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La Repubblica Rassegna Stampa
23.05.2005 Aggettivi inappropriati e interviste acritiche
la realtà del conflitto israelo-palestinese è sempre alterata

Testata: La Repubblica
Data: 23 maggio 2005
Pagina: 14
Autore: un giornalista - Alberto Stabile
Titolo: «Voi dissacrate il Corano - Rinviamo le elezioni palestinesi ora la priorità è il ritiro da Gaza»
Contestazioni contro Laura Bush a Gerusalemme.Musulmani hanno contestato la first lady sulla spianata delle moschee, per la falsa accusa della profanazione del Corano a Guantanamo e una cinquantina di israeliani ha chiesto il rilascio di Jonathan Pollard, condannato all'ergastolo negli Stati Uniti per spionaggio a favore di Israele.

Pollard ha passato a Israele informazioni sul programma di armamento nucleare, chimico, e batteriologico di dell'Iraq, dell'Iran e della Siria. La determinazione di Israele nell'impedire all'Iraq di diventare una potenza nucleare e di costruire il suo "super cannone" è poi tornata a vantaggio dell'intero occidente.

Nonostante ciò a Pollard non è mai stata concessa la grazia. Chiedere il suo rilascio è davvero "estremismo", come sostiene l'articolo pubblicato dalla REPUBBLICA di lunedì 23 maggio 2005?

Ecco il testo:

È assai difficile l´offensiva diplomatica affidata dall´Amministrazione americana a Laura Bush nei confronti di un mondo arabo che si ritiene oltraggiato dagli Usa. Ieri, sulla Spianata delle Moschee, luogo santo tanto per i musulmani quanto per gli ebrei, la First lady è stata contestata da un gruppo di giovani palestinesi tenuti a debita distanza dalla polizia israeliana. «Corano! Corano!» hanno gridato i contestatori all´indirizzo dell´ospite, alludendo allo scandalo della dissacrazione del libro dell´Islam nella prigione di Guantanamo, dissacrazione prima denunciata e poi ritrattata dal settimanale Newsweek. In verità il settimanale americano ieri ha rinnovato con forza le sue scuse per aver scritto - senza conferme - che una copia del Corano era stata gettata in un gabinetto durante un interrogatorio a Guantanamo. Il direttore Richard Smith ha scritto che «abbiamo sbagliato su una storia importante, e l´onore esige che ammettiamo il nostro errore e raddoppiamo gli sforzi per evitare che errori del genere possano ripetersi».
In verità ieri le difficoltà per Laura Bush sono cominciate durante la sosta al Muro del pianto, caro agli ebrei. Una cinquantina di estremisti hanno colto l´occasione per protestare contro l´atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti di Jonathan Pollard, l´ex ufficiale della marina Usa, condannato all´ergastolo per spionaggio a favore d´Israele al quale è stata ripetutamente negata la grazia. La First lady, accompagnata da Gila Katsav, la moglie del Presidente Moshè Katsav, si è comunque potuta raccogliere davanti al Muro e deporre nelle fenditure dei massi che formavano il basamento del Tempio di Salomone il tradizionale biglietto di preghiera.
La visita alle Moschee è stata, invece, più movimentata. Anche se Laura Bush ha potuto ammirare indisturbata la delicatezza dei colori e delle linee del Duomo della Roccia (o Moschea di Omar, tradizionalmente riservata alle donne). La protesta di un gruppo di musulmani s´è fatta sentire: «Voi non siete la benvenuta», le hanno gridato. «Perchè state umiliando i nostri musulmani? Come vi permettete?» Il Mufti di Gerusalemme, lo sceicco Ikhram Sabri ha cercato di distanziarsi dai contestatori, tenendo un atteggiamento neutrale. «Noi - ha detto alludendo alle autorità islamiche - non siamo né favorevoli né contrari alla visita della First Lady. Abbiamo soltanto obbiettato alla massiccia presenza della polizia che potrebbe ingenerare l´impressione che i luoghi santi islamici siano sotto sovranità israeliana».
LA REPUBBLICA propone anche un'intervista di Alberto Stabile Mohammed Dahlan, "uomo forte" della sicurezza palestinese.
Le affermazioni di Dahlan sono talora palesemente propagandistiche. Per esempio, non è vero che Israele non abbia rimosso nessuno dei posti di blocco presenti in Cisgiordania e non si sia ritirata da alcune città.
D'altro canto, se è vero che il livello della violenza è sceso rispetto all'"era Arafat", gli attacchi sono comunque continuati, tra colpi di mortaio, lanci di razzi qassam, assalti a postazioni dell'esercito o ad insediamenti e anche attentati suicidi, riusciti o sventati. E l'Anp non ha arrestato i ricercati segnalati da Israele, né ha disarmato le milizie.
Nemmeno è cessato l'incitamento: si pensi per esempio al discorso di Abu Mazen in occasione dell'anniversario della fondazione di Israele, da lui definita un "crimine" e al sermone del 13 maggio di Ibrahim Mudayris, ritrasmesso della televisione dell'Anp, nel quale si affermava la necessità di sterminare gli ebrei.
Stabile trascura di ricordare questi fatti all'interlocutore.

