L'Iran chiede all'Onu venti centrali nucleari, Israele questa volta non può risolvere il problema da sola cronache e analisi sul pericolo dell'atomica degli ayatollah
Testata: Il Foglio Data: 06 maggio 2005 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «Perchè non si può pensare che Israele da solo fermi l'Iran - Gli ayatollah vogliono venti centrali nucleari e lo dicono all'Onu»
IL FOGLIO di venerdì 6 maggio 2005 pubblica un articolo che spiega perchè l'ipotesi di un'azione militare israeliana per fermare i progetti nucleari iraniani è molto improbabile.
Ecco il testo: Roma. La notizia di un possibile acquisto israeliano di bombe GBU-28 americane prodotte dalla Lockheed Martin – le cosiddette bunker busters progettate per la penetrazione di strutture sotterranee – ha sollevato la questione della possibilità che lo Stato ebraico si stia preparando a un attacco aereo contro i siti nucleari iraniani. Il timore, essenzialmente europeo, che Gerusalemme lanci un raid preventivo contro la Repubblica islamica, per neutralizzarne le capacità di fusione, si basa sul precedente storico del missile israeliano lanciato contro il reattore nucleare iracheno (di progettazione e costruzione francese) di Osirak. Israele bombardò il sito, prima che diventasse attivo nel giugno del 1981 con un attacco a sorpresa. La possibile vendita di cento ordigni capaci di penetrare un muro protettivo in cemento armato spesso sei metri e profondo trenta – tale è il potenziale delle bunker busters – alimenta i sospetti che lo Stato ebraico si stia preparando a intervenire contro l’Iran. Questo scenario era già stato prospettato dal vicepresidente americano, Dick Cheney, come tattica per metter pressione alla troika europea, Francia Germania e Inghilterra, sui negoziati con Teheran per il dossier nucleare. La paura di un attacco israeliano risulta però essere infondata. Il precedente di Osirak dimostra l’inapplicabilità di quel modello alle presenti circostanze. Il raid aereo avvenne il 7 giugno 1981 e fu lanciato da una base aerea nel Sinai, prima che fosse restituito all’Egitto. Le modalità dell’operazione sono cruciali. Il percorso tra la base e il reattore nucleare iracheno, andata e ritorno, era di circa di 1600 chilometri, meno della metà di quanto dovrebbero percorrere i caccia israeliani per arrivare agli obiettivi iraniani. Il raid su Osirak richiese otto F-16 dotati di bombe da 2000 libbre ciascuno: i primi sette dovevano aprire la breccia nel reattore e l’ottavo doveva centrarlo. L’attacco fu portato a termine con la partecipazione di F-14 per rifornimento in volo e di F-15 per distrarre l’antiaerea e per scorta. I radar sauditi, giordani e iracheni vennero elusi da otto F-16, che volarono in formazione compatta per riflettere l’immagine di un grosso aereo commerciale. Nonostante la difficoltá dell’esecuzione il colpo riuscì. Il successo dell’operazione si basò sull’elemento sorpresa – una sola sortita, una sola chance di riuscita – e sul fatto che il programma nucleare iracheno si trovava in un unico sito ben noto e in superficie. Non si puó dire lo stesso nel caso dell’Iran, dove ci sono decine, forse centinaia di siti da bombardare. Israele dovrebbe ripetere l’operazione di Osirak a una distanza ben maggiore, comportando un numero ingente di aerei e non avendo l’elemento sorpresa a proprio vantaggio. Israele dovrebbe inoltre sorvolare paesi nemici come la Siria o amici come la Turchia, che non possono permettersi di autorizzare l’uso del proprio spazio aereo da parte dello Stato ebraico per una missione contro l’Iran. Israele puó invece sorvolare la Giordania ed entrare nei cieli iracheni sorvegliati dagli Stati Uniti, ma farlo all’insaputa americana creerebbe un incidente ben più grave. Se Washington fosse informata, Teheran considererebbe la Casa Bianca la diretta responsabile e la rappresaglia iraniana si abbatterebbe sull’Iraq prima ancora di raggiungere Israele. Un attacco aereo alla struttura nucleare iraniana non è da escludersi in futuro, anche se operazioni di sabotaggio sembrano essere più realistiche nell’immediato. Se ci fosse un attacco, gli europei possono stare tranquilli. Ci penseranno gli americani a farlo, senza subappalti a Israele, utilizzando probabilmente basi aeree di paesi arabi nel Golfo Persico, i cui governi hanno già tacitamente fatto sapere che chiuderebbero uno, e anche due occhi se necessario, per permettere l’operazione. In un altro articolo viene analizzata la strategia negoziale iraniana.
Ecco il testo: Roma. "Il mio paese intende costruire venti centrali nucleari", ha affermato a New York, ai margini della conferenza delle Nazioni Unite sul trattato di non proliferazione nucleare, il ministro degli Esteri iraniano, Khamal Kharrazi. Dopo la nutrita sequela di incontri al vertice e l’ottimismo frettoloso dei primi tempi, dopo le tante promesse non mantenute e le velate minacce, il negoziato sul dossier nucleare iraniano tra la troika anglo-franco- tedesca dell’Ue e la Repubblica Islamica non solo non emerge vittorioso dalle sabbie mobili degli ultimi diciotto mesi, ma rischia di essere congelato fino al prossimo autunno. "L’accordo era a portata di mano – dicono fonti iraniane all’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) – ma gli europei non hanno avuto coraggio". L’accusa, la solita da almeno un anno, è che i mediatori dell’Ue non siano in grado di smarcarsi dalle pressioni statunitensi. "Abbiamo dimostrato buona volontà. Eravamo disposti a cedere, poi ci siamo stancati di aspettare". Ma al di là delle reprimende sul ruolo degli Stati Uniti – un coinvolgimento nei confronti del quale, a dire il vero, i negoziatori di Teheran hanno alternato allo sdegno l’espressione di un cauto interesse – l’irritazione iraniana è motivata dall’inerzia della troika nei confronti della sua ultima proposta. La Repubblica Islamica si impegnava a contenere l’arricchimento dell’uranio entro i limiti consentiti per gli usi civili (il 3,5 per cento) pronta a garantire il libero accesso agli ispettori dell’Aiea e alle loro sofisticate strumentazioni allo scopo di certificare la sua buona fede. Il compromesso aveva ricevuto segnali incoraggianti dal capo della diplomazia europea, Javier Solana, e dal presidente francese, Jacques Chirac. Ma alla fine i buoni uffici d’oltralpe non hanno avuto la meglio sullo scetticismo e la linea morbilegda non è passata. L’Ue continua a pretendere "garanzie oggettive" sulla natura pacifica del nucleare iraniano e la fine del programma per l’arricchimento dell’uranio al posto della sua mera sospensione. L’Iran invece rivendica con gli accenti perentori delle sue massime autorità, dall’ayatollah Khamenei al hojatoeslam Hashemi Rafsanjani, in corsa per le elezioni presidenziali, il suo diritto al progresso scientifico e all’utilizzo pacifico della tecnologia nucleare. "Perdono altro tempo" "Eravamo vicini, ma gli europei hanno deciso che vogliono perdere altro tempo, tempo che noi non abbiamo per cui per adesso ci alziamo dal tavolo" puntualizzano le fonti iraniane. I negoziatori di Teheran sentono di essersi troppo esposti e di non poter concedere altro senza perdere la faccia alla vigilia delle presidenziali. La speranza è che la pausa porti consiglio e che la mediazione possa ripartire a settembre, forte di un risultato elettorale che consacri la fazione pragmatica e dialogante dell’establishment. Le aspettative sul futuro dell’engagement si concentrano sulla figura di Hashemi Rafsanjani, sempre più prossimo "a bere il calice amaro" della discesa in campo, ma la vittoria troppo annunciata del Richelieu della politica iraniana dovrà misurarsi con le resistenze dell’ayatollah Khamenei ed è da questa dialettica – niente affatto scontata – che dipenderà il margine di trattativa iraniana. Nell’incertezza a Teheran si vagliano tutte le ipotesi. "Se il nostro dossier fosse deferito al Consiglio di sicurezza sarebbe un fallimento per l’Europa, l’Aiea e il multilateralismo insieme", ha avvertito il capo del Consiglio per la sicurezza nazionale, Hassan Rowhani. Ma lo scacco della diplomazia dei tre grandi dell’Ue non sarebbe un gran risultato nemmeno per Teheran, che cerca vie di fuga all’accerchiamento. Contro l’ipotesi di sanzioni economiche l’Iran punta sui veti di Mosca e di Pechino e cerca solidarietà dai paesi non allineati alludendo, come ha fatto il ministro degli Esteri, Kamal Kharrazi, al- intervento americano per risolvere essere influenzati da Washington. Al Esteri Kharrazi punta su Cina e Russia l’accordo era a portata di mano" la doppiezza di Washington in tema di sicurezza. Ma a Teheran si vagliano con grande attenzione anche il pericolo di raid aerei. La prospettiva di un attacco israeliano, fonte in questi mesi di innumerevoli speculazioni, deve ancora venire a capo di un complicato rebus regionale. "Dovranno risolvere una serie di incognite logistiche e tecniche legate alla diversa ubicazione delle nostre centrali. – spiega un analista iraniano – Poi potrebbero scegliere diverse strade per colpirci. Attraversare la Giordania e l’Iraq o la via mediterranea sopra i cieli della Turchia oppure entrare dall’Azerbaijan". In tutti questi casi le autorità israeliane dovrebbero ottenere un assenso niente affatto scontato dai paesi interessati. Nonostante l’alleanza storica tra Ankara e Gerusalemme, la Turchia ha solide relazioni con Teheran riguardanti gli interessi economici e le convenienze strategiche, quali la questione curda. Mutatis mutandis, l’Azerbaijian che conta sulla mediazione iraniana come ponte verso Yerevan, difficilmente prenderebbe partito a favore dell’asse israelo-americano contro Mosca. Resterebbe la Giordania e un punto interrogativo, dopo le pesanti ripercussioni sui rapporti bilaterali in seguito alle critiche di re Abdullah II a proposito delle nefaste ingerenze iraniane in Iraq e al pericolo della "mezzaluna sciita". Ma in ogni caso, pur ipotizzando che il sovrano hashemita dia il suo assenso, rimane l’incognita irachena. "Se la nuova amministrazione accettasse uno scenario simile verrebbe subito accusata di essere al soldo dei sionisti e degli americani, o peggio si potrebbe addirittura scatenare una guerra civile. E se per tutta risposta sostenessero di non aver acconsentito rischierebbero comunque la delegittimazione". Se la strada per la Repubblica Islamica resta in salita, Teheran considera che lo stesso vale per i suoi nemici. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.