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La Stampa Rassegna Stampa
15.05.2005 L'opinione di Elie Wiesel
antisemitismo e propaganda contro Israele nelle università

Testata: La Stampa
Data: 15 maggio 2005
Pagina: 13
Autore: Alain Elkann
Titolo: «L'Italia si interroghi sull'antisemitismo»
Pubblichiamo l'intervista a Elie Wiesel di Alain Elkann uscita sulla STAMPA di oggi 15 maggio 2005. Di fronte alle molte espressioni tendenti a diminuire il fenomeno della diffusione dell'antisemitismo, ovvero dell'odio contro Israele che è la sua versione moderna,nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, sentiamo l'autorevole voce di Elie Wiesel. Che non fa lo gnorri, non dice "sono solo quattro gatti", che riconosce in Israele il punto centrale sul quale si rovescia l'antisemitismo contemporaneo da un lato, mentre dall'altro, da chi dovrebbe difenderne le ragioni, troppo spesso sentiamo dei "non so", dei "non credo", dei "non mi pare".
Ecco come la pensa un ebreo coraggioso, magari fosse d'esempio.

«La Federazione Reale di Giordania e la Fondazione Wiesel hanno organizzato un colloquio a Petra dal titolo ‘’Il mondo è in pericolo’’. Si vuole analizzare le responsabilità degli individui, dei gruppi, dei governanti e di tutti quelli che hanno saputo dare un senso alla loro ricerca per affrontare quel pericolo. Ci saranno 35 premi Nobel di tutte le discipline dal 17 al 19 maggio. Ci sarà anche il Dalai Lama».
E’ importante questo simposio?
«Il fatto che un ebreo come me e un mussulmano come il Re abbiano preso questa iniziativa ha una portata simbolica che tutti possono riconoscere».
Non c’è pace nel mondo e l’antisemitismo risorge in Europa e anche in Italia.
«La pace è un soggetto che ha preoccupato il mondo fin dalle sue origini; la pace è tregua tra due guerre, saremmo noi condannati a vivere nella pace solo per avere timore della guerra. Oggi giorno la pace non è così in pericolo. Dal 45’ non ci sono state più guerre mondiali. Certo ci sono state guerre civili, razziali etniche, impopolari come se l’essere umano fosse troppo povero per immaginare gli orrori della guerra. Invece dovremmo tutti conoscerne la maschera spaventosa e le disastrose conseguenze. Sono sempre gli adulti che fanno le guerre e i bambini che muoiono. Oggi c’è il terrorismo e peggio ancora il terrorismo suicida».
E l’antisemitismo che cos’è?
«E’ l’odio di un gruppo, il più antico della storia. Questa generazione che è nostra ha conosciuto la scomparsa del nazismo, dello stalinismo, del colonialismo, dell’imperialismo e in certi Paesi del razzismo. Solo l’antisemitismo è ancora vivo e come un cancro si propaga di cellula in cellula, di organo in organo, di cultura in cultura. E tutto ne viene invaso».
Lei è ebreo, ha subito personalmente l’orrore dei campi di concentramento, era amico di Primo Levi. Che cosa prova?
«Conosco le conseguenze dell’antisemitismo. E’ certo che non è la sola causa di pericolo, ma senza l’antisemitismo non ci sarebbe stato Auschwitz. Per questo l’antisemita dovrebbe sapere che il suo odio dell’ebreo lo rende colpevole».
Si dice che non è un antisemitismo contro gli ebrei ma contro Israele?
«Troppo facile, dopotutto Israele è uno stato ebraico. Ci vivono sei milioni di ebrei. Una cosa è dire che si è contro tale o talaltro politico, altra cosa è condannare tutta la comunità d’Israele».
Da dove viene l’antisemitismo?
«E’ una combinazione disgustosa tra l’estrema destra tradizionalista e fanatica e l’estrema sinistra che è politicamente fanatica. Non dico che tutti quelli che criticano Israele per una ragione o l’altra sono antisemiti; ma dico che chiunque critichi Israele con virulenza esagerata e senza riconoscerle certi meriti è antisemita».
I giovani nelle scuole, nelle Università sanno quello che dicono quando esprimono opinioni antisemite?
«Ripetono quello che sentono dire, quello che leggono sui giornali, ascoltano alla televisione, o da amici più grandi che comparano Israele a un regime nazista. Ma questo vuol dire che non conoscono nulla di quello che è successo nella seconda Guerra mondiale. Israele è uno stato democratico. I capi politici e culturali di Israele oggi come i loro predecessori aspirano alla pace con i vicini. Il primo ministro Sharon ha dichiarato a più riprese che è in favore di uno Stato palestinese. Che i terroristi smettano i loro attentati contro i civili innocenti e i bambini. Lascino Israele respirare un po’ e non vivere nella paura e il mondo vedrà e riconoscerà la profondità della generosità ebraica tradizionale oggi incarnata da Israele».
Che impressione le fa sentir parlare di nuovo di antisemitismo?
«Fa male perché è un tema doloroso, non solo per gli ebrei e i loro amici, ma per tutti quelli che studiano la storia. Non ha mai fatto bene e non ha lasciato frutti in nessuna attività nobile. L’antisemitismo è brutto, squallido e rende brutti. Per questo trovandomi in Italia e leggendo sulla stampa di incidenti antisemiti mi fa paura. Certo è un problema per gli ebrei, ma per tutto il contorno sociale. Una società dove gli antisemiti si scoprono, facendo vedere che hanno il coraggio di predicare l’odio, ecco quella società dovrebbe interrogarsi a fondo su se stessa».
In America che cosa succede?
«Ci sono antisemiti e razzisti, ma non c’è antisemitismo. In America c’è una vita ebraica molto fiorente, potente, l’antisemitismo è un fenomeno veramente limitato. Quest’anno si celebra il 350 anniversario dell’arrivo dei primi ebrei a New York. Erano 23 e arrivavano da Recife in Brasile, scacciati dall’Inquisizione. Oggi in America un ebreo può arrivare a livelli più alti della società restando ebreo; in altre parole non dovendosi convertire o assimilare per essere accettato come successe in altre società del passato».
E’ difficile essere ebrei?
«No. Non per me. Io sono quello che sono, non potrei essere altro che quello che sono. Sono per un concetto universalista della cultura. Lo dico all’interno del mio ebraismo. Lo stesso dovrebbe valere per i cattolici, protestanti, i mussulmani, i buddisti, gli atei e gli agnostici. Io sono per il ‘’rispetto’’ che vuol dire rispetto dell’altro. L’antisemitismo basa la sua filosofia della vita sull’umiliazione. Ecco dove ci troviamo all’apposto uno dell’altro!».
E allora cosa si deve fare?
«Non conosco risposta alle questioni esistenziali, ma qualunque sia la risposta bisogna che l’educazione sia la maggior componente. Un’educazione che comprende tutte le età e tutte le fasce sociali. L’educazione deve dominare tutte le preoccupazioni di tutti».
Non si stanca di dover tornare sempre allo stesso argomento, l’antisemitismo?
«Sì, preferirei parlare di Dante e Dostojevski, del Talmud e di Shakespeare ma dato che l’attualità è così non ho il diritto di tirarmi indietro. Se c’è un argomento che non vorrei toccare è l’antisemitismo ma non vorrei che il nemico vinca obbligandomi a parlare solo di questo, ma non vincerà, ci sono troppe cose da fare nel mondo e per il mondo e non ho il diritto di abbandonarle solo perché il nemico vuole che le abbandoni parlando solo di lui».
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