Ecco l'articolo:

«Nessun attacco contro Israele partirà da Gaza, una volta che il ritiro sarà completato», promette Mohammed Dahlan, il dirigente palestinese che ha avuto l´incarico da Abu Mazen di risolvere i complessi problemi legati al disimpegno israeliano.
«Se i palestinesi affronteranno in maniera sostanziale i problemi della sicurezza, disarmando le organizzazioni terroriste, dopo il ritiro da Gaza saremo pronti a percorrere la Road Map», risponde il vice-primo ministro israeliano Ehud Olmert. Su una cosa israeliani e palestinesi sono sicuramente d´accordo, sull´opportunità che si presenta alle due parti, dopo cinque anni di intifada violenta e di dura repressione, di far ripartire il negoziato. Un po´ di questa atmosfera di speranza si è respirata anche qui, al World Economic Forum sul Medio Oriente che in pratica ha dedicato la sua ultima giornata al problema dei problemi, il conflitto israelo-palestinese.
Si vive nell´attesa di scadenze cruciali. Entrambi gli sfidanti sembrano decisi a mettere da parte il linguaggio delle emozioni, la retorica della vendetta, per un approccio più concreto e realista. La cordialità si spreca tra i contendenti. Ma i contatti non vanno oltre i dibattiti previsti dal programma. A tre mesi dal ritiro un vero coordinamento non c´è.
L´incertezza avvolge le stesse elezioni palestinesi. Abu Mazen, che ha disertato il Forum sul Medio Oriente per un lungo tour diplomatico, ha fatto sapere che non ha nessuna intenzione di rinviare le elezioni generali previste per il 17 luglio. Ma nel vertice palestinese c´è chi la pensa diversamente. Mohammed Dahlan, è uno di questi. Ed è difficile che le consultazioni si tengano secondo scadenza, se uno come Dahlan, leader della giovane guardia, decisivo nel mantenere il controllo di Gaza, pensa a un rinvio.
Perché pensa che le elezioni dovrebbero essere rinviate? Teme una vittoria di Hamas?
«Assolutamente, non temo Hamas. Come hanno dimostrato tutti i test e i sondaggi fatti finora, Fatah resta la forza largamente maggioritaria. Il problema è tecnico. Noi abbiamo quattro diverse elezioni in sei mesi, fino alla fine dell´anno. Ci sono le elezioni interne e il congresso di Al Fatah, poi ci sono le elezioni politiche, quindi la parte finale delle elezioni municipali ed consultazioni relative ad altre istituzioni locali. Non credo che tecnicamente saremo in grado di gestire al meglio tutto questo processo. E in più avremo il disimpegno israeliano. Quindi, personalmente, sostengo la necessità di concentrarci sul ritiro degli israeliani da Gaza. E poichè Abu Mazen mi ha chiesto di dare il mio parere prima di assumere una decisione finale, questa è la raccomandazione che farò».
A proposito del ritiro. A meno di tre mesi dall´inizio non sembra esserci traccia di coordinamento.
«Più che un coordinamento direi che c´è qualche contatto. Noi abbiamo accettato la loro proposta di discutere insieme del disimpegno e di quel che succederà dopo che si saranno ritirati. Per cominciare, abbiamo chiesto che ci diano l´inventario dei beni all´interno delle aree che saranno evacuate. Stiamo ancora aspettando. Questi elenchi li stanno dando a tutti, agli americani, ad alcune istituzioni internazionali, persino a certi uomini d´affari arabi eccetto che ai palestinesi».
Ma voi palestinesi, come vi state preparando a questo evento importantissimo?
«Noi stiamo facendo del nostro meglio, creando dei gruppi di lavoro composti da tecnici palestinesi con esperienze maturate in tutto il mondo, che redigeranno dei piani sostanziali su come gestire le zone evacuate di Gaza e della Cisgiordania».
Concretamente, volete che le case dei coloni vi siano consegnate intatte o preferite, come si legge sulla stampa israeliana, che vengano distrutte per evitare problemi di ordine pubblico?
«Questa decisione non spetta a noi, ma agli israeliani. Dal nostro punto di vista il problema è puramente tecnico. Stiamo parlando di 2.800 case in una zona che rappresenta il 5 per cento della Striscia di Gaza, dove, come è noto, vivono un milione e 300 mila persone. Per soddisfare la fame di case noi abbiamo bisogno di costruire palazzi, non abbiamo bisogno di ville o cose del genere».
Come giudica l´attuazione degli accordi di Sharm el Sheik? «Inesistente. La chiusura dei territori continua. I 600 posti di blocco stabiliti nella West Bank sono rimasti al loro posto. La liberazione dei prigionieri, dopo i primi 450, è scomparsa dall´agenda. Del ritiro dalle città non si parla più. E´ tutto congelato».
Il governo israeliano lamenta che non avete fatto abbastanza per combattere le milizie armate?
«Quali milizie, le nostre o le loro? A parte gli scherzi, non si può negare che Abu Mazen è riuscito a ridurre del 99 per cento la violenza da parte palestinese. La calma tiene, non ci aspettiamo esplosioni, stiamo parlando di qualche violazione qua e là. Ma mi vuol dire lei in che modo il governo israeliano ha aiutato la popolazione palestinese ed Abu Mazen, da quando è stato eletto?».
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