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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
02.05.2005 La democrazia? E' dare tutto il potere a terroristi e fondamentalisti
le confusioni e i sofismi di un'analisi di Ugo Tramballi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 02 maggio 2005
Pagina: 7
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «La sfida della democrazia»
IL SOLE 24 ORE di domenica 1 maggio 2005 pubblica un'analisi di Ugo Tramballi a proposito dei problemi posti dagli attentati contro i turisti avvenuti al Cairo sabato 30 aprile.

Un esempio perfetto di come si possano confondere e alterare i problemi, attraverso l'uso di una logica sofistica.

Ecco il testo:

Ogni volta che esplode una bomba vite umane sono in gioco, sistemi di sicurezza in discussione e un senso d’incertezza si diffonde tra la gente. Ma quando è in Egitto e in qualsiasi altro Paese arabo che la bomba esplode un altro problema silenziosamente si fa avanti: quello della democrazia.
D quando è in discussione la quarta ricandidatura presidenziale consecutiva di Hosni Mubarak, al Cairo è tornato il terrorismo islamico che prende di mira i luoghi del turismo: di cui il paese è pieno.
Facile supporre la provocazione di apparati dello Stato, soprattutto in questa fase in cui gli oppositori si organizzano e le manifestazioni antigovernative si moltiplicano.
Nel clima di cambiamento che si respira in Medio Oriente in questi mesi, un numero crescente di egiziani si oppone a un ennesimo mandato di Mubarak e chiede il ritorno al multipartitismo. Le riforme elettorali che lui stesso ha prodotto sono inadeguate ai termini del problema ma segnalano che anche la lunga stagnazione egiziana – Mubarak è al potere dal 1981 – sta per terminare.
Ma sospettare dell’oligarchia militar-statale al potere dai tempi di Nasser, dagli anni Cinquanta, sarebbe ingiusto. Il turismo è una voce troppo vitale dell’economia egiziana per essere sacrificata alla ragion di Stato. E soprattutto il regime è autoritario ma sostanzialmente moderato per la media dei paesi arabi. In questi anni l’Egitto di Mubarak è stato un punto di grande equilibrio in una regione di conflitti, profondamente instabile. Forse, piuttosto, è proprio sospettando una nuova debolezza del regime che i terroristi hanno ripreso a colpire.
I problemi che sollevano le bombe al Cairo sono comunque più profondi e non riguardano solo l’Egitto. La democrazia saprebbe confrontare il terrorismo islamico meglio dei regimi al potere? E ancora: è possibile che le organizzazioni fondamentaliste dalle quali viene l’ispirazione quando non gli uomini e la logistica del terrore, possano essere integrate in un sistema democratico?
I due problemi sono evidentemente distinti. Un conto è chiedersi se la democrazia potrebbe essere più efficace della dittatura nella lotta al fondamentalismo e al terrorismo, tutt’altro chiedersi se la democrazia potrebbe cooptare terroristi e fondamentalisti.
La risposta a questa domanda è evidentemente no: i movimenti fondamentalisti possono essere interessati a sfruttare le regole della democrazia per conquistare il potere, ma solo con l’intenzione, del tutto esplicita, di cancellare subito dopo quelle stesse regole.
Il terrorismo, d’altro canto, introducendo la violenza indiscriminata nel conflitto politico è la negazione stessa della democrazia: i suoi metodi non possono che essere finalizzati all’instaurazione della tirannide.
I due problemi, però, vengono nelle righe successive confusi ad arte, così da far credere che la preferenza per la democrazia richieda di accettare che siano regimi fondamentalisti e terroristi a governare il Medio Oriente e, viceversa, che il rifiuto di questo esito, implichi il sostegno alle dittature mediorientali non fondamentaliste.

In Egitto è in vigore lo stato d’emergenza dalla morte di Anwar Sadat, ucciso nel 1981 dai fondamentalisti; e da allora i Fratelli Musulmani, il partito storico dell’integralismo, sono esclusi dal sistema politico.


Circostanza che dovrebbe bastare a capire che i Fratelli Musulmani non sono un partito come gli altri: per essi gli avversari politici e i laici sono apostati, meritevoli della pena di morte. Che senso ha parlare di ripristino del multipartitismo a proposito di una forza politica che promuove l’eliminazione dei dissenzienti e la dittatura?
Alle elezioni politiche palestinesi di quest’estate Hamas, che vi parteciperà per la prima volta, conquisterà la maggioranza dei voti nella Striscia di Gaza


Le elezioni non hanno ancora avuto luogo. Le previsioni indicavano Hamas vincente nelle recenti elezioni universitarie, ma sono state smentite.


e contenderà il potere di Fatah in Cisgiordania. Il partito degli Hezbollah libanesi, da sempre a metà strada fra lotta armata

terrorismo

e stato sociale ( hanno scuole, ospedali, costruiscono case popolari), è decisivo per determinare il ritorno alla democrazia e all’indipendenza del Paese.



Hezbollah è semmai decisivo nell’impedire il ritorno alla democrazia e alla piena indipendenza del Libano. Se in Italia un partito politico ispirato e finanziato dall’estero , come Hezbollah è ispirato finanziato dall’Iran, disponesse di una sua milizia armata, dedita al terrorismo, nemmeno Tramballi, crediamo, gli attribuirebbe un ruolo positivo nel contribuire alla "democrazia" e all’ "indipendenza" del paese. Né le cose cambierebbero se il partito in questione fosse, com’è Hezbollah, rappresentato in Parlamento. Anzi, l’anomalia e la compromissione della sovranità nazionale rappresentati da questa ipotetica forza sarebbero ancora accresciuti da una sua presenza all’interno delle istituzioni.
Per qualche motivo mai esplicitato queste elementari considerazioni, per Tramballi e per molti altri analisti, non valgono però per il Libano.

E’ evidente che la rete di al Qaida esula da questo terrorismo: colpirebbe comunque anche se un giorno a Ramallah Hamas diventasse un partito di maggioranza e ai Fratelli musulmani al Cairo venisse dato il ministero degli Interni.


Qui si vuole far credere che Al Qaida osteggi i Fratelli Musulmani e Hamas ( che dei Fratelli è parte integrante) quanto osteggia i regimi arabi filo-occidentali e l’occidente stesso.
Per capire che non è così basta ricordare che proprio il vice di Bin Laden, Ayman Al Zawahiri, è stato tra gli organizzatori dell’omicidio di Sadat.

Ma le possibilità di colpire dipendono da quanto forte sia il sistema cui il terrorismo si confronta e quanto, questo sistema, sappia integrare i partiti della lotta armata.
Si tratta di capire, insomma, se la democrazia che lentamente rivendica una sua presenza in Medio Oriente, sia l’arma vincente.
Qui il gioco dell’identificazione di questioni del tutto distinte si svela nel modo più chiaro: il problema della forza del "sistema cui il terrorismo si confronta" equivale, sostiene Tramballi, a quello dell’integrazione in tale sistema dei "partiti della lotta armata", cioè del terrorismo stesso!
Entrambi i problemi equivalgono a questo: "se la democrazia (…) sia l’arma vincente" contro il terrorismo.
E' come se, negli anni di piombo, qualcuno in Italia avesse detto: "Il problema è capire se il sistema sarà abbastanza forte, cioè se riuscirà a integrare il "Partito armato". Il che equivale a chiedersi se sarà realmente democratico…"

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