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Il Manifesto Rassegna Stampa
03.06.2005 22 case minacciano la pace più degli attentati suicidi sventati all'ultimo momento, la presunzione d'innocenza vale per la Siria, non per Israele
il giornalismo asimmetrico del quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 03 giugno 2005
Pagina: 9
Autore: la redazione - Stefano Chiarini
Titolo: «Sharon: «Nuove case a Maaleh Adumim» - Il Libano torna alle bombe»
La costruzione di 22 case a Maaleh Adunim (città con migliaia di abitanti) ci informa IL MANIFESTO di venerdì 3 giugno 2005 può compromettere il processo di pace in Medio Oriente.
E il duplice attentato suicida della Jihad islamica sventato giovedì 2 giugno a Gerusalemme, può contribuire, almeno in parte a far salire la tensione? O può essere un segno che una certa tensione c'è già, perché il terrorismo non ha rinunciato a colpire Israele? IL MANIFESTO non ne dà nemmeno notizia; ne deduciamo che la risposta della redazione alle nostre domande, che certo la redazione non ha mancato di porsi, sia stata , "no".
Le ragioni ci sfuggono, bisogna chiederle a loro.

Ecco il trafiletto sulle 22 case:

Pochi giorni fa il presidente Usa Bush aveva dichiarato, nel corso di un incontro alla Casa bianca con il palestinese Abu Mazen, che Israele avrebbe dovuto cessare immediatamente la costuzione di nuove colonie e l'espansione di quelle già esistenti (120 quelle in Cisgiordania). Ieri il governo Sharon ha annunciato la costruzione di altre 22 case a Ma'aleh Adumim, il maggiore insediamento ebraico illegale - 28.000 abitanti, a due passi da Gerusalemme. «Il governo israeliano continua a non rispettare la road map nella parte in cui il piano di pace lo obbliga a fermare le attività di costruzione negli insediamenti», ha protestato l'organizzazione pacifista israeliana Peace now.
Israele compare anche nell'articolo di Stefano Chiarini sull'omicidio a Beirut del giornalista Samir Kassir. Chiarini è certo che dietro il delitto non possa nascondersi una mano siriana. In compenso, all'inizio dell'articolo si dice anche certo che il giornalista Talal Salman sia scampato anni fa a un attentato "ispirato da Tel Aviv", che è uno strano modo in uso al MANIFESTO per indicare il governo israeliano (che non ha sede a Tel Aviv, ma a Gerusalemme).
Sulla base di quali prove fa questa affermazione?
Ecco l'articolo:

L'uccisione di Samir Kassir è un altro terribile crimine che getta un'ombra sinistra sul futuro del Libano nel quale sono all'opera forze oscure che puntano ad una pericolosa destabilizzazione regionale». Con queste parole, improntate ad un profondo pessimismo, il direttore del quotidiano progressista «As Safir», Talal Salman - lui stesso scampato anni fa ad un attentato ispirato da Tel Aviv - commentava l'uccisione avvenuta ieri alle 10,30 nel quartiere cristiano di Ashrafieh, del noto giornalista Samir Kassir editorialista del giornale conservatore An Nahar. Una bomba collocata sotto l'Alfa Romeo bianca del giornalista, parcheggiata nei pressi della sua abitazione, non lontano dal centro commerciale «Abc», è esplosa al momento dell'accensione del motore uccidendolo all'istante. Per Samir Kassir, scrittore, storico, professore di scienze politiche all'università di Saint Joseph, animatore di un piccolo gruppo di intellettuali, i democratici di sinistra, e della campagna anti-siriana della «rivoluzione dei cedri» non c'è stato scampo. Sul posto è subito giunto il primo ministro Najib Mikati, magnate delle telecomunicazioni, secondo il quale: «Ogni qualvolta facciamo un passo avanti vediamo che ci sono forze che cercano di minare la sicurezza del paese». Il Libano, a pochi mesi dallo sconvolgente attentato del 14 febbraio scorso costato la vita all'ex premier Rafik Hariri, è di nuovo sotto shock nel pieno di una difficile campagna elettore, la prima dopo il ritiro siriano. L'attentato di ieri sembra proprio voler colpire una possibile uscita elettorale, democratica, dalla crisi nella quale l'attentato ad Hariri ha gettato la «Repubblica dei cedri» e quindi il primo ministro Najib Mikati, impegnato in una difficile opera di mediazione e il presidente Emile Lahoud in buoni rapporti con Damasco. Un'operazione alla quale sembra prestarsi anche l'opposizione che, per bocca del leader druso Walid Jumblatt, ha chiesto le dimissioni del presidente libanese arrivando a definirlo «la testa del serpente». Dello stesso tono le dichiarazioni del proprietario del quotidiano «An Nahar», Jibran Tueni, neoeletto deputato nella lista di Saad Hariri e grande sostenitore del nuovo medioriente di George Bush, che si è detto sicuro delle responsabilità di Damasco nell'uccisione di Samir Kassir. Come se il presidente siriano Bashar Assad, alla vigilia di un delicato congresso del Baath avesse bisogno di precipitare in una nuova crisi internazionale di queste dimensioni. Si profila così una nuova devastante prova di forza in Libano. Consapevoli che nel nuovo parlamento non vi dovrebbe essere quella maggioranza dei due terzi necessaria per sfiduciare il presidente, Jumblatt, le destre cristiano-maronite e, in parte, lo stesso Saad Hariri, evidentemente puntano, forti del sostegno di Washington, ad una prova di forza extra-costituzionale. Il presidente libanese Emile Lahoud, da parte sua, respingendo ogni accusa, con una mossa a sorpresa ha invitato ieri sera la commissione dell'Onu incaricata di indagare sulla morte di Rafik Hariri ad estendere la sua inchiesta anche all'attentato contro Samir Kassir. Della pericolosità della situazione, ma anche della divaricazione sempre più netta tra Usa e Francia è testimonianza il comunicato del ministero degli esteri di Parigi che dopo aver condananto con durezza l'attentato, ha espresso allo stesso tempo la sua «fiducia nella volontà delle autorità libanesi di portare i responsabili davanti alla giustizia» e ha ribadito «la sua determinazione e quella delle comunità internazionale alla stabilità del Libano, in particolare in un periodo elettorale come l'attuale». A Parigi ha fatto eco il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, che ha invitato «tutte le parti a mantenere l'unità nazionale e la calma» mentre un appello a difendere «la sicurezza e la stabilità del paese» è venuto dal partito sciita Hezbollah. Il governo siriano, da parte sua, ha respinto con durezza ogni accusa e ha invitato tutti «a non interferire negli affari interni del Libano».
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