martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
17.05.2005 L'errore mortale di Newsweek e altri falsi scoop
storie di ordinaria disinformazione, straordinariamente pericolosa

Testata: Il Foglio
Data: 17 maggio 2005
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Prima scoop, poi scoppole»
IL FOGLIO di martedì 17 maggio 2005 pubblica in prima pagina, sotto l'unico titolo "Prima scoop, poi scoppole" due articoli sulle "verità" smentite dai fatti sulla guerra al fondamentalismo islamista, a partire dall'ultimo scoop di Newsweek, smentito dal settimanale dopo 16 morti e 100 feriti.

Ecco l'articolo dedicato all'"errore mortale" di Newsweek:

New York. Ops, ci siamo sbagliati. Sorry, ci dispiace molto. Non è vero che a Guantanamo il Corano viene profanato. Non è vero che le guardie americane lo gettano nel cesso per intimidire i detenuti. Ci scusiamo con le 16 vittime e con i cento feriti. Non è giusto che i fondamentalisti islamici abbiano approfittato di un nostro errore. E’ un gran peccato che un articoletto che conteneva notizie non confermate, quindi da non pubblicare, abbia prima messo a soqquadro mezzo mondo musulmano e poi in pericolo i soldati americani.
L’ultimo tonfo del giornalismo liberal americano è opera di Newsweek, il settimanale politico di proprietà del Washington Post. Sui blog di destra, il magazine è stato prontamente ribattezzato "Newsweak", "notizie debolucce", mentre ieri mattina la Casa Bianca, con una dichiarazione del portavoce Scott McClellan, ha preteso scuse ufficiali dal settimanale e ha chiesto alla direzione del giornale di ritrattare più decisamente l’articolo che ha provocato rivolte in tutto il mondo musulmano e una strage in Afghanistan. Nel numero in edicola ieri, Newsweek invece se l’è cavata con un ambiguo editoriale del direttore Mark Whitaker e con un articolo riepilogativo nelle pagine interne: abbiamo sbagliato a scriverne, ma non è detto che il fatto non sia mai accaduto. Due settimane fa, Newsweek aveva pubblicato un articoletto con cui dava notizia di un rapporto interno del Pentagono sugli abusi psicologici inflitti ai detenuti di Guantanamo. Nessuna tortura fisica, ma un eccessivo uso della pressione psicologica per ottenere informazioni con pratiche in qualche modo autorizzate (ma oggi non più permesse) dai consiglieri legali di George Bush.
Secondo la fonte anonima citata da Newsweek, l’abuso più grave sarebbe stato di natura religiosa, una grave offesa al Corano: durante un interrogatorio una guardia avrebbe gettato il Corano nel water per provocare i detenuti. Un’accusa vecchia, peraltro. Erano stati cinque cittadini britannici rimpatriati dopo una lunga detenzione a Guantanamo a raccontarla, ma il Pentagono l’ha sempre smentita. Nel mondo islamico la notizia di Newsweek ha infuocato gli animi perché ha dato ufficialità a quell’abuso: ora lo ammette finanche il Pentagono. Solo che Newsweek s’è sbagliato.
La scintilla della rivolta islamica è stata accesa il 6 maggio con una conferenza stampa dell’islamista pachistano Imran Khan. L’ex leggenda del cricket anglo-pakistano ha letto pubblicamente l’articolo di Newsweek: "Ecco che cosa fanno gli americani a Guantanamo. Ingiuriano il Corano". La notizia si è diffusa per radio e per televisione in tutto il Pakistan, in Afghanistan, a Gaza e in Indonesia. Ma era falsa. Newsweek ha ammesso l’errore, tanto più che la sua fonte anonima ha ritrattato la versione originale. Si è sbagliato: no, quella storia del Corano gettato nel gabinetto, nel rapporto non c’è.

