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La Stampa Rassegna Stampa
26.04.2005 Il futuro del Medio Oriente e la forza della democrazia: intervista a Natan Sharansky
di Fiammma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 26 aprile 2005
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sharansky: «Il ritiro da Gaza è un errore srtategico e politico»»
LA STAMPA di martedì 26 aprile 2005 pubblica un'intervista di Fiamma Nirenstein al ministro israeliano per Gerusalemme e la diaspora, importante dissidente sovietico negli anni 80, Natan Sharansky.

Ecco il testo:

Oggi, secondo Time Magazine, è all'undicesimo posto fra i cento uomini più influenti del mondo. Ma negli Anni ‘80 Natan Sharansky era, con Nelson Mandela, il più famoso dissidente del mondo. Gettato nell'87 nel gulag sovietico, vi passò nove anni per le critiche al regime e per aver espresso il desiderio di emigrare in Israele. Era, come il suo maestro Andrei Sakharov, un famoso refusenik, uno a cui, cioè, veniva rifiutato il visto. Quando il gigante comunista crollò Sharansky fu il primo prigioniero di coscienza liberato da Gorbaciov. Potè infine raggiungere la sua terra promessa dove l’aspettava la moglie Avital, che con incredibile forza si era battuta per lui.
Come in una favola bella Sharansky, fisico e scacchista che aveva sfidato Kasparov, divenne in Israele ministro per Gerusalemme e la diaspora. Ma in lui seguitavano a lavorare gli interrogativi che ne hanno fatto il teorico della rivoluzione democratica, il credo di George Bush. L'idea che solo la democratizzazione possa portare alla sicurezza mondiale e che sia possibile solo con un intervento internazionale senza compromessi e senza appeasement, è la convinzione che Sharansky ha tratto dalla sua storia. Quella per cui il 9 novembre scorso, invitatolo alla Casa Bianca, Bush ha detto: «Se qualcuno vuole sapere qual è il cuore della mia politica estera, legga il libro di Sharansky "In difesa della democrazia».. In Italia è in via di pubblicazione per Sperling e Kupfer.
Signor ministro, lei ha concepito il suo pensiero nel buio della prigione staliniana, quando era ancora lontana l'idea del crollo del comunismo. Come è avvenuto?
«In prigione si divide il tempo e il pane con ogni tipo di persone, proprio tutti, con quello che ti somiglia e con quello distante da te mille miglia. E senti senza equivoci l'elemento che unifica tutti: il desiderio di libertà. Ogni uomo, quando ne ha la possibilità, vuole esprimere le proprie idee. Se si crea uno spazio per la società libera, tutti gli uomini, quale che sia la loro sorte, la vogliono».
Quali spazi si devono aprire se non quelli del coraggio?
«Questo è il punto: si apre un varco solo quando si crea un movimento nel mondo libero che difende i dissidenti, quando gli stati creano un indefettibile legame fra rapporti internazionali e diritti umani. Fu solo quando gli Usa con l'emendamento Jackson Vanick stabilirono che avrebbero avuto con l'Urss rapporti direttamente proporzionati al rispetto dei diritti umani, che i movimenti di sostegno ai dissidenti si rafforzarono, fino al crollo della tirannia. Finalmente risultò chiaro a tutti come la sicurezza del mondo sarebbe migliorata una volta che l'Urss si fosse dissolta. E così è stato. Pensi al pericolo di guerra mondiale presente in ogni momento ai tempi dell'Urss».
Tuttavia, se si guarda al panorama delle repubbliche ex sovietiche, si vedono tuttora in corso i dolori del parto. Guardi quanto frena Putin con la Georgia o con l'Ucraina...
«D'accordo; ma non c'è confronto con quello che accadeva quando nell'Unione Sovietica milioni persone erano chiuse nei gulag, milioni lavoravano nel Kgb alla destabilizzazione mondiale a alla repressione interna, milioni avevano paura di essere arrestati la mattina dopo.. Questo tipo di regime, con tutti i limiti della situazione russa, non esiste più. Si vedono le convulsioni della democrazia in Georgia, in Ucraina ecc., ma anche che è cominciato un processo di democratizzazione autentica».
Molti dicono che invece per i Paesi arabi la democrazia non è la risposta giusta, che vogliamo imporgli qualcosa di nostro.
«Bisognerebbe smetterla con questo ritornello. Ricordo a tutti che nei Paesi arabi chi si azzarda a parlare è minacciato di morte e perseguitato; il silenzio si rompe solo quando vi è sostegno. Vede che enorme movimento ha creato l'assassinio di Rafik Hariri in Libano? Vede che attenzione, finalmente, per l'occupazione siriana! Anche in Egitto, una volta che si è sentito aria di cambiamento, si è arrivati alle manifestazioni di piazza e Mubarak ha riformato la legge elettorale. Per non parlare dell'Iraq, dove uomini e donne in coda davanti ai seggi elettorali hanno rischiato la vita per conquistare quella democrazia da cui il mondo arabo dovrebbe essere così distante».
E tuttavia Hezbollah è ancora popolare in Libano.
«Credo piuttosto che Hezbollah abbia la possibilità di esercitare un forte ricatto sulla società libanese. E questo grazie al sostegno che gli offrono sia la Siria che l'Iran. Qui è evidente il nesso fra libertà e rischio mondiale. Hezbollah resta un motivo di turbativa internazionale finché ha dietro regimi autoritari che hanno interesse a destabilizzare il mondo intero per mantenere il proprio potere».
Non mi pare però che questi regimi siano messi in crisi dalle manifestazioni libanesi: al contrario, è la democrazia libanese che non riesce ad affermarsi..
«Guardi, i regimi dittatoriali sono aggressivi, pericolosi, possono compiere terribili crimini... Ma sono molto fragili. Basta che il mondo dica per esempio: noi non tollereremo il vostro regime, non ci avremo niente a che fare fino a che sostenete Hezbollah e opprimete la vostra opposizione interna».
Lei è fra gli oppositori al piano di sgombero di Sharon, che dovrebbe riavviare il piano di pace. Con le elezioni i palestinesi stanno cercando la via della democrazia. Perché non incoraggiarli? Non è incoerente rispetto alle sue teorie?
Purtroppo anche se la situazione è migliorata rispetto ai tempi di Arafat, la terribile cultura dell'odio in tv e sulla stampa prosegue; i terroristi non vengono perseguiti e colpiti; la burocrazia corrotta divora le risorse; il sistema giudiziario è una funzione del potere; la pena di morte viene applicata senza critica interna possibile; Hamas spadroneggia senza freno. I leader palestinesi devono sentire che ci si aspetta da loro un atteggiamento nuovo e diverso, un sistema in cui i profughi escano dai campi e ricevano case decenti, in cui sia permesso il libero commercio, in cui gli aiuti siano gestiti per il bene del popolo...Ecco allora sì verrà il momento in cui sarà indispensabile andare ad accordi precisi».
Non teme che questa inflessibilità possa portare a una destabilizzazione, a un mondo in cui la guerra impazzerà senza freno?
«No. Io credo nella forza dei popoli, da quello iraniano a quello egiziano, quando sentano un adeguato sostegno morale e politico esterno. E mi creda, la paura della destabilizzazione è destinata a creare una destabilizzazione ancora peggiore. L'Europa, la sua insistenza sull'appeasement l' ha già pagata cara. In realtà il mondo sarà molto più sicuro se le dittature si sentiranno in difficoltà, come in parte già si sentono, e il terrorismo sarà costretto a tenersi indietro. Altrimenti, quelli che cercheremo di tenere quieti con buffetti e sorrisi, ci morderanno la mano molto presto».
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