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La Stampa Rassegna Stampa
13.05.2005 Il brusco risveglio dai sogni della diplomazia europea: il pericolo dell'atomica iraniana è sempre più concreto
una cronaca e l'analisi di un'esperta

Testata: La Stampa
Data: 13 maggio 2005
Pagina: 10
Autore: Marina Verna - Arnauld Leparmentier
Titolo: «Teheran ci riprova con l'uranio, ma l'Ue avverte, non fatelo - La minaccia nucleare iraniana è seria»
LA STAMPA di venerdì 13 maggio 2005 pubblica a pagina 10 un articolo di Marina Verna sulla decisione iraniana di riprendere l'arricchimento dell'uranio: nell'affrontare il problema della corsa all'atomica del regime degli ayatollah la strategia negoziale europea sembra purtroppo fallimentare.

Ecco il testo:

L’Iran intende riprendere l’attività di arricchimento dell’uranio, interrotta lo scorso 15 novembre in seguito a un accordo con la Ue. Ieri, dopo giorni di sussurri tra Vienna e Teheran, l’annuncio ufficiale del capo dell’Ente per l’energia atomica iraniana, Gholam Reza Aghazadeh: «Nelle attuali circostanze le trattative non possono proseguire e devono essere riconsiderate. L’Iran ha deciso di riprendere una parte considerevole delle proprie attività di arricchimento dell’uranio». L’Aiea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, si aspettava una lettera, invece la comunicazione è stata data alla tv di Stato iraniana.
Precipita così una crisi latente che Germania, Francia e Gran Bretagna - la troika che da due anni negozia per conto della Ue e con il consenso degli Usa - sperava di risolvere per via diplomatica. «Se l’Iran viola i suoi obblighi e gli impegni assunti - ha minacciato ieri il premier inglese Tony Blair - noi sosterremo senza esitazione il suo deferimento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Anche il ministero degli Esteri francese ha preso subito una posizione intransigente: «Ribadiamo di essere vincolati all’accordo del novembre 2004, che prevede la sospensione delle attività legate all’arricchimento dell’uranio».
Per evitare una crisi che può portare molto lontano, i ministri degli Esteri dei tre Paesi Ue hanno tentato un’ultima mossa: una lettera al capo negoziatore nucleare iraniano Hassan Rohani, pubblicata ieri dal «Washington Post» nella quale si dice che una violazione degli accordi è «inaccettabile» e che si conclude con la minaccia di «conseguenze negative per l’Iran» qualora fosse ripreso il trattamento dell’uranio nel laboratorio di Ishafan, ora sigillato dagli ispettori dell’Aiea.
La prima «conseguenza negativa» sarebbe l’interruzione dei colloqui ma a Vienna si prevede la convocazione di una seduta straordinaria del consiglio Aiea, dalla quale potrebbe uscire la richiesta di sanzioni al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Un passo caldeggiato dagli Stati Uniti che appoggiano l’iniziativa diplomatica dei tre in cambio di una promessa: la denuncia del «caso Iran» al Consiglio di sicurezza dell’Onu se i negoziati non producessero risultati. E sullo sfondo la minaccia di un nuovo intervento militare del quale - da ieri - si riparla a Washington.
Ancora ieri si pensava che la lettera europea potesse avere effetto, che Teheran non ritenesse opportuno aprire una crisi con l’Onu. Ma l’Iran, già a fine aprile, dopo l’ultimo infruttuoso incontro a quattro avvenuto a Londra, aveva detto di non gradire la «tattica dilatoria» della Ue e di essere pronto a riprendere l’attività nucleare. D’altronde, non ha mai nascosto di considerare un suo diritto la possibilità di dotarsi di impianti per l’energia atomica, mentre gli Stati occidentali pensano che si tratti di una copertura per attività militari, che darebbero a Teheran la sua prima bomba atomica.
Javier, Solana, l’Alto rappresentante della politica estera Ue, ha cercato di non drammatizzare e di tenere ferma la linea del negoziato: «Ai nostri interlocutori iraniani - ha detto - abbiamo comunicato molto chiaramente che ci sarebbero conseguenze se decidessero di fare qualcosa che per noi è una violazione degli accordi di novembre».
Da LE MONDE, LA STAMPA riprende un'intervista di Arnauld Leparmentier a Therese Delpech, direttore degli affari strategici al Cea, il Commissariato per l’energia atomica. Che avverte: il nucleare iraniano è una seria minaccia.