Giustificazioni confuse
Newsweek spiega la patacca in un modo confuso. Prima della pubblicazione ha inviato l’articolo a un altro funzionario dell’amministrazione militare, uno diverso da quello che aveva raccontato anonimamente la storia del Corano gettato nel gabinetto. Alla seconda fonte è stato chiesto se l’articolo fosse accurato e questi ha contestato soltanto un altro aspetto dell’articolo, cioè la veridicità della notizia su un generale ritenuto responsabile degli abusi a Guantanamo. Sul resto non ha detto niente. A Newsweek hanno pensato fosse un lasciapassare indiretto per la storia del Corano. Invece, semplicemente, quel funzionario non ne sapeva nulla.
Il presidente afghano Hamid Karzai ha tirato un primo sospiro di sollievo per il riconoscimento dell’errore, ma è consapevole che in Afghanistan ora si griderà al complotto, all’insabbiamento dello scandalo, a uno sporco trucco orchestrato dagli americani per occultare il fattaccio e continuare a oltraggiare il Corano. E sa che i fondamentalisti continueranno la campagna "Salva il libro sacro", invocando il jihad contro l’infedele americano. "Non ci caschiamo – hanno subito fatto sapere alcuni mullah afghani alle agenzie internazionali – L’ammissione dell’errore è chiaramente un’autoassoluzione e lo capisce anche un contadino analfabeta". L’incitamento alla guerra santa continua. Sia la Casa Bianca sia Karzai hanno espresso tutta la loro disapprovazione per i metodi e gli standard giornalistici di Newsweek. "Giornalismo irresponsabile", è la definizione usata dal Pentagono. L’autore dell’articolo è un veterano del giornalismo investigativo, Michael Isikoff, ex reporter del Washington Post, ma soprattutto il cronista che per primo scoprì il Monicagate, cioè lo scandalo sessuale che portò alla procedura di impeachment nei confronti di Bill Clinton. A quel tempo Isikoff fu molto più accurato, tanto da subire una beffa clamorosa. Ci fu una fuga di notizie sulla sua inchiesta. La storia che lui stava indagando su Monica Lewinsky finì su Drudge Report, il sito internet che ha fatto la sua fortuna proprio grazie allo scoop rubato a Isikoff.
E quello sugli errori di BBC, Daily Mirror (ed Espresso, con la differenza che il direttore del tabloid, riconosciuto l'errore, si è dimesso, la direttrice del prestigioso settimanale no), Dan Rather ed El Pais:
Roma. Le violenze di piazza per una copia del Corano, lo scandalo e la riprovazione e le vittime al seguito saranno forse le uniche cose autentiche sopravvissute a questa storia brutta sorta dalle traballanti indiscrezioni del settimanale americano Newsweek. La verità rotonda è nella sfilata degli islamici avvelenati dalla certezza che a Guantanamo i marines abbiano oltraggiato il loro testo sacro. L’origine di questa verità è in una voce non confermata, tardivamente corretta nella sua allusività guarnita di clamore e presentata in fretta e furia come scoop. Un capitolo supplementare del conflitto antico tra informazione e potere? Di più. Perché qui al tema della disinformazione si somma l’interrogativo su come si amministra la verità nell’epoca in cui la digitazione sulla tastiera di un pc statunitense innesca battaglie di civiltà dall’altro lato del mondo. Versione postmoderna del battito d’ali di una farfalla che diviene uragano, questa è la verità nell’epoca della sua falsificazione mediatica globale. Una verità capovolta in modo simile, per esempio, e pagante nelle urne, è quella per cui Tony Blair è ancora giudicato bugiardo da amici e avversari in relazione al dossier sulle armi di sterminio di Saddam Hussein. Blair rinominato "B(liar)", mentitore, dacché nell’estate del 2003 il cronista della Bbc Andrew Gilligan lo aveva accusato, insieme con il suo consigliere Alastair Campbell, d’aver manipolato e reso più attraente ("sexed up") il rapporto dei servizi segreti che giustificava l’impegno militare britannico in Iraq. L’accusa fiammeggiante, quella che vellica le emozioni e genera stati d’animo permanenti, si alimentava nell’illazione che le prove fossero scritte tra gli appunti dello scienziato David Kelly, assunto per studiare l’arsenale di Saddam. La cronaca fredda, quella che non si fissa mai abbastanza nelle coscienze, dice che in sei mesi la Royal commission presieduta da Lord Hutton ha smembrato l’accusa, dimostrando che Kelly (nel frattempo suicidatosi) non aveva mai fatto il nome di Campbell (nel frattempo dimessosi) e che Blair era dunque innocente. La Bbc ha dovuto scusarsi lasciando sul campo direttore e presidente. E almeno un poco della propria credibilità, sacrificata in nome di un leftism ostinatamente antiblairiano coltivato senza imparzialità. Come sotiene oggi in un libro il reporter Robin Aitken, che nella Bbc ha lavorato 25 anni.

