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Il Manifesto Rassegna Stampa
06.05.2005 La "frattellanza bianca" tra Israele e Stati Uniti: l'astuta ipotesi di una politologa che se ne infischia dei fatti
e formula le sue analisi sul giornale comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 06 maggio 2005
Pagina: 10
Autore: Rita Di Leo
Titolo: «Colpire l'Iraq, educare la Palestina»
In un articolo pieno di luoghi comuni falsi (l'intifada scatenata dalla "passeggiata di Sharon" per citarne uno), intitolato "Colpire l'Iraq, educare la Palestina", come a ipotizzare una strategia "terroristica" al servizio di Israele nella politica statunitense in Medio Oriente, Rita Di Leo si interroga sui motivi di una fantasmatica "soggezione" degli Stati Uniti verso Sharon.
Liquidate come ingenue e semplicistiche le letture del conflitto mediorientale date da due suoi studenti laureandi (citati e descritti con scarso stile, ci pare), rifiutata l'ipotesi che sia il "voto ebraico" a determinare le politiche della presidenza Bush, l'astuta e complessa studiosa formula la sua ipotesi: gli Stati Uniti sostengono Israele perchè unico stato "bianco", cioè con una popolazione di origine europea, del Medio Oriente.

In Israele, come noto, vi sono numerosi ebrei provenienti dal mondo arabo. E anche ebrei africani.
Se qualcosa accomuna Israele agli Stati Uniti è, come ovvio, l'ordinamento democratico. Inoltre l'ipotesi della Di Leo non ha nessun appiglio fattuale.

Ma non importa: sostenere che è il Ku Klux Klan, in pratica, a determinare il sostegno americano a Israele deve essere sembrato all'astuta accademica una mossa troppo brillante, sottile e acuta per essere lasciata cadere per trascurabili scrupoli scientifici.

Ecco l'articolo:

Secondo la vulgata corrente il motivo numero 2 della guerra preventiva all'Iraq era la fine del conflitto israelo-palestinese. La sconfitta di Saddam Hussein, uno dei patron dell'Intifada nei Territori, doveva sicuramente contribuire a esaurirlo. E la morte di Arafat, le elezioni, il consenso internazionale per il successore, la firma di una tregua, la rarefazione degli attentati hanno accreditato le aspettative ufficiali. Paradossalmente la pace è sembrata possibile più che a Bagdad. L'11 aprile 2005 il premier Sharon ha avuto l'onore di essere invitato dal presidente Bush nel ranch texano per una pubblica attestazione dei suoi meriti di «uomo di pace». Egli aveva appena ottenuto l'approvazione del parlamento allo smantellamento di 7.500 insediamenti nella striscia di Gaza, un concreto segnale di riconoscimento delle ragioni dell'avversario. Sharon però è Sharon ed eccolo fare l'annuncio della costruzione di 3.500 nuove case alla periferia est di Gerusalemme. Il luogo prescelto è una replica diretta alle aspirazioni palestinesi su quella zona della città. Così diretta da apparire provocatoria persino a George Bush il quale ha ricordato al suo ospite l'impegno a rispettare la road map che vieta, appunto, nuovi insediamenti. La risposta di Sharon, degna del personaggio, è stata che si tratta di riempire un territorio in degrado. E appena fuori dal ranch ha puntualizzato che per lui la road map è un optional, per lui ha senso solo la sua strategia. Per intenderci, quella che lo portò nel settembre del 2000 alla passeggiata alla Spianata delle Moschee, dando così inizio a 4 anni di guerriglia, 3688 morti palestinesi, 986 israeliani.

