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Il Manifesto Rassegna Stampa
22.04.2005 Le assassine di israeliani non sono "semplicemente terroriste"
sostiene il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 22 aprile 2005
Pagina: 7
Autore: Michelangelo Cocco
Titolo: «E in Palestina si ruppe l'ultimo tabù»
Le attentatrici suicide che fanno strage di israeliani sono "semplici terroriste", come pensa Israele, o, come crede "una parte della popolazione palestinese" sono "martiri"?

Sul problema, il quotidiano comunista non sembra avere un'opinione definita. Si limita a registrare la differenza di opinioni con impassibile distacco cronachistico. In un articolo di Michelangelo Cocco pubblicato il 22 aprile 2005.
Anche se, a ben guardare, l'avverbio "semplicemennte", usato dal giornalista, potrebbe suggerire che no, non è possibile definire le attentatrici "terroriste", le cose sono più "complesse".

Del resto, il terrorismo è definito nel testo "intifada militare", delle terroriste si sottolinea il fatto che sono nate e vissute nei campi profughi e si suggerisce persino la tesi che le stragi suicide femminili inneschino un positivo processo di trasformazione culturale e di emancipazione della donna nella società palestinese.

L'equidistanza, alla fine, è solo formale. E' chiaro che per Cocco le assassine-suicide palestinesi non sono "semplicemente terroriste".
E che far strage di civili non è "semplicemente terrorismo", se quei civili sono israeliani.

Ecco il testo:

La prima a rompere il tabù è stata Wafa Idris, una 27enne attivista di al Fatah, cresciuta nel campo profughi di Al Amari (Ramallah), che il 27 gennaio 2002 si fece esplodere nel centro di Gerusalemme uccidendo un civile israeliano. Ultimi a decidersi a mandare a morire anche le donne gli islamici di Hamas: il 14 gennaio dell'anno scorso hanno esordito con Rim al Reyashi - 22 anni, madre di due figli - saltata in aria ad Erez, uno dei valichi tra Gaza e lo Stato ebraico, assieme a due soldati, un poliziotto e una guardia privata. Israele considera «terroriste» le donne che dall'inizio della seconda intifada, il 28 settembre 2000, hanno indossato un corpetto esplosivo per fare strage di civili e militari israeliani. Le organizzazioni che le hanno utizzate hanno invece spesso cercato una giustificazione religiosa per i loro gesti. «Non considerare morti coloro che sono stati uccisi sul sentiero di Allah; sono invece vivi e godono della provvidenza del Signore», recita il Corano nella sura III, La famiglia di Imran. Tuttavia l'ostacolo da superare per far digerire la «donna-bomba» alla popolazione dei Territori occupati era, oltre che religioso, sociale. Prima dello scoppio dell'intifada militare, atti del genere erano inconcepibili.

Gran parte della società palestinese è infatti tradizionalista e del comportamento della donna sono responsabili i suoi parenti maschi: reclutare segretamente un'attentatrice rappresenta una trasgressione dei codici d'onore secondo i quali la donna ha bisogno del permesso dell'uomo per le azioni che compie al di fuori delle mura domestiche. Eppure proprio la Jihad islamica, finanziata soprattutto dall'Iran, impegnata ufficialmente a esportare la «rivoluzione musulmana» e con un'organizzazione militare rigidamente segreta, ha utilizzato attentatrici suicide. La fatwa (editto islamico) emanata l'altroieri dall'ayatollah iraniano Hussein Nouri Hamedani ha stabilito che «le operazioni di martirio sono permesse nei paesi occupati, come strumento di guerra contro gli eserciti moderni». Le donne palestinesi della Jihad - sostiene uno studio del centro anti-terrorismo di Herzliya - sono state utilizzate anche perché, nel momento in cui l'apparato di sicurezza israeliano si stava impegnando al massimo per prevenire gli attacchi suicidi tradizionali, sono arrivate le attentatrici, che all'inizio hanno destato meno sospetti, riuscendo a seminare terrore e morte in Israele.

Tra il maggio e l'ottobre 2003 Hiba Daragmeh e Hanadi Darajat, 19 anni e 28 anni rispettivamente - entrambe della Jihad islamica - si sono fatte asplodere, ad Afula la prima, che ha ucciso tre israeliani, e ad Haifa la seconda, che ne ha ammazzati 19. Per gli israeliani semplicemente «terroriste», secondo gli analisti sono state «evoluzioni di una strategia suicida partita con i maschi», per una parte della popolazione palestinese restano martiri, da venerare più degli shahid uomini.
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