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Corriere della Sera Magazine Rassegna Stampa
22.04.2005 I fondi neri di Arafat
la ricostruzione di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera Magazine
Data: 22 aprile 2005
Pagina: 16
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «Caccia alla borsa nera di Arafat»
Il CORRIERE DELLA SERA MAGAZINE datato 21 aprile 2005 pubblica a pagina 85 un articolo di Guido Olimpio sul "tesoro di Arafat", che riportiamo:
Yasser Arafat custodiva molti segreti. Alcuni se li è portati con sé nella tomba alla Mukata. Altri, legati ai fondi segreti, erano celati in una misteriosa valigia nera. Altri ancora erano segnati in piccoli fogli che il raìs conservava nella sua divisa. Una volta, in occasione di un incontro, non ha esitato a svelare sotto i suoi occhi quale fosse il suo archivio. "Ho documenti qui, qui e poi qui" a ogni qui corrispondeva un movimento della mano verso la tasca destra della giubba, poi su quella sinistra, infine all’interno. Ed’è forse tra quei fogli piegati in quattro che i suoi eredi hanno iniziato cercare per recuperare denaro stornato dal leader per costituirsi un fondo segreto.
Cifre ne girano tante. Un rapporto del Fondo Monetario ha stabilito che Arafat aveva sottratto alle casse palestinesi 898 milioni, restituendone poi 799. La differenza sarebbe andata in fumo nel corso delle transazioni. Analisi meno accurate stimano il bottino a 1,3 miliardi di dollari. Un esperto israeliano, ignorando le rivelazioni venate di propaganda, ha invece fissato la quota a 200-300 milioni di dollari, più una quota riservata alla figlia Zahwa e alla moglie Suha.
E’ proprio la first lady – insinuano voci malevole – ad aprire la caccia al tesoro. Da anni in esilio a Parigi, Suha corre al capezzale di Arafat malato alla Mukata, la residenza semidiroccata di Ramallah. E’ il novembre 2004. I rapporti tra moglie e marito non sono felici, ma probabilmente il raìs conta su Suha per svolgere alcune operazioni delicate. Nella spoglia stanza della Mukata, la residenza semidiroccata di Ramallah, Arafat, in uno degli ultimi momenti di lucidità, ordina alla sua guardia del corpo di portargli la famosa valigetta nera. Sono momenti di tensione, i collaboratori sono nel panico, temono che il loro capo muoia da un momento all’altro, non sanno cosa fare. Ecco dunque che il controllo di documenti e risorse diventa vitale.
Ricostruzioni colorate – apparse soprattutto sui giornali del Golfo che non hanno mai amato il raìs – sostengono che la valigia dei misteri fosse nascosta sotto il letto di Arafat. Sempre le medesime fonti aggiungono che il presidente spiega a Suha che all’interno vi sono i documenti riguardanti i fondi all’estero. In poche parole la chiave del famoso tesoro. In pochissimi sanno come leggere quelle carte. Tra questi c’è Mohammed Rashid, il consigliere economico privato di Arafat. Detto il "curdo", personaggio dai modi affabili. Vive gran parte dell’anno tra Londra, Ginevra e Il Cairo. Ha tessuto una rete di rapporti tanto con gli americani che con gli israeliani. Nei territori palestinesi è mal visto dagli altri dirigenti, che ne sono gelosi e criticano la sua gestione: è infatti il curdo ad avere investito il denaro del presidente. Così non è un caso che Rashid piombi alla Mukata nelle ore successive all’aggravamento di Arafat. Secondo alcuni è lui stesso, d’intesa con Suha, ad organizzare il trasferimento del raìs all’ospedale militare di Parigi. Al seguito pochi funzionari, tra i quali uno – oggi in Russia – al quale è affidata la valigetta dei segreti.
E’ l’ultima volta che la borsa viene vista. Alla morte del raìs se ne perdono le tracce e stando, a recenti rivelazioni, l’autorità palestinese avrebbe aperto un’inchiesta per scoprire che fine abbia fatto: all’interno, oltre a carte riservate, vi sarebbe stata una grande somma di valuta pregiata.
