domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
16.05.2005 Niente prove della profanazione del Corano a Guantanamo, ma non sono necessarie per continuare a sospettare
e ad alimentare la campagna d'odio contro l'Occidente

Testata: La Repubblica
Data: 16 maggio 2005
Pagina: 11
Autore: Marco Contini
Titolo: «Il Corano profanato infiamma l'Islam ma chi lanciò l'accusa adesso frena»
LA REPUBBLICA di lunedì 16 maggio 2005 pubblica a pagina 11 un articolo di Marco Contini sulla ritrattazione di Newsweek, che aveva lanciato le accuse sul Corano che sarebbe stato gettato nelle latrine a Guantanamo.

La rettifica del settimanale non soddisfa Contini, che scrive "Il mondo islamico è in rivolta, e quindici persone sono morte, per colpa di una "gola profonda" inaffidabile? Forse. Ma forse no".
Perchè "le accuse restano, le prove un po'meno". Uno strano ragionamento, per il quale, una volta che un'accusa viene pronunciata, è inevitabile una sia pur parziale condanna, ci siano o meno le prove.

Ecco l'articolo:

Lo scoop che ha incendiato il mondo islamico, insorto a difesa del Corano dopo le notizie di profanazioni del Libro nel carcere di Guantanamo, potrebbe essere infondato.
È il 6 di maggio, un venerdì, quando Imran Khan - un´ex leggenda del cricket pakistano oggi durissimo oppositore del presidente Pervez Musharraf - si presenta a una conferenza stampa brandendo una copia di Newsweek. «Ecco cosa fanno gli Stati Uniti», grida. Khan legge ai presenti un articolo del settimanale americano, nel quale si sostiene che, secondo fonti anonime dell´Fbi confermate da un´indagine interna condotta dal Comando Sud delle forze armate americane, a Guantanamo alcune copie del libro sacro all´Islam erano state gettate a terra e calpestate da alcuni ufficiali addetti agli interrogatori, e che una era stata addirittura buttata nel gabinetto.
È questa, secondo la ricostruzione fatta dallo stesso Newsweek, la scintilla che ha scatenato l´ondata di proteste. Proteste che nel vicino Afghanistan, dove la denuncia di Khan è stata ritrasmessa da alcune emittenti radiofoniche, sono diventate violente, con un bilancio di almeno 15 morti; ma che nel volgere di pochi giorni si sono estese un po´ ovunque, da Gaza all´Indonesia, tutte al grido di «Proteggiamo il Libro».
L´incidente diplomatico è enorme. Fin dall´indomani dell´11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno cercato di evitare, con discreto successo, l´equazione tra guerra al terrorismo e guerra all´Islam. Financo gli episodi più gravi, vedi le torture e le umiliazioni che andavano per la maggiore nel carcere iracheno di Abu Ghraib, sono stati "spiegati" sì come eccessi, ma ai danni di persone singole, non di un culto e di chi vi aderisce. Ma buttare il Corano in una latrina no, non è difendibile. Non a caso, polemiche e proteste non accennano a placarsi: ancora ieri il ministero degli Esteri iraniano ha invitato Washington a punire i responsabili, un gesto necessario a «prevenire le guerre di civiltà e di religione»; e appelli a riparare all´offesa sono stati fatti dalla Lega araba e dai Gran Mufti del Cairo e di Beirut.
In America i nervi sono tesissimi. Il pericolo che l´Afghanistan si ritrasformi in una polveriera, magari approfittando del viaggio di Hamid Karzai negli Stati Uniti la settimana prossima, è tangibile (sui muri di Jalalabad sono già apparsi manifesti che incitano alla ripresa della Jihad contro gli americani). E altrettanto lo è il timore di un risveglio della "piazza araba", dal Nordafrica fino al Sudest asiatico.
Ma c´è dell´altro. Perché come sempre quando deve rispondere di accuse gravi, Washington prima avvia un´inchiesta interna e poi replica. Ad annunciare l´avvio dell´indagine è nientemeno che Condoleezza Rice, capo della diplomazia americana. E una settimana dopo l´esplosione del caso, il portavoce del Pentagono Lawrence DiRita produce la sua smentita: a Newsweek si sono sbagliati. Tutto falso, dunque? Il mondo islamico è in rivolta, e quindici persone sono morte, per colpa di una "gola profonda" inaffidabile? Forse. Ma forse no.
La smentita costringe il settimanale ad avviare una propria indagine interna e a ripercorrere all´indietro i passi di Michael Isikoff, autore dell´articolo incriminato e storica firma del giornalismo d´inchiesta americano. Gli esiti, riferiti fin nei minimi particolari sul numero in edicola da domani, non sciolgono i dubbi. Perché le denunce originali, una serie di e-mail interne all´Fbi, sono tutte lì, nero su bianco. A vacillare, invece, è la conferma di quelle denunce che Isikoff aveva ottenuto da un funzionario governativo: il quale, invitato a rivedere le proprie dichiarazioni, sostiene ora di ricordare perfettamente di essere venuto al corrente delle accuse di oltraggio al Corano, ma di non essere più certo che queste fossero state confermate dall´indagine del Comando Sud delle forze armate. Dunque: le accuse restano, le prove un po´ meno.
Al Pentagono sono furibondi: messo a conoscenza della parziale ritrattazione del funzionario governativo, DiRita è sbottato: «C´è gente che è morta per quello che ha detto quel figlio di puttana». Ma il caso è tutt´altro che chiuso. Perché le denunce non sono quelle consuete degli ex detenuti rimessi in libertà, che il portavoce dell´Esercito, colonnello Brad Blackner, considera non credibili perché «se leggete il manuale di addestramento di Al Qaeda vedrete che contengono istruzioni per confezionare accuse contro gli infedeli». Le accuse vengono dal cuore del sistema investigativo statunitense, l´Fbi, agenzia che assieme alla Cia e all´Esercito fornisce gli addetti agli interrogatori di Guantanamo. Possibile che siano tutte false?
Dietro al caso del Corano dissacrato, dunque, emerge uno scontro tra il Pentagono, cui fa capo l´Esercito, e il dipartimento della Giustizia, da cui dipende l´Fbi. Del resto, proprio all´Fbi da tempo cresce il malcontento sulla gestione di Guantanamo, sugli abusi nei confronti dei prigionieri, sui capi d´accusa indefiniti e difficilmente verificabili e sul limbo processuale in cui vivono centinaia di detenuti di lingua araba di cui l´Amministrazione non ha ancora deciso la sorte. La decisione di passare all´attacco, mostrando a Newsweek le e-mail interne al bureau, potrebbe quindi essere un tassello di questo scontro.
D´altronde, lo stesso settimanale avverte severo: vere o meno che siano, «altre accuse del genere emergeranno di sicuro, e potrebbero generare altri problemi. Gli Occidentali rischiano di sottovalutare il risentimento degli Islamici verso la presenza americana, specie quando questa interferisce con la loro fede religiosa».
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT