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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.06.2005 Una breve storia del sionismo e della nascita di Israele, assai lontana dalla realtà
la sostiene, con argomenti pretestuosi, Sergio Romano

Testata:Corriere della Sera
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Le persecuzioni ebraiche e la nascita di Israele»
Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 6 giugno 2005 pubblica a pagina 31 una lettera di Andrea Jarach, presidente della Federazione associazioni Italia Israele, e la risposta di Sergio Romano.

Ecco i testi della lettera e della replica:



Mi riferisco alla risposta che lei ha dato al signor Ferrazza sulle origini del conflitto palestinese.
Nel 1947 le Nazioni Unite deliberarono la nascita dei due Stati, Israele e Palestina, e nel 1948 fu il rifiuto palestinese arabo a determinare la guerra poi vinta da Israele.
Ma dalla risposta pubblicata sul Corriere emerge anche l'idea che Israele nacque all'improvviso dopo la II guerra mondiale e dopo lo sterminio a opera dei nazisti.
In realtà una organizzatissima comunità ebraica di Palestina esisteva ormai da molti decenni sotto forma di comunità politicamente organizzata. E parlando di profughi causati da quegli eventi occorre ricordare, accanto al notissimo esodo di 700.000 palestinesi, il parallelo esodo forzato da stragi e pressioni di vario genere di un milione di ebrei cacciati dai Paesi arabi in occasione della nascita di Israele.
Settecentomila profughi ebrei trovarono rifugio in Israele ( gli altri finirono in vari Paesi del mondo, alcuni in Italia).
La vera differenza è che gli israeliani considerarono questi profughi dei fratelli per cui sacrificarsi pur di accoglierli in casa loro, mentre, al contrario, gli Stati arabi considerarono i palestinesi carne da cannone da sacrificare alla loro politica oppressiva.
Andrea Jarach presidente Federazione associazioni Italia Israele

