoscritta e la giornata si è conclusa con un bilancio contenuto: tre israeliani feriti in modo non grave e un palestinese tratto in arresto.
La tensione è altissima nella zona dall'aprile scorso, da quando cioé il minuscolo gruppo nazionalistico ebraico di Revavà ha minacciato di marciare sulla Spianata per sancire il diritto degli ebrei a tornare a celebrarvi riti religiosi interrotti forzatamente duemila anni fa. I nazionalisti ebrei si sono presentati alle porte della Spianata il 10 aprile e il 9 maggio: i dirigenti del Waqf (l'ente per la protezione dei beni islamici in Palestina) hanno temuto che ieri - nell'anniversario della Guerra del 1967 - i nazionalisti ebrei avrebbero cercato di nuovo di penetrare nella Spianata.
In queste settimane l'allarme degli sceicchi palestinesi è cresciuto ulteriormente quando hanno appreso che lo Shin Bet (la sicurezza interna israeliana) ha neutralizzato una piccola cellula di zeloti ebrei che progettavano di sparare un razzo contro la Spianata dal vicino collegio rabbinico Shuvu Banim.
«La moschea al-Aqsa è in pericolo», ha avvertito ieri, in una incendiaria intervista a Voce della Palestina, lo sceicco Tayssir a-Tamimi, capo del tribunali islamici palestinesi. «I gruppi estremisti ebraici hanno deciso di distruggere la moschea al-Aqsa per edificare il loro Terzo Tempio». Preso dalla propria foga retorica, Tamimi ha sostenuto che quei gruppi eversivi beneficiano del sostegno del governo israeliano e che si prefiggono la distruzione del santuario islamico «entro la fine di quest'anno perché - ha spiegato - dopo quella data una maledizione ricadrebbe su di loro».
Nel frattempo anche importanti rabbini israeliani infiammavano gli animi con sermoni di stampo nazionalistico. Nella serata di domenica migliaia di ebrei religiosi si sono stipati a Gerusalemme nel collegio rabbinico Merkaz ha-Rav - élite intellettuale del movimento dei coloni - per deprecare una volta di più la politica «rinunciataria» del premier Ariel Sharon ed inneggiare a quei militari nazionalisti che, rischiando il carcere, si rifiutano di partecipare al prossimo sgombero delle colonie di Gaza.
Uno degli oratori, l'ex rabbino capo Mordechai Eliahu, ha elettrizzato la platea ricordando che «tutta la Terra di Israele è sacra» e che «non esiste persona al mondo, né governo, né premier che possano rinunciare a un solo grano della sua terra». Un comitato di rabbini che si proclamano «Nuovo Sinedrio» hanno chiesto donazioni affinché una equipe di architetti possa progettare un nuovo Tempio di Gerusalemme.
In questo clima surriscaldato, la polizia israeliana si è vista costretta ieri a dislocare tremila uomini attorno alla Città vecchia di Gerusalemme, per mantenere l'ordine. Ma quando i primi israeliani sono comparsi sulla Spianata delle Moschee (accompagnati da alcuni agenti, a loro protezione) si è scatenata la collera dei fedeli islamici che hanno assalito gli «intrusi» con una nutrita sassaiola. Le unità anti-sommossa, appostate nelle vicinanze, sono state allora costrette ad entrare in azione. Ricorrendo a granate assordanti e a proiettili rivestiti di gomma, gli agenti sono riusciti a respingere i dimostranti palestinesi e far uscire gli israeliani. Nel giro di mezz'ora i dirigenti del Waqf palestinese e i responsabili della polizia israeliana sono dunque riusciti a riprendere in pugno la situazione.
Interessante anche l'analisi di Yariv Gonen dedicata agli insediamenti illegali. Gonen riporta le dichiarazioni del consigliere del premier Dov Weisglass, per il quale Israele non può impegnarsi contemporaneamente nel disimpegno da Gaza e e nella rimozione degli insediamenti illegali. Dichiarazioni ignorate da altri giornalisti che hanno affrontato la questione nei loro articolo (come Alberto Stabile su REPUBBLICA).

Il titolo ("In Csgiordania i coloni non si fermano") e il sottotitolo ( "L'allarme di Haaretz: gli avamposti si stanno allargando") forniscono una visione parziale e, uniti a quelli dell'altro articolo, contribuiscono a dare l'idea di un pervasivo estremismo israeliano che minaccia i tentativi di raggiungere la pace.