Questa indagine è solo un frammento di una più ampia legata ai fondi neri. Con la scomparsa di Arafat emergono rapporti inconfessabili e attività finanziarie mai rilevate completamente. Rashid. Su ordine del leader, storna somme considerevoli in conti riservati sparsi per il mondo. Una manovra non dettata dalla cupidigia: è noto che il raìs vive in modo spartano, non ha alcun interesse alla ricchezza. No, i soldi hanno valenza politica. Arafat paga di nascosto i militanti, alimenta le correnti e si garantisce dai colpi di mano.
Arafat, pur con la sua "vita spartana" imposta dalle circostanze vantava un patrimonio personale di tutto riguardo, che ne faceva secondo la rivista americana Forbes uno degli uomini più ricchi del mondo.
Comunque, al netto della rendita e dei lussi parigini della moglie Suha, è credibile che i suoi fondi segreti avessero non tanto una nobile "valenza politica", quanto la funzione di mantenere il potere attraverso la corruzione.
Si tratta ancora di "politica", certo, ma nel senso più deteriore del termine.
Stupisce poi l’assenza della voce "terrorismo" tra i possibili impieghi dei fondi neri dell’Anp. Anche se si sa che Arafat finanziava gli attentati.

All’inizio la somma si aggirava attorno ai 200 milioni, con il passare del tempo è salita a oltre 800. Il "curdo" investe in società di computer negli Usa, in compagnie telefoniche in Medio Oriente, persino in una maxi sala da bowling al Grenwich Village, a New York. Tra i clienti affezionati Cameron Diaz e l’ex sindaco Giuliani, tenace nemico dell’Olp.
Altri soldi vengono usati per speculazioni, non sempre abuon fine, insieme a un ex agente dei servizi segreti israeliani Yossi Ginossar. Ed emergono rapporti anche con la famiglia Sharon.
Su questo si poteva essere più precisi: quali membri della famiglia Sharon? Erano a conoscenza della provenienza del denaro? Da dove vengono le informazioni?
Un’altra porzione prende la via di Parigi, dove Suha Arafat con l’aiuto di un uomo d’affari libanese, Pierre Rizk, probabilmente crea una seconda cassaforte. Rizk è un personaggio controverso. Abile negli affari, è stato membro della Falange libanese, formazione che ha condotto una sanguinosa guerra contro i palestinesi. Ma questo non impedisce a Rizk di diventare un ottimo parte degli Arafat. Si dice addirittura un consigliere molto ascoltato nelle questioni economiche.

Le transazioni economiche effettuate a Parigi destano l’attenzione della sezione anti-riciclaggio della polizia francese che indaga a fondo sul passaggio sui conti di Suha di una somma oscillante tra gli 11 e i 13 milioni di dollari. Denaro arrivato da una banca Tunisi – dove oggi l’ex first lady vive – e "non proveniente" dal budget palestinese. Altro mistero , con implicazioni politiche, quello legato ai soldi depositati dagli uomini di Arafat alla Deutsche Bank di Ginevra. Un lato funzionario di origine araba della banca, che chiamiamo mister T, apre nuovi conti su cui travasa il denaro di Arafat. All’insaputa del suo istituto il dirigente punta a svuotare la cassa prima che arrivino i nuovi capi dell’Autorità. L’operazione, scattata in novembre, deve favorire il premier Abu Ala e l’esponente dell’ala dura Faruk Khaddumi, due avversari dell’attuale presidente Abu Mazen.
Davanti a polemiche e rivelazioni sulla stampa, i dirigenti palestinesi promettono di far chiarezza. In dicembre è Khaddumi ad annunciare che Rashid ha restituito 600 milioni di dollari. Non è chiaro se si tratti della somma già calcolata dal Fmi o d’altro. Con fatica Salam Fayad, il responsabile della finanze palestinesi stimato negli ambienti internazionali, prova a rimettere ordine nei conti. L a regola è quella della trasparenza. La chiedono i Paesi-donatori, decisi a evitare truffe e ruberie intollerabili, la invoca il palestinese della strada. Ma forse la buona volontà non basterà. Sui fondi segreti e sulla corruzione si è creato un sistema di potere che si dimostra ancora forte.
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