Ecco il testo:

Therese Delpech è direttore degli affari strategici al Cea, il Commissariato per l’energia atomica.
Gli iraniani minacciano di riprendere il ciclo di arricchimento dell’uranio. Molti ritengono che non lo faranno prima delle elezioni presidenziali del 17 giugno. Secondo lei è un bluff?
«L’Iran minaccia di riprendere le attività di conversione dell’uranio a Isfahan, non l’arricchimento propriamente inteso, che è una fase successiva. Non credo sia un bluff. La ripetizione pressoché quotidiana della minaccia indica intenzioni serie. Ci si chiede i motivi di una simile decisione prima del voto del 17 giugno. Tanto più che l’ex presidente Rafsanjani ha comunicato che si candiderà e uno degli elementi della sua campagna elettorale è il riavvicinamento agli Stati Uniti: un simile annuncio non è certo il modo migliore per ottenerlo. Certo, ci si può interrogare sui rapporti fra Rasfanjani e Khamenei, ma non riesco a credere che la candidatura del primo sia stata annunciata senza l’avallo del secondo. Può darsi che l’Iran semplicemente ritenga che la sospensione concordata con l’Europa non serva i suoi interessi, dal momento che non è bastata a dividere le tre capitali o le due rive dell’Atlantico - che ultimamente anzi si sono riavvicinate - e che non siano basi giuridiche per adire il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Si tratta a mio avviso di una scommessa. E di una scommessa pericolosa».
Che interesse hanno gli iraniani ad adottare una tale strategia?
«Un possibile obiettivo è quello di aprire una crisi per poter meglio negoziare dopo le elezioni. Ma non sarà facilissimo spiegare questa strategia agli iraniani dopo aver passato mesi a ripetere che l’arricchimento e il trattamento erano un diritto di cui l’Occidente, in generale, e gli Stati Uniti in particolare, volevano privarli. È anche possibile che l’Iran abbia usato i tempi del negoziato per concludere una serie di attività clandestine e che ora per avere un’arma atomica manchi solo il materiale fissile. Questa è la prospettiva più inquietante».
Crede all’imminenza di un test nucleare in Nord Corea?
«Io soprattutto sono convinta che anche se il Nord Corea si accontenta di mandare segnali inquietanti agli alleati degli americani, bisogna preparare seriamente una risposta a un evento che sconvolgerebbe profondamente la regione e che non potrebbe avvenire senza almeno un accordo tattico con la Cina. In effetti Pechino non pare far molto per scongiurare questa evenienza. La conseguenza principale di un test atomico sarebbe la certezza per la regione e per il mondo intero del fatto che Kim Jong-il dispone di armi nucleari».
C’è una strategia comune fra Iran e Corea e quali sono i rischi di questa intesa?
«C’è un legame sul piano balistico: il Shelab 3 iraniano e il No-Dong nordcoreano presentano molte affinità e la collaborazione dei due Paesi è stata denunciata. Alcuni osservatori giapponesi affermano che esperti iraniani sono andati a più riprese in Nord Corea per eseguire esperimenti nucleari comuni. Se questo sia vero o meno, nel caso di un test coreano ci si dovrà domandare se l’Iran ha tratto vantaggio dai risultati dell’esperimento. Quindi, è normale guardare ai due casi simultaneamente, nelle loro reciproche implicazioni».
Quest’evoluzione segna il fallimento della strategia europea per l’Iran e di quella americana per la Corea?
«Se l’Iran riprende le attività che aveva sospeso, questo è uno scacco per i negoziati europei che dovevano arrivare a un accordo ed evitare il ricorso al Consiglio di Sicurezza. Ma l’Europa può rilanciare e proporre nuove tappe in caso di rottura da parte iraniana. Le proposte dovrebbero basarsi sulla valutazione espressa dall’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, sull’accordo del 15 novembre 2004, e soprattutto puntare sul contesto, molto sfavorevole all’Iran: il rapporto dell’Aiea del novembre 2004 elenca una lunga lista di violazioni. Per la Corea c’è il fallimento degli accordi del 1994, stipulati dalla precedente amministrazione statunitense, ma anche dei colloqui a sei che si sono tenuti invano a Pechino».
Fino a che punto - bombardamenti, invasione - potranno arrivare gli Usa se l’atteggiamento tanto dell’Iran come della Corea finisse per dar ragione ai più pessimisti fra i neocon?
«Prima di parlare di bombardamenti ci sono molte altre possibilità d’azione da parte del Consiglio di Sicurezza. Anche la strategia dell’Unione europea, adottata nel dicembre 2003, accetta l’idea del ricorso alla forza come ultima risorsa. Pure l’Iran e la Corea hanno molte strade aperte e faranno meglio a riflettere prima di agire».
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