Qualunque cosa faccia, Israele è la fonte di tutti i problemi dei palestinesi e il "diritto internazionale" le impone sempre qualche altro obbligo
Testata: Il Manifesto Data: 28 aprile 2005 Pagina: 6 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Ripensare Gaza, oltre i settler»
IL MANIFESTO pubblica a pagina 6 un articolo di Michele Giorgio sul futuro di Gaza dopo il disimpegno israeliano. Secondo il cronista del quotidiano comunista, concorde con i suoi interlocutori palestinesi, Israele sarebbe tenuta, ovviamente secondo il "diritto internazionale", a distruggere le abitazioni degli israeliani residenti a Gaza e a rimuovere le macerie. L'ipotesi di assegnare direttamente le case a dei palestinesi non può essere presa in considerazione, dato che gli edifici "rapresentano" l'occupazione. D'altro canto demolire e lasciare le macerie rappresenterebbe un "disastro ambientale" di cui Giorgio non perde l'occasione di accusare, in anticipo, Israele. Costruire in parte delle colonie un "Club Mediterranee", come propone Peres significherebbe pensare "ai ricchi e non ai poveri" (secondo Giorgio una caratteristica tipica di Peres, che, con la sua proposta "non si è smentito"), senza considerare che soprattutto i poveri hanno bisogno dello sviluppo economico. Il disimpegno da Gaza dovrebbe comunque, secondo Giorgio, essere l'occasione per risolvere il problema dei profughi, che viene così imputato alla presenza dei coloni, anzichè, com'è in realtà, alla volontà politica delle dirigenze arabe e palestinesi di mantenere i campi in condizioni di degrado per delegittimare Israele. Le terre di Gush Katif non erano, prima della sua costruzione, terra di nessuno, ma appartenevano, sostiene Giorgio, a "tante famiglie palestinesi". Come mai allora l'Anp non sa a chi assegnarle?
Ecco l'articolo: Quest'anno i coloni israeliani scenderanno per l'ultima volta sulle spiagge di Gaza. L'evacuazione degli insediamenti con ogni probabilità verrà rinviata dal 20 luglio al 15 agosto ma, se Ariel Sharon non si tirerà indietro all'ultimo momento, gli ottomila coloni e i soldati abbandoneranno dopo 38 anni la Striscia. Si lasceranno alle spalle un cumulo di macerie oppure le loro villette con giardino a poche decine di metri dal mare resteranno intatte? Questo interrogativo continua a rimanere senza risposta mentre il conto alla rovescia del ritiro è già partito e l'esercito ha cominciato a riportare in Israele i materiali e l'equipaggiamento non essenziali. «Tante famiglie palestinesi possedevano delle terre dove ora c'è Gush Qatif (il principale blocco di colonie, ndr), poter ritornare in quella zona è una grande vittoria per la lotta del nostro popolo», commenta Zuher Abu Kias, un abitante di Khan Yunis, osservando gli insediamenti ebraici che per tanti anni hanno soffocato la sua città, impedendole l'accesso al mare che aveva sempre avuto prima del 1967. Sharon è ossessionato dall'idea che l'evacuazione della colonie possa apparire una vittoria dei palestinesi, se non addirittura della lotta armata condotta da Hamas e dalle altre formazioni dell'Intifada contro l'occupazione. Per mesi la «soluzione» preferita dagli ambienti governativi israeliani è stata la demolizione completa delle case, degli edifici pubblici e delle aziende agricole dei coloni. Non dispiacerebbe anche a gran parte dei palestinesi. «Abbiamo bisogno di spazio per dare risposta nel più breve tempo possibile al bisogno urgente di migliaia di abitazioni per la gente di Gaza - ha spiegato di recente il ministro Mohammed Shtayyeh, uno stretto collaboratore del presidente Abu Mazen - gli israeliani devono demolire tutto ciò che rappresenta la loro occupazione e portarsi via le macerie».
Giusto, ma chi paga? Calcoli approssimativi dicono che sarebbero necessario almeno 40 milioni di dollari per demolire e ripulire Gaza e Israele non ha alcuna intenzione di rispettare questo obbligo internazionale. Distruggere senza rimuovere i detriti provocherebbe un disastro ambientale che affosserebbe le speranze palestinesi di risanare e valorizzare quella parte del territorio di Gaza (1/3 del totale) attualmente occupato dai coloni. Si è anche parlato della possibilità di una «cessione» delle aree evacuate alla Banca mondiale, nonché di un ricco uomo d'affari degli Emirati interessato ad acquistare le case dei coloni. Non si è smentito, anche in questa occasione, Shimon Peres. Il vice premier israeliano ha prontamente avanzato la proposta che una parte di Gush Qatif venga destinata ad ospitare una Club Mediterranee. Il premio Nobel per la pace pensa ai ricchi e non ai poveri, ma sullo sfondo ci sono proprio i sogni dei profughi che vivono in spazi ridottissimi a Khan Yunis e in altre città della Striscia o quelli degli abitanti della zona agricola Masawi, di fatto rimasti «prigionieri» in questi ultimi anni nelle loro abitazioni vicine alle colonie.
«Quelle case, quelle terre, potrebbero rivelarsi un calice avvelenato per i palestinesi - avverte il vice ministro delle finanze Jihad Al-Wazir - a chi verranno assegnate?». Un interrogativo di grande importanza visto che si moltiplicano le indiscrezioni sull'intenzione di gruppi privati - ma saldamente legati a noti esponenti dell'Autorità nazionale palestinese - che vorrebbero trasformare le terre liberate in aree esclusive per l'elite. «I più ricchi vorrebbero comprare e trasferirsi nelle villette circondate dal verde con vista sul mare in cui hanno vissuto i coloni e questo, ovviamente, andrà contro la politica di di chi intende alleviare l'emergenza abitativa a Gaza dove si registra una delle densità più alte del mondo», aggiunge Al-Wazir. È opinione diffusa tra i palestinesi che solo una minima parte delle zone evacuate dalle forze di occupazione verranno destinate ad ospitare progetti di edilizia popolare. «Con il pretesto della tutela dell'ambiente, le terre migliori, quelle vicine al mare, rimarranno così come sono ora. Poi, tra un paio d'anni vedremo spuntare centri turistici e hotel di lusso a due passi dalla spiaggia. I profughi invece resteranno nei loro campi», prevede Sami, un attivista di Al-Fatah. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.