Che cosa rende quest'uomo così sicuro di poter fare quello che vuole? L'Economist ha dedicato all'incontro texano una vignetta che ritrae Bush in rispettoso imbarazzo balbettare che crede alle promesse del suo amico. Perché Bush è così dipendente da Sharon? Da Sharon o da Israele? La risposta più retriva è il voto degli ebrei americani, i quali nel secondo mandato lo hanno votato un po' di più, epperò il 75% è rimasto fedele al partito democratico. Oltretutto, gli ebrei hanno resistito meglio dei cattolici. La risposta geopolitica ha a che fare con la situazione mediorentale dove paesi come l'Egitto, la Giordania, l'Arabia Saudita, per quanto clienti o alleati, rimangono alieni. In Medio oriente Israele è divenuto il paese garanzia dell'esistenza del mondo dei bianchi, della loro cultura, della loro forza. E Israele ha imparato a giocare alla grande la sua posizione «monopolistica» verso i bianchi e i non bianchi. Sharon è questo momento di Israele. Egli sfiora la guerra civile tra la sua gente per gli smantellamenti di Gaza e intanto porta avanti la costruzione del muro-fortezza, realizzato per tenere nelle condizioni di liberto il futuro stato palestinese. L'opinione pubblica internazionale subisce Sharon proprio come fa Bush. Ne ho cercato i motivi nelle pagine di due tesi sul conflitto israelo-palestinese che sto visionando. I due laureandi sono Miriam, una fanciulla laica e pragmatica e Davide, un ragazzo ebreo ortodosso. Per venire a lezione sono passati per mesi dinanzi al muro dell'Università dove campeggiava la scritta «Israele=nemico dell'umanità». La scritta era stata infine cancellata quando hanno cominciato a portarmi i capitoli della tesi senza sapere l'una dell'altro. Miriam ha studiato i documenti dalla dichiarazione di Balfour al recente incontro tra Sharon e Abu Mazen. Si è fatto un quadro della situazione, semplicistico ma che esprime un suo battagliero punto di vista. Il primo riferimento è ad Amos Oz, il quale racconta che suo padre bambino leggeva sui muri della Polonia «ebrei andatevene in Palestina» e oggi lui vi legge «ebrei fuori dalla Palestina». Per Miriam è l'Europa, responsabile della cacciata dei suoi ebrei, che deve trovare la quadratura del cerchio. L'Europa è anche storicamente responsabile del pasticcio medio-orientale tra le due guerre e negli anni Quaranta e Cinquanta. E insomma le spetta porre riparo, trovare il compromesso possibile per i palestinesi e per gli israeliani che non la pensano come Sharon. Sharon è la sua bestia nera, il sostegno che ha da Bush acutizza il conflitto, lo mette sui binari della violenza e del degrado della società. Gli israeliani devono liberarsi di Sharon e farsi aiutare dagli europei. L'Europa deve convincere gli eredi dei «suoi» ebrei e i palestinesi sulle cui terre ha spadroneggiato per tanto tempo a uscire dal vicolo cieco in cui Sharon li ha portati.

Davide ammira Sharon, l'ebreo che tratta alla pari il presidente degli Stati uniti. Allo stesso tempo ha una gran riconoscenza per Bush, il quale appoggia Israele incondizionatamente. Davide ha raccolto tantissimi documenti arabi sull'odio per gli israeliani. Ha letto quasi esclusivamente la stampa araba corrente, giacché aveva già una sua versione della costruzione dello stato di Israele. Le sue coordinate sono semplicistiche quanto quelle di Miriam. L'Europa ha costretto gli ebrei a tornare in Palestina e poi si è messa dalla parte degli arabi. Li appoggia nella loro pretesa di farsi uno stato proprio sulle terre che appartengono agli ebrei dai tempi della Bibbia. Israele ha chiuso con il suo passato europeo. Per fortuna, gli Stati uniti sono dalla parte di Israele e il merito è di Sharon, della sua tenacia che ha messo fine agli arbitrati alla Clinton. Non si fanno compromessi con i palestinesi che vanno tenuti sempre sotto controllo. A vederlo, Davide sembra uscito da un racconto di Singer, ha gli occhi dolci e distanti, mitissimi. Vive in adorazione dei suoi coetanei israeliani che dopo 2000 anni hanno finalmente imparato a difendersi dal mondo ostile. Che hanno imparato a fare le guerre, a farsi odiare e temere proprio come gli altri popoli, come gli europei ieri, come gli americani oggi. E' rimasto soddisfatto quando Sharon ha fatto sapere che per motivi religiosi il ritiro da Gaza era rinviato. Miriam si è infuriata. Intanto i media davano notizia della costruzione di altre 50 case in Cisgiordania, di due soldati israeliani gravemente feriti da miliziani palestinesi per vendicare l'uccisione di tre adolescenti palestinesi e del riconoscimento come università israeliana al discusso collegio Ariel insediato nei Territori occupati della Cisgiordania, nonostante il boicottaggio su questo di molti atenei europei. Insomma, la situazione somiglia un po' troppo a quella del passato per essere sicuri che la guerra preventiva di Bush ha avuto più successo a Tel Aviv che a Bagdad.
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