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La Stampa Rassegna Stampa
02.06.2005 Una domanda importante al governo italiano, accompagnata dal suggerimento di una risposta completamente sbagliata
sul programma nucleare iraniano

Testata: La Stampa
Data: 02 giugno 2005
Pagina: 28
Autore: Claudio Gorlier
Titolo: «Cosa pensa l'Italia del programma nucleare italiano?»
LA STAMPA di giovedì 2 giugno 2005 pubblica un articolo di Claudio Gorlier che rivolge al ministro degli Esteri e al governo italiani una domanda molto importante: qual'è la posizione del nostro paese sul programma nucleare iraniano?
Ci auguriamo che ad essa venga data presto una risposta, ma anche, bisogna dire, che questa risulti diversa dai chiari, sebbene non dichiarati esplicitamente, auspici di Gorlier.
Per il quale "Gli Stati Uniti, fermi nel giudicare l’Iran uno dei capisaldi nell’«asse del male», hanno espresso da tempo, rigidamente, la loro convinzione che qualsiasi sviluppo di un progetto di ricerca e di impianti atomici in Iran si ponga come obiettivo finale la costruzione di un’arma nucleare".
E' invece segno di elasticità mentale pensare che un regime teocratico e fanatico, grande esportatore di petrolio insegua il nucleare per risolvere i suoi problemi energetici.
Del resto, se si vede nella carriera di Akbar Hashemi Rafsanjani, politico abile quanto inflessibile nella sua fedeltà all'ideologia totalitaria che domina l'Iran "un passato di riformista", qualsiasi cosa è sostenibile.
Anche l'equivalenza tra le armi nucleari israeliane, deputate alla difesa, e quelle iraniane, che una volta costruite sarebbero nelle mani di un regime che non si perita nemmeno di far mistero della propria aspirazione a compiere un genocidio ai danni di Israele.
Sicuro di poter contare, in Occidente, su intellettuali, opinionisti e politici disposti a minimizzare, contestualizzare, negare.

Ecco l'articolo:

Se c’è un problema che oserei definire rovente nel quadro della politica internazionale oggi, si tratta sicuramente di quello della ricerca nucleare e della costruzione di impianti atomici, ovviamente a scopi civili. Ma il sospetto che dalla ricerca pacifica a quella bellica il passo sia breve aleggia ai quattro angoli della terra. Uno dei nodi più intricati riguarda sicuramente la politica nucleare dell’Iran, un caso estremamente aggrovigliato, che mi sembra tra l’altro solleciti un interrogativo: qual è la nostra politica estera a questo proposito. Nutro la massima stima per il nostro ministro degli esteri, ma mi sembra che non sia finora stato espresso alcun pronunciamento in proposito.
Andiamo per ordine. Gli Stati Uniti, fermi nel giudicare l’Iran uno dei capisaldi nell’«asse del male», hanno espresso da tempo, rigidamente, la loro convinzione che qualsiasi sviluppo di un progetto di ricerca e di impianti atomici in Iran si ponga come obiettivo finale la costruzione di un’arma nucleare. Di qui i ripetuti ultimatum, le continue minacce di intervento contro un paese nei cui confronti applicano vari tipi di limitazioni. Nel mese di aprile, nel corso della sua visita in India, Condoleezza Rice, con un tono che stenterei a giudicare diplomatico, ha rimproverato il primo ministro Singh per il rapporto amichevole con l’Iran, a suo tempo sanzionato da accordi cui dedicai qualche attenzione in questa sede, chiaramente in funzione anti-pakistana. Non mancai di rammentare che, peraltro, l’India è anche in rapporti eccellenti con Israele. Di fronte al rabbuffo di Rice, il primo ministro indiano ha cortesemente e freddamente replicato: «Io sono amico dell’Iran». Tra l’altro, gli Stati Uniti condizionano l’ingresso dell’Iran nella World Trade Organization a concessioni sul nucleare.
In Europa, le cose vanno diversamente. Dopo trattative condotte dapprima a Vienna, e che hanno conosciuto alti e bassi, dapprima con un compromesso intelocutorio, poi con un irrigidimento dell’Iran, un incontro cruciale si è tenuto il 25 maggio a Parigi, tra i ministri degli Esteri francese, inglese e tedesco, con la presenza di Javier Solana, e il negoziatore iraniano Hassan Rowhani. Teniamo presente che il 17 giugno prossimo si terranno in Iran le elezioni politiche, il presidente Khatami non potrà candidarsi per un nuovo mandato, e, superata la rigida griglia imposta dal Consiglio dei Guardiani integralista, appare verosimile da un lato una modesta partecipazione degli elettori, e dall’altro l’elezione di Akbar Hashemi Rafsanjani, già due volte Presidente, gradito agli ayatollah ma con un passato di riformista.
In una serie di interviste, anche al New York Times, Rafsanjani ha attaccato gli Stati Uniti ma ha pure sottolineato che «non si può ritornare al passato». Tutto questo potrebbe spiegare perché nell’incontro di Parigi Rowhani abbia promesso una tregua nel programma nucleare, atteggiamento gradito da Barnier, da Fischer e, in particolare, da Straw, a fronte di una reazione freddamente scettica degli Stati Uniti. Va rammentato che Israele possiede armi nucleari tutelate dal mistero, tanto che uno dei principali artefici finì in carcere dopo alcune dichiarazioni imprudenti. Le mie occasionali e caute fonti iraniane tendono a smentire qualsiasi utilizzazione bellica dei programmi nucleari, ma anche a sottolineare quanto la agghiacciante maggioranza dell’opininione pubblica, a tutti i livelli, guardi con aspettativa e persino con orgoglio a un possibile ingresso iraniano nel club nucleare. Mi sembra indicativo che un ministro della repubblica si rammarichi in Italia della nostra rinuncia a programmi del genere. Vale la pena di riflettervi, proprio mentre l’Italia ha appena firmato con Electricitè de France un progetto comune, ovviamente possibile da sviluppare soltato in Francia
La mia lunga premessa riconduce alla domanda che ho formulato all’inizio. Credo che varrebbe la pena sapere come la pensa il nostro governo: e se la triade anglo-franco-tedesca non ritenga prima o poi di consultarci, mentre finora ci ha tenuto fuori dalla porta. Le tormentate vicende mediorientali, la nostra collocazione non soltanto geografica, rendono legittimo l’interrogativo.
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