Caro Jarach, le antiche comunità ebraiche dei Paesi arabi furono costrette ad andarsene, spesso in condizioni drammatiche. Dopo la nascita dello Stato israeliano e la guerra del 1948 erano diventate, agli occhi dei governi nazionalisti della regione, la « quinta colonna » del nemico e un capro espiatorio contro cui sfogare la rabbia della sconfitta. Ma non bisogna dimenticare che la cacciata dal Cairo e da Alessandria della maggior parte della fiorente colonia ebraica egiziana avvenne dopo la guerra di Suez, quando Francia, Gran Bretagna e Israele si accordarono segretamente per un'azione congiunta contro il regime di Nasser. Non è sempre facile, nella storia mediorientale degli ultimi sessant'anni, decidere chi abbia tirato la prima pietra. Nella sua lettera lei ricorda inoltre che la nascita di Israele non fu un evento improvviso, ma il risultato della tenacia con cui il movimento sionista, negli anni precedenti, aveva sviluppato in Palestina le sue iniziative. E' certamente vero. Molte istituzioni risalgono alla fase della prima colonizzazione e furono create dai pionieri del movimento nazionale di Theodor Herzl. Ma agli inizi del Novecento, quando Ben Gurion completò a Costantinopo li i suoi studi giuridici, i coloni sionisti erano soltanto qualche decina di migliaia. I due eventi che maggiormente contribuirono all'esodo degli ebrei europei e alla crescita della comunità ebraica in Palestina furono la rivoluzione bolscevica e soprattutto l'avvento di Hitler al potere. Esiste a questo proposito una interessante conversazione fra un diplomatico italiano, Pietro Quaroni, e il leader sionista Chaim Weizmann in occasione dell'incontro che quest'ultimo ebbe con Mussolini nel 1933, cinque anni prima delle leggi razziali. Weizmann e Quaroni parlarono di antisemitismo e il primo, futuro presidente dello Stato israeliano, disse: « Vede, la nostra volontà di sopravvivere, la nostra tradizione sono certo forti, ma nonostante questo non so se il popolo ebraico sarebbe riuscito a sopravvivere per duemila anni, se il pregiudizio religioso prima e razziale poi non gli avesse costruito intorno questa specie di mura glia artificiale. Per questo, come ebreo, apprezzo molto l'atteggiamento degli italiani verso i miei correligionari; ma come sionista non possono non rilevare che, se l'atteggiamento verso gli ebrei fosse stato sempre e dappertutto come lo è in Italia, oggi noi non esisteremmo più » . In un elzeviro apparso nel Corriere d'Informazione del 23 aprile 1956, Quaroni ricordò di avergli detto: « Allora, proseguendo il suo ragionamento, bisognerebbe concludere che le persecuzioni sono utili alla causa sionista » . A questa osservazione, fatta « mezzo scherzando, mezzo sul serio » , Weizmann rispose: « Non mi prenda così strettamente alla logica: non sono certo io che posso compiacermi dello strazio di tutto un popolo. Però è certo che quello che sta accadendo in Germania ha provocato una ripresa di coscienza ebraica un po' dappertutto, anche là dove essa si stava esaurendo, il che non è senza utilità » .
Troviamo che l'episodio del colloquio tra Weizmann e Quaroni citato da Romano non dimostri la tesi di una dipendenza causale tra le persecuzioni e la nascita di Israele, Weizmann stesso è ben lontano, nelle parole riportate da Quaroni dall'affermare con certezza che il "pregiudizio religioso prima e razziale poi" sia stato necessario alla sopravvivenza del popolo ebraico.
Il colloquio, poi, è datato 1933, avvenne dunque ben prima che la politica razzista del nazismo manifestasse si rivelasse chiaramente come una politica di sterminio, assolutamente dannosa per il progetto sionista in quanto volta ad eliminare fisicamente coloro che avrebbero dovuto popolare il futuro Stato di Israele.
Va poi rilevato che, sebbene Weizmann chiarisca di non potersi compiacere "dello strazio di tutto un popolo", l'episodio è raccontato in modo malizioso, come a suggerire che quest'ultima precisazione sia un'ipocrita copertura di un calcolo assolutamente cinico (infatti Romano intoduce le ultime parole di Weizmann, che ridimensionano l'osservazione di Quaroni sull'utilità delle persecuzioni alla causa sionista con la frase: "A questa osservazione, fatta « mezzo scherzando, mezzo sul serio » , Weizmann rispose:", creando l'aspettativa di una conferma, che prenda del tutto sul serio il "mezzo scherzo" di Quaroni. La successiva risposta di Weizmann chiude l'articolo, così che Romano non ha il disturbo di commentarla e di impegnarsi direttamente a trarne conclusioni)
Tutta la risposta di Romano del resto, accumula insinuazioni e distorsioni, fondate su una selezione parziale e manipolatoria dei fatti storici.
Romano cita per esempio la vicenda della comunità ebraica egiziana (da lui denominata "colonia", come se si fosse trattato di un insediamento straniero), cacciata dopo il 56. La colpa, suggerisce, potrebbe essere di Israele e del suo patto con Francia e Gran Bretagna contro Nasser. Ma per avvalorare questa interpretazione Romano deve trascurare la politica aggressiva dell'Egitto verso Israele. E d'altro canto, per renderla significativa rispetto all'intero quadro delle persecuzioni antiebraiche nel mondo arabo, deve omettere ogni riferimento a quelle verificatesi nel 48, e anche prima.

Riportiamo infine il commento dello stesso Andrea Jarach alla risposta di Romano:

Dopo una settimana Sergio Romano ha pubblicato una mia lettera e una sua lunga risposta. Il succo e' che travisando le parole di Chaim Weitzmann, riportate anni dopo da un tale Quaroni, l'ambasciatore Romano avalla la tesi che il sionismo politico nasca incentivato dalle persecuzioni. Come al solito il ribaltamento causa effetto, lo stesso che dimentica che Barriera difensiva e misure varie nei territori palestinesi sono attuate non per causare dolore ai palestinesi ma per impedire ai terroristi le infiltrazioni tra i civili israeliani.
E' sicuramente un passo avanti che Romano abbia dato al mio intervento tanto spazio ma e' forzata l'interpretazione che solo grazie alle persecuzioni antiebraiche in Europa esiste lo stato di Israele.

Lo stato ebraico nasce sulla base di grandi correnti di pensiero negli stessi anni in cui prendono corpo la stragrande maggioranza degli stati oggi rappresentati all'ONU, le iniziative sono della fine dell'ottocento, le realizzazioni di tutto il secolo successivo, la decolonizzazione ha fatto il resto.

E' innegabile che Israele abbia tratto dalle persecuzioni linfa vitale, ma da qui a dire che Israele deve ad esse la sua nascita, e quindi che gli arabi fanno bene a rifiutarlo perche' si tratta di affari tra europei, c'e' una grande differenza.

Proprio quella differenza che offre allo stato ebraico la sua legittimita' e al terrorismo palestinese la sua totale immoralita'
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