La manipolazione del contesto: disinformazione invece di analisi la specialità di Sandro Viola
Testata: La Repubblica Data: 11 aprile 2005 Pagina: 1 Autore: Sandro Viola Titolo: «La battaglia per Gaza»
LA REPUBBLICA di lunedì 11 aprile 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Sandro Viola.
Viola scrive alcune cose sensate, ma le inserisce in un contesto talmente carico di manipolazioni - come è solito fare - da screditare anche quanto pare condivisibile. Fin dalle primissime righe, quando Viola definisce la spianata delle moschee a Gerusalemme "il luogo più sacro dell'Islam dopo la Mecca" egli commette un errore che pare singolare in chi frequenta quegli ambienti da una vita. La moschea di Al Aqsa, e non tutta la spianata, è il terzo (e non il secondo) luogo sacro dell'Islam dopo Mecca e Medina; per quanto a noi non musulmani possa apparire singolare, la splendida moschea detta della Roccia non è ugualmente sacra, e del resto nel Corano Gerusalemme stessa non viene mai menzionata. Ma è proseguendo in questa analisi storica e politica che Viola commette i peccati che gli sono abituali, confondendo artatamente causa ed effetto, o fornendo ai lettori una versione di parte. Il movimento dei coloni "professa un fondamentalismo non tanto dissimile, per la cecità politica e la capacità di violenza, da quello islamico", afferma Viola con una plateale falsificazione per quanto attiene alla violenza, che da parte dei coloni ha avuto alcune manifestazioni episodiche ed isolate, individuali e mai collettive, e soprattutto mai assimilabili agli attentati suicidi organizzati e finanziati in massa, con reclutamento ed istruzione dei terroristi da parte dei quadri politici. Gli israeliani, bontà loro, si sono "quasi ravveduti" ed ora improvvisamente sono favorevoli al ritiro dai territori occupati: Viola in questi decenni non era sulla luna, ma ugualmente finge di ignorare che almeno la metà degli israeliani è sempre stata favorevole al ritiro, sia pure non DAI ma DA territori occupati, non da tutti indistintamente cioè ma da quasi tutti. Poche righe dopo Viola rafforza questa sua visione solo in negativo degili israeliani, quando ribadisce la loro ottusità ma non spiega i motivi di questo lungo braccio di ferro sui territori: fino a 10 anni fa non esisteva una controparte politica con la quale trattare, ed il terrorismo strutturale dell'OLP impediva di affrontare realisticamente una elaborazione di progetti per la pacifica convivenza. Ma già. Per Viola "classe dirigente ed elettorato miravano insieme allo stesso risultato: la continuità ,l'identità tra lo Stato d'Israele e la biblica Terra d'Israele". Che Viola sia sordo, cieco ed analfabeta? Non ha mai visto dimostrazioni, sentito proclami e dibattiti, letto programmi di partito che andavano nella direzione opposta? O erano tutti in malafede, bugiardi incalliti? La chicca conclusiva di questa ennesima mistificazione è la notazione che "dopo anni di attentati atroci nelle loro città...il governo e la società d'Israele hanno aperto gli occhi". Causa ed effetto si invertono, nel pensiero di Viola, e con un colpo di spugna egli presume di cancellare i movimenti per la pace (solo israeliani, mai arabi o palestinesi), le marce, le dimostrazioni, i programmi politici di molti leaders laburisti. Una valutazione ingenerosa e faziosa, in tutto degna del contesto.
