La democrazia e il Medio Oriente spiegati da Amr Mussa, l'uomo più amato da chi odia Israele rispettosamente intervistato dal quotidiano della Margherita
Testata: Europa Data: 12 aprile 2005 Pagina: 3 Autore: Tiziana Barrucci Titolo: «Riforme, via obbligata per il Medio Oriente»
Accanto a un breve articolo di Filippo Cicognani sul vertice tra Bush e Sharon "Sharon promette a Bush di rispettare la Road Map", che presenta un' originale, versione dei fatti secondo la quale il premier israeliano sarebbe stato "obbligato" dal presidente americano a rispettare la Road Map (che in realtà non ha mai avuto intenzione di violare)EUROPA di martedì 12 aprile 2005 pubblica a pagina 3 un'intervista al segretari della Lega araba Amr Mussa, noto per le sue posizioni di oltranzista anti-israeliano. Ribadite nell'intervista, per esempio quando si chiede perchè gli arabi dovrebbero riconoscere il diritto di Israele ad esistere (questo era il contenuto della proposta di re Abdallah di Giordania respinta dal recente vertice della Lega araba in Libano) senza avere nulla in cambio.
Ciò che più impressiona, però, è il modo in cui il colloquio con Mussa è stato condotto dall'intervistatrice, Tiziana Barrucci. Che sembra quasi voler stimolare Mussa sul terreno dell'antiamericanismo, con ironie sulla difesa della "libertà" (tra virgolette dell'autrice) e ipotesi sull'aggressività americana. Mussa, che è pur sempre un uomo della diplomazia egiziana, non sembra gradire l'eccesso di entusiasmo della Barrucci e risponde in modo piuttosto freddo. Gradisce molto, invece, che gli vengano chiesti pareri sul grado di democraticità delle elezioni irachene e sulla democratizzazione del Medio Oriente. Che, come noto, ha da sempre il suo punto più avanzato nel regime egiziano...
Il problema non sono tanto le risposte, ma le domande: come si fa a chiedere se le elezioni irachene sono state libere al rappresentante di una dittatura? Ma tutto diventa chiaro guardando alla definizione che la giornalista dà del ritornello di una canzone egiziana, "Odio Israele e voglio bene ad Amr Mussa" che gli sarebbe "costato il posto". Tale dichiarazione di odio per un intero paese e di esaltazione di un politico in sintonia con questi sentimenti sarebbe, per la Barrucci "scomoda"...
E' logico allora che in nome dell'odio, per Israele e per gli Stati Uniti Amr Mussa diventi un giudice della "democrazia" delle elezioni nel modo arabo.
Ecco il testo:
Ambasciatore in India, ministro degli esteri di Mubarak e attualmente segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa è una delle figure più conosciute e rispettate nel mondo arabo, probabilmente a causa della sua schiettezza nel parlare degli affari della regione. Che ha volte però gli ha anche creato qualche problema di carriera, come quando dovette lasciare la sua posizione di capo della diplomazia egiziana dopo l’uscita di una canzone popolare dal ritornello scomodo – «Odio Israele e voglio bene ad Amr Mussa». Nel suo quartier generale cairota, di ritorno da Algeri, accetta di commentare gli eventi che negli ultimi mesi sembrano cambiare la fisionomia del Medio Oriente. Una volta il presidente dello Yemen ha detto ai paesi arabi: «Dobbiamo tagliarci i capelli prima che lo faccia Washington». Ma nell’ultimo summit di Algeri non sembra che sia accaduto. Diversi capi di stato non hanno partecipato, temi caldi come la situazione siriano-libanese non sono stati trattati. Perché? Innanzi tutto non è vero che non tutti i paesi erano presenti. In alcuni casi erano presenti i regnanti, in uno il ministro degli esteri. Personalità con il potere di discutere in rappresentanza della loro nazione e di prendere decisioni. Per quanto riguarda le dichiarazioni del presidente dello Yemen, che credo si riferisse al discorso delle riforme, certo, i paesi arabi devono progredire nel cammino verso le riforme. Ma non è vero che al summit non è stato fatto nulla. Io stesso ho sottoscritto un rapporto che riassume tutti i passi necessari per implementare una risoluzione già esistente che va proprio verso questa direzione. Le riforme sono un dovere per i paesi arabi, ne parlino o no gli Stati Uniti e l’Europa. E non perché i paesi arabi abbiano paura di ingerenze, ma perché è una questione di responsabilità e necessità. E perché non è stata discussa la crisi tra Libano e Siria? Non è vero che non ne abbiamo discusso. Perché mai una discussione di questo tipo deve essere pubblica? Durante tutti gli incontri che abbiamo avuto con il segretario generale dell’Onu non abbiamo parlato d’altro. Il Libano ha accettato di buon grado l’idea di un’inchiesta internazionale e la Siria ha dato tutta la sua disponibilità. Ma non è stato deciso nulla... Non credo che questo sia il punto importante. Credo che la cosa rilevante sia che abbiamo discusso e raggiunto un accordo sui futuri passi da compiere. Condoleezza Rice ha dichiarato pochi giorni fa, in un’intervista al Washington post, di avere la certezza che il Medio Oriente attraverserà un lungo periodo di instabilità. E che Washington lavorerà a favore della libertà senza fornire alcun modello o sapere quale sarà il risultato finale. Cosa ne pensa? Penso che gli Stati Uniti sono una grande potenza e hanno il diritto di esprimere le loro posizioni in politica internazionale. Noi dobbiamo ascoltarle con rispetto. Ma penso anche che sia loro dovere ascoltare le nostre idee attentamente. Sono d’accordo con la signora Rice nel senso che senza riforme e senza una risoluzione del conflitto arabo-israeliano la regione non sarà stabile. In caso contrario saremo ben capaci di evitare il caos. Dimentica che nelle parole della Rice c’è anche l’idea che Washington interverrà a favore della "libertà"… Gli Stati Uniti farebbero bene a cercare di risolvere il conflitto arabo-israeliano e monitorare le intenzioni di Israele di costruire altre colonie cambiando geografia e composizione demogra fica della regione. Questo sarebbe un passo verso la stabilità e la pace e indurrebbe tutti i paesi arabi a concentrare la loro attenzione sui processi democratici. Secondo alcuni analisti il vero scopo della risoluzione Onu 1559 non sarebbe liberare il Libano, ma cambiare la leadership siriana, che a sua volta potrebbe significare isolare l’Iran, grande alleato di Damasco. Che ne pensa? Crede che gli Stati Uniti stiano pensando di avere un ruolo nel decidere chi potrebbe sostituire Bashar al Assad? La risoluzione delle Nazioni Unite non dice nulla a parte la necessità del ritiro delle truppe siriane dal Libano. La Siria sta cooperando e ha dichiarato che lascerà Beirut prima delle elezioni. Ritengo che questo sia un passo positivo, non vedo perché mai Damasco dovrebbe essere punita. Dall’altro lato il Libano ha accettato un’inchiesta internazionale sulla morte di Hariri. Quando tutto sarà chiarito i due paesi e tutte le nazioni della regione si muoveranno sul viale delle riforme. Le riforme sono un dovere, ma non appoggerò mai cambiamenti di regime artificiali. Eppure in questi giorni il nuovo Dipartimento di stato Usa ospita incontri a cui partecipano esponenti del Pentagono, del Consiglio nazionale di sicurezza e attivisti siriano- americani, tra cui gli aderenti a un piccolo partito di opposizione, il Syria Reform Party, una formazione che potrebbe essere paragonata al National Congress iracheno di Ahmed Chalabi... Su questo punto preferisco aspettare di vedere lo sviluppo degli eventi piuttosto che commentare. Per quanto riguarda l’Iran, poi, credo che la situazione sia più complessa. Certamente ci sono delle relazioni con la Siria, ma credo che si tratti di tutta un’altra storia. Chi c’è dietro l’assassinio di Rafik Hariri? Tutti lo vogliamo sapere. È stata istituita una commissione d’inchiesta per questo. Preferisco non fare speculazioni. Hariri era un mio grande amico è la sua morte mi ha rattristato profondamente. Aspettiamo i risultati dell’indagine. Crede che in Libano potrà scoppiare una guerra civile? Non credo e non lo spero. Sono convinto che i libanesi siano consapevoli delle serie ripercussioni sulla vita economica del paese che un conflitto di questo tipo provocherebbe, per questo sono persuaso che faranno di tutto per evitarlo. Che consiglio dà all’opposizione libanese? Non devo dare consigli di nessun tipo. Solo spero che vengano seguiti i passi che porteranno a un Libano sicuro, vale a dire libero. Libero da pressioni, di qualsiasi origine esse siano. La risoluzione 1559 parla del disarmo di Hezbollah, lei lo ritiene una priorità? Non ora. Le priorità sono altre, come Libano, inchiesta internazionale, ritiro delle truppe. Le elezioni in Iraq sono state elezioni libere? Senza soffermarsi troppo sul fatto che esse siano state libere oppure no, bisogna comunque sottolineare che sono state un importante passo. Ma senza esagerare, ovviamente non hanno cambiato la situazione del Medio Oriente. L’Iraq di oggi può essere considerato un esempio di democrazia? Certamente no. Lo stesso governo vede la rivalità di diversi gruppi. In questo modo non si fa che distruggere l’Iraq. Se poi si deve prendere un esempio di elezioni, allora si prendano quelle in Palestina, condotte con la massima serietà e trasparenza. Democrazia signifi- ca un uomo un voto, è ciò che abbiamo imparato ed è ciò che ci aspettiamo da ogni società del Medio Oriente. E non abbiamo nulla da imparare. Tanto per ricordarlo, l’Egitto è stato uno dei primi paesi ad avere elezioni nella regione già nel secolo diciannovesimo. E anche il Libano ha una storia di questo tipo. Quindi le elezioni non significano necessariamente democrazia, significano un primo passo verso la democrazia. E quali saranno gli altri? Esistono le enciclopedie per questo. Durante il summit di Algeri è stata rigettata la proposta giordana per una normalizzazione con Israele. Perché? È un grande falso. Non c’è mai stata una proposta giordana. C’era solo un documento che proponeva l’iniziativa araba, vale a dire una piattaforma per cui siamo pronti a intavolare relazioni diplomatiche e a riconoscere lo stato d’Israele se quest’ultimo rispetterà alcune condizioni, come il ritiro totale dai territori occupati. Non possiamo fare nulla se loro continuano a costruire le colonie. Perché dovremmo? Nulla sarà fatto gratis. E a parte questa, non c’era alcuna proposta indipendente. Ma la risoluzione adottata, quella di Beirut, secondo molti è una nata morta. La chiami come vuole. Se Israele continua a costruire colonie perché dovrebbero esserci gesti distensivi da parte nostra? Io sono per la pace e la normalizzazione, ma se anche loro faranno lo stesso. Altrimenti, niente normalizzazione. Dagli incontri tra le fazioni palestinesi al Cairo, non è uscita la dichiarazione di hudna illimitata, come voleva Abu Mazen. Crede che oggi Hamas sia più forte? Certo che una hudna ora c’è. Per quanto riguarda la forza di Hamas, non so che dire: aspettiamo i risultati delle elezioni della prossima estate. Lasciamo la Palestina per l’Egitto. Crede che le riforme annunciate da Mubarak siano un vero passo verso la democrazia? Sì, un passo importante. Nessuno dice che sia l’unico, ma senza dubbio aprire la competizione elettorale a più candidati va in questa direzione. Ci sono egiziani che a settembre vorrebbero poterla votare. Parteciperà alla competizione elettorale? Non sono un candidato. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.