Ecco l'articolo:

Mentre l'attenzione degli israeliani è polarizzata dai preparativi del grande ritiro da Gaza e del conseguente smantellamento di una ventina di colonie, in Cisgiordania continuano ad estendersi oltre cento avamposti di coloni che lo stesso ministero di difesa israeliano ritiene formalmente illegali. Nati in genere come iniziative private - spesso in seguito ad attentati palestinesi - e messi in piedi alla buona con una casa prefabbricata, un generatore e un palo con una bandiera israeliana al vento, nel corso degli anni questi avamposti sono diventati i nuclei di nuove colonie. Alcuni di essi, come Migron (Ramallah), hanno ormai una ventina di case in muratura, cartelli stradali, una comoda via di accesso asfaltata, un Miqwe (il bagno per le abluzioni rituali ebraiche) e un giardino per i giochi dei bambini. E anche soldati israeliani di guardia, 24 ore su 24, ai recinti esterni.
A chiedere ai coloni, questi avamposti non avrebbero potuto mettere radici così profonde nel terreno se non avessero beneficiato di aiuti (almeno obliqui) da parte di funzionari di governo, su istruzione di ministri nazionalisti benevoli. Nei mesi scorsi lo stesso premier Ariel Sharon ha sentito la necessità di mettere ordine nella vicenda, che desta non pochi imbarazzi alla diplomazia israeliana specialmente nei contatti con Washington.
A marzo il premier ha ricevuto da una esperta di questioni legali, Talia Sasson, un ponderoso rapporto in cui venivano messe in luce numerose collusioni fra funzionari governativi ed esponenti della Agenzia Ebraica (un ente parastatale che si occupa fra l'altro di aiuto agli insediamenti ebraici, in Israele e nei Territori) con i coloni che vivono negli avamposti. «Israele si sente vincolato dal Tracciato di Pace del Quartetto», confermo allora Sharon, in un comunicato. «Nella prima fase di quel Tracciato viene stabilito che Israele smantellerà gli avamposti illegali eretti a partire del marzo 2001», ossia da quando lo stesso Sharon assunse l'incarico di premier in sostituzione del laburista Ehud Barak. «Il governo israeliano manterrà fede a quell'impegno», ribadì allora il leader del Likud.
Ma in questi mesi - ha scritto ieri il quotidiano Haaretz - gli avamposti illegali hanno continuato ad estendersi. Il giornale ha anche citato la palpitante indignazione del comandante militare della Cisgiordania, generale Yair Naveh, quando ha appreso che un dirigente del movimento dei coloni (Benzi Lieberman) ha ordinato di non permettere l'ingresso negli avamposti al comandante del governo militare israeliano nei Territori, generale Ilan Paz.
La stessa Sasson aveva detto a Sharon di non aver ricevuto dai ministeri israeliani tutte le informazioni di cui riteneva di aver bisogno per stilare il rapporto per il premier. Adesso la situazione diventa ancora più assurda, quando i coloni sbarrano l'ingresso al principale rappresentante del governo israeliano nei Territori, e al generale Naveh non resta che esprimere costernazione ed impotenza.
Forse anche nel tentativo di calmare la irritazione di Washington (manifestatasi in pubblico anche nel recente incontro di George Bush con Ariel Sharon) il consigliere del premier Dov Wesiglass ha detto nei giorni scorsi che la faccenda degli avamposti illegali sarà risolta non appena terminato il ritiro da Gaza. Israele, ha argomentato, non dispone delle forze necessarie per agire su «due fronti»: ossia per sgombrare in parallelo novemila coloni da Gaza e altre migliaia dagli avamposti. A quanto risulta, il ritiro da Gaza impegnerà almeno 40 mila militari ed agenti di polizia. Da metà agosto, tutte le unità dei riservisti israeliani saranno mobilitate in quella operazione che secondo la destra nazionalistica potrebbe rivelarsi «traumatica».
Solo che non c'è certezza che lo sgombero degli avamposti illegali avvenga almeno in autunno. Perché secondo il ministro senza portafogli Zahi Hanegbi, un dirigente del Likud, non è affatto escluso che appena terminato il ritiro da Gaza Sharon - che deve misurarsi con una profonda lacerazione nel suo partito - non scelga di andare ad elezioni anticipate. E se questo scenario si avverasse, ha aggiunto Hanegbi, è da escludersi che Sharon irriterebbe allora ulteriormente la destra nazionalistica sgombrando gli avamposti. I quali sono dunque destinati ad allargarsi ancora.
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