Ecco l'articolo: Ieri è andata bene, per fortuna. A Gerusalemme, su quella Spianata delle Moschee che dopo la Mecca è il luogo più sacro dell´Islam, la polizia è riuscita ad evitare uno scontro tra palestinesi e coloni israeliani che avrebbe potuto rompere la tregua in atto e innescare una ripresa dell´Intifada. Ma la situazione resta gravida di rischi, e da un momento all´altro potrebbe divenire esplosiva. Sorretto dai partiti dell´estrema destra israeliana, il movimento dei coloni - che si batte contro il piano Sharon di ritiro da Gaza - non sembra infatti disposto a rassegnarsi. E poiché esso contiene al suo interno le frange più irrazionali e fanatiche della società, e professa un fondamentalismo non tanto dissimile, per la cecità politica e la capacità di violenza, da quello islamico, bisogna sapere che da qui a luglio, quando le truppe d´Israele cominceranno a ritirarsi da Gaza, tutto può ancora succedere. Anche un urto campale, con caratteri di quasi guerra civile, tra i coloni e il governo. La cosa certa, tuttavia, è che lo Stato ebraico è oggi costretto ad un esame di coscienza che per molto, troppo tempo aveva cercato d´evitare. Ormai quasi del tutto ravveduti, gli israeliani appoggiano infatti, al settanta per cento più o meno, il ritiro da Gaza e da gran parte della Cisgiordania. Ma sino a tre o quattro anni fa i favorevoli ad una restituzione dei territori occupati erano una minoranza trascurabile, senza vero peso elettorale e quindi incapace d´esercitare una qualche pressione sui governi in carica. I coloni, il loro movimento e le loro azioni sovversive, non sono quindi un accidente imprevisto, un malanno piovuto dal cielo, il tumore spuntato nel corpo d´una società sana. Sono invece il risultato d´una vicenda politica che la maggioranza degli israeliani ha approvato, condiviso, sostenuto. E senza distinzioni tra destra e sinistra. È stato Ariel Sharon, è vero, nelle varie funzioni di governo avute negli ultimi trent´anni, a moltiplicare incessantemente l´installazione delle colonie ebraiche a Gaza e in Cisgiordania. É stato lui a volerle situare sempre più avanti nel cuore della Cisgiordania, così che configurassero un fatto compiuto, la ferma intenzione d´Israele di volersi annettere la terra palestinese. Ma a cominciare, non è stato Sharon. Furono i governi laburisti, subito dopo la guerra dei Sei giorni, ventotto anni fa, ad iniziare la colonizzazione dei territori occupati. Beit El, Elkana, Kyriat Arba, Kedumin - ancor oggi tra gli insediamenti più vasti e popolosi - furono opera del Labor. E fu Shimon Peres, quale ministro della Difesa del governo Rabin, a legittimare l´insediamento di Sebastya, che il Gush Emunim, il gruppo più oltranzista dei coloni, aveva costruito illegalmente. Costituendo così il precedente che ha poi permesso, negli anni, l´installazione di tante colonie non previste nei programmi governativi, ma nate dai gesti di forza del Gush Emunim e d´altri gruppi della destra radicale. Non si tratta qui, beninteso, di giustificare la sovversione dei coloni. Essi sono oggi la palla al piede d´una società che s´è fatta più realista, meno fiduciosa della sua capacità di stroncare «manu militari» l´insurrezione palestinese, e dunque più aperta ad un compromesso politico e territoriale che conduca alla pace. Ma la rivolta dei coloni non sarebbe comprensibile se non si tenesse conto del fatto che tutti, assolutamente tutti i governi d´Israele (persino il governo Barak negli stessi giorni in cui negoziava con Arafat a Camp David) hanno incrementato la diffusione degli insediamenti nei territori occupati. Profondendovi colossali quantità di danaro, impiegando per proteggerli migliaia di soldati, sfidando le reazioni dell´opinione pubblica internazionale, e in un paio d´occasioni rischiando persino una crisi nei rapporti con gli Stati Uniti. E questi governi ebbero sempre, una volta l´uno e la volta dopo l´altro, il consenso della maggioranza degli elettori. No, non ci furono differenze. Classe dirigente ed elettorato miravano insieme allo stesso risultato: la continuità, l´identità tra lo Stato d´Israele e la biblica Terra d´Israele. Pensavano insieme, come ha scritto Yoel Marcus su «Haaretz», che le colonie e l´uso della forza avrebbero creato il fatto compiuto, «una situazione irreversibile». Vale a dire che Israele avrebbe mantenuto per sempre il suo dominio sulle terre dei palestinesi. E, certo, dopo anni di attentati atroci nelle loro città, dopo le caterve di morti provocate dalle due Intifade, dopo l´irrigidimento degli americani sul problema delle colonie, il governo e la società d´Israele hanno aperto gli occhi. Dai sondaggi s´è visto che la maggioranza è ormai per l´abbandono di quasi tutti i territori occupati, Sharon ha congegnato il piano del ritiro da Gaza. Ma come avrebbero dovuto assistere, i coloni, ad un simile cambiamento di rotta, come si poteva pensare che dopo un trentennio di appoggi e incoraggiamenti l´avrebbero accettato, digerito, senza rivoltarsi? Questo per non parlare delle ambiguità che intorbidano il clima in Israele. Perché da un lato Sharon appare fermo nell´intenzione del ritiro da Gaza, dall´altro i muratori stanno allargando con tremila nuove unità abitative le colonie della Cisgiordania. È il segno che dopo l´abbandono di Gaza non ci saranno altri ritiri? La prova che il «Gaza-first», come gli ottimisti chiamano il piano Sharon, sarà anche il Gaza-the end», la fine d´ogni altra restituzione delle terre palestinesi? Qualcosa di più chiaro si vedrà dopo l´incontro di oggi a Washington tra Bush e Sharon. Ma resta il fatto che la partita tra i coloni e il resto della società d´Israele non è conclusa, e può ancora riservare ulteriori convulsioni all´intero quadro del conflitto mediorientale. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.