Altre storie di verità ammaccata
Altre storie di verità ammaccata collegano Gran Bretagna e Stati Uniti. Basta pensare ad Abu Ghraib, la prigione irachena dove nell’aprile del 2004 il Pentagono ha individuato (per poi processarli pubblicamente) alcuni marines psicopatici e torturatori. In questo caso il funzionamento di una legge militare, capace di sorvegliare e punire eccessi, è stato scalzato dalla suggestione che sia stata la luce dei media a rivelare la stortura. E non invece l’inchiesta militare ad accendere l’informazione globale su una piaga già scovata. Una stortura contigua ma più crassa veniva intanto gonfiata a Londra dal Daily Mirror, che un anno fa serviva ai suoi circa 2 milioni di lettori alcune foto falsissime di detenuti iracheni seviziati da soldati britannici (se ne invaghì subito l’Espresso che le riprodusse titolando così: "Capitale corrotta, nazione infetta"). Dopo una congrua inchiesta del ministero della Difesa, il Mirror ha chiesto scusa: "Spiacenti, siamo stati imbrogliati" e il direttore del tabloid si è dimesso. Come si è dimesso il volto sacro della Cbs, Dan Rather, dopo che nel settembre scorso è stata svelata la falsità dei documenti con cui intendeva provare i sedicenti favoritismi ricevuti da Bush junior nel 1972, durante la guerra in Vietnam. Pure in questo caso il prodotto del mezzo narrativo che rimodella le cose – con il suo crescendo emanativo – ha resistito anche una volta ripristinato il perimetro della verità ed è divenuto argomento polemico in campagna elettorale. In Europa questo meccanismo manipolatorio ha funzionato in modo formidabile ed esemplare nell’11 marzo di Madrid, quando il Partito popolare spagnolo fu messo sotto processo dallo zapaterismo sorgente, ben coperto dal concerto dei media guidati dal Pais, con l’accusa di sfregio alla verità. La colpa – dissero – era di aver nascosto l’impronta islamica negli attentati ferroviari, indicando per due giorni nei terroristi baschi i responsabili delle bombe. Con l’obiettivo d’incassare alle urne un premio alla politica di fermezza contro l’Eta praticata dal premier uscente José María Aznar. Ancora oggi la sconfitta elettorale dei Popolari viene giudicata come una giusta nemesi perfino dagli amici di Aznar. E nessuno ricorda che l’allora ministro dell’Interno spagnolo, Angel Acebes, alle 13 dell’11 marzo 2004 si rifiutava di escludere la pista islamica. Nessuno ricorda mai, quando le intenzioni oblique vengono ben piantate nella zona opaca degli equivoci, delle reticenze obbligate da parte dei servizi e delle supposte omissioni dei politici. E a forza di slabbrare il sospetto si ricava la bugia che, urlata con foga e sostenuta dalla potenza di un immaginario scosso, si trasmuta in realtà credibile e genera profitti duraturi. Può accadere anche con una copia del Corano.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT