Politiche mediorientali fallite, e correzioni di rotta un' analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 25 maggio 2005 Pagina: 1 Autore: Carlo Panella Titolo: «Perché l’asse franco-tedesco si ritrova isolato sull’Iraq e il medio oriente»
A pagina 1 dell'inserto IL FOGLIO di venerdì 27 maggio 2005 pubblica un 'analisi di Carlo Panella sul fallimento della politica mediorientale di Francia, Germania e Internazionale Socialista e sul cambio di rotta dei DS.
Ecco l'articolo: Roma. Annunciando il suo assenso rapido e immediato alla richiesta del governo iracheno di prorogare il mandato dell’Onu alla Forza multinazionale, la Russia ha sbriciolato il raccordo con Francia e Germania sulla politica di contrasto agli Stati Uniti sull’Iraq. Il ministro degli Esteri di Baghdad, Hoshyar Zebari, ha inviato all’Onu la richiesta di prolungare il mandato alla "coalition of willing" con serie motivazioni: "Nonostante gli sforzi continui di costruire le nostre forze di sicurezza, esse non possono ancora assumersi la piena responsabilità della sicurezza nazionale e della difesa dei confini". Dopo meno di 24 ore, il portavoce del ministero degli Esteri russo, Aleksander Yakovenko, ha reso noto l’assenso di Mosca alla richiesta, con una rapidità che ha un profondo significato politico. Vladimir Putin ha infatti chiaro che, a quattro mesi dal successo delle elezioni irachene, Parigi e Berlino non sono ancor riuscite a elaborare una nuova strategia, che sono ai margini del processo in corso, che appaiono rassegnate a un ruolo di futura emarginazione. Per nulla intenzionato a farsi escludere da un’area in cui la Russia ha grandi interessi petroliferi, Putin lascia al loro destino Gerhard Schröder e Jacques Chirac e lancia un messaggio di alleanza a George W. Bush. Questo quadro rende indifendibile la richiesta di ritiro dei contingenti nazionali, a partire da quello italiano. Oggi, infatti, la richiesta di prolungamento della missione è avanzata da un governo iracheno democraticamente eletto e sarà avallata dall’Onu. Chi voterà contro il finanziamento della missione di Nassiriyah – come l’opposizione ha sempre fatto in Italia – voterà contro la richiesta del governo democratico di Baghdad. Ma le forze politiche italiane che si sono riconosciute nella strategia franco-tedesca non sono in sofferenza solo sul tema iracheno. Lunedì e martedì scorso, infatti, assieme alla Internazionale socialista (Is) hanno celebrato il loro isolamento e la loro autoesclusione dal processo di pace in medio oriente durante un meeting con una sessione a Tel Aviv e una a Ramallah. In passato, l’Is è sempre stata fondamentale nella mediazione tra Yasser Arafat e i leader israeliani: il premier socialista austriaco Bruno Kautsky svolse un ruolo di tessitura per gli accordi Begin-Sadat del 1979 e il ministro degli Esteri socialista norvegese Joergen Holst ebbe un ruolo determinante nell’accordo Rabin-Arafat concretizzatosi a Oslo. Ma dopo la decisione di Arafat di lanciare nel 2000 l’Intifada delle stragi, l’Is non ha perso occasione per perdere un’occasione. Nella logica che sorregge la strategia franco-tedesca, l’Is – soprattutto Schröder, José Luis Zapatero e l’Unione europea di Romano Prodi e Javier Solana – si è appiattita sulla strategia terrorista di Arafat, in contrasto con la politica di Ariel Sharon. Il monumento simbolo di questa strategia è stato l’appoggio entusiasta a quell’accordo di pace di Ginevra, architettato da Yossi Beilin, socialista israeliano in rotta con Simon Peres, che pure aveva apparenza e sostanza di una vera e propria patacca (tra l’altro prescindeva dal problema del terrorismo). Durante la riunione di Tel Aviv e di Ramallah, il lascito pesante di quella strategia velleitaria è risultato evidente: il perdente Yossi Beilin ha bloccato il dibattito in una sterile polemica con Peres, mentre la seconda giornata è stata monopolizzata dal vicepremier palestinese, Nabil Shaath, che ha rifiutato la logica del ritiro unilaterale, ha chiesto trattative su Gaza e soprattutto anche il ritiro concordato dalla Cisgiordania. Grandi applausi a Beilin e a Shaath, ma nessuno ha affrontato il tema vero, l’ostacolo di sempre: le difficoltà di Abu Mazen di disarmare i terroristi palestinesi. In questo contesto di emarginazione dell’Is, sottolineato anche dal bassissimo livello dell’insieme delle delegazioni, ha avuto un ruolo particolare la delegazione italiana composta da Sdi (Ugo Intini e Roberto Villetti) e Ds. I Ds, infatti hanno scelto di essere presenti al massimo livello, con Piero Fassino e Massimo D’Alema, che hanno deciso di impegnarsi in una riunione di mediocre profilo con un evidente scopo strategico. Piero Fassino, infatti, ha effettuato da tempo una sensibile correzione di strategia, appoggiando, senza per questo risparmiare le critiche per il passato, Ariel Sharon – demonizzato dalla sinistra italiana tutta – che incontrerà ufficialmente entro luglio a Gerusalemme. Già smarcato dalla tradizionale posizione della sinistra pacifista sull’Iraq, oggi il segretario Ds tenta con evidenza di battere una nuova strada – non più franco-tedesca – anche in medio oriente e il forte credito che riscuote tra i palestinesi può certo aiutarlo. Naturalmente solo se si mette in raccordo con la posizione di un governo, quell guidato da Silvio Berlusconi, che in questa scelta l’ha preceduto di alcuni anni. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.