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La Stampa Rassegna Stampa
10.04.2005 Per l'Iran e la Siria Israele resta il nemico
smentito l'ottimismo affrettato suscitato dalla stretta di mano a Roma tra i presidenti dei tre paesi

Testata: La Stampa
Data: 10 aprile 2005
Pagina: 7
Autore: Emanuele Novazio - Aldo Baquis
Titolo: «Shalom: tanti convenevoli, ma sono pessimista -Strette di mano, miracolo mancato»
LA STAMPA di sabato 9 aprile 2005 pubblica un'intervista di Emanuele Novazio al ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom, molto scettico sugli effetti positivi della stretta di mano tra il presidente israeliano Katzav e suoi omologhi iraniano e siriano:
«Spero che possa essere un nuovo inizio, certamente. Ma francamente ne dubito».
E' il pomeriggio inoltrato di una giornata che ha tanti motivi per restare nella Storia. Nel salottino del grande albergo romano che lo ospita, il ministro degli Esteri di Gerusalemme scuote il capo: l'inviato di Ariel Sharon ai funerali di Giovanni Paolo II non nasconde lo scetticismo per un evento diplomatico che le agenzie di tutto il mondo hanno annunciato con immediati e ripetuti flash: «Khatami e Assad sono due estremisti», commenta freddo.
Lei non si sarebbe comportato come il suo presidente, dunque?
«Forse, ma certamente non tenderei la mano per primo a Khatami o a Assad. Non possiamo dimenticare la realtà: i siriani devono fermare il terrorismo proveniente dal Libano e mettere fine all'occupazione di quel Paese, gli iraniani devono bloccare il loro programma di riarmo nucleare che ci minaccia direttamente».
Dubita della volontà siriana di ritirarsi dal Libano?
«In Libano lavorano un migliaio di siriani, che fra l'altro sono responsabili del traffico di droga, e che sono difficili da identificare. Ritirare l'esercito senza ritirare anche loro lascerà il problema irrisolto».
Resta il fatto che per qualche ora Piazza San Pietro ha messo l'uno vicino all'altro lei e Assad, Bush e Khatami. Non era mai accaduto nemmeno all'Onu.
«E' potuto succedere soltanto grazie alla personalità davvero magnetica di Giovanni Paolo II. Soltanto questo Papa poteva riunire tante personalità e tanta gente comune. In Israele gli siamo molto grati per i progressi che durante il suo pontificato sono stati fatti nelle nostre relazioni, e per i grandi passi avanti compiuti nei rapporti fra Vaticano e mondo ebraico: questo Papa ha chiamato gli ebrei "nostri fratelli maggiori", ha compiuto la prima visita in una Sinagoga, è venuto in Israele, ha ristabilito le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico, nel 1993. E non è meraviglioso che citi il rabbino Toaf nel suo testamento spirituale?»
Che cosa si aspetta dal nuovo Papa?
«Spero che manterrà la nuova atmosfera di calore fra la Chiesa cattolica romana e il popolo ebraico».
Teme che qualcosa potrebbe cambiare, con la morte di Giovanni Paolo II?
«In Vaticano ieri ho incontrato una figura di spicco che non posso nominare: mi ha detto che qualsiasi Papa conserverà nei confronti di Israele l'atteggiamento di Giovanni Paolo II».
Lo conosceva bene?
«L'ho incontrato due volte. Ricordo che insisteva su una cosa: Dio vuole che i popoli che abitano la Terra Santa vivano insieme in pace, diceva. Abbiamo parlato anche della situazione dei cattolici nella regione, per i quali non è sempre facile vivere in Paesi come il Libano dove sono minoranza. E naturalmente delle nostre relazioni: dopo 12 anni di negoziati siamo molto vicini a un accordo generale che riguarda le proprietà ecclesiastiche e risolve problemi economici e politici. Abbiamo in programma due incontri forse decisivi, il 21 aprile e a metà maggio».
Crede che il Vaticano come Stato possa svolgere un ruolo in Medio Oriente?
«Può darsi, ma il problema non è tanto la scarsità di mediatori, è la scarsità di volontà. Detto questo, chiunque possa dare un contributo è il benvenuto».
Quando parla di volontà che scarseggia pensa che la leadership di Abu Mazen non sia abbastanza salda per far fronte ai gruppi palestinesi radicali, come il lancio del missile Qassam contro la città di Sderot sembra segnalare?
«Credo che Abu Mazen possa farcela. Dal suo arrivo al vertice dell'Anp abbiamo avuto, fino all'episodio dell'altro ieri contro Sderot, un lungo periodo di calma. Penso che possa riuscire anche a smantellare le infrastrutture terroristiche, confiscare le armi illegali e porre fine agli incitamenti dei gruppi radicali contro Israele. Se tutto andrà bene il 25 luglio comincerermo il ritiro da Gaza, che si concluderà entro 6 settimane».
E su Hamas? Molti commentatori sostengono che appoggiarne l'ala politica potrebbe aiutare il processo di pace.
«Hamas è, come Hezbollah, un gruppo terroristico. Il suo tentativo di politicizzarsi e partecipare alle elezioni palestinesi tradisce soltanto il desiderio di raccogliere consensi in Europa per farsi togliere dalla lista nera del terrorismo dell'Ue».
Pessimismo giustificato dalle dichiarazioni di Khatami, per il quale Israele resta un'"entità" illegittima e Assad, per il quale la stretta di mano "non ha alcun significato".
Come leggiamo sulla STAMPA di domenica 10 aprile nella cronaca di Aldo Baquis, che riportiamo:

Non hanno finora annunciato alcun disgelo in Medio Oriente le strette di mano scambiate venerdì, ai margini dei funerali di Papa Giovanni Paolo II, fra il capo di Stato di Israele Moshe Katzav e due dei più aspri nemici dello Stato ebraico: il presidente iraniano Mohammed Khatami e il suo omologo siriano Bashar Assad.
Al contrario: Katzav è stato severamente redarguito dal premier Ariel Sharon, mentre Khatami al suo ritorno in Iran ha dovuto affrontare gli irriducibili del suo regime. Al vicepresidente Mohammed Reza Aref e agli altri membri del governo che lo attendevano impazienti all'aeroporto di Teheran, il presidente ha subito detto che «come in passato, i sionisti hanno di nuovo mentito: non ho incontrato alcun esponente del regime sionista».
Katzav, che è nato nella città iraniana di Yazd, aveva riferito venerdì di essersi scambiato con Khatami la benedizione di «Salam Aleikum» (la pace sia con voi) e di aver scambiato qualche parola in lingua farsi. Khatami ha escluso che un episodio del genere sia mai avvenuto e ha ribadito ancora una volta la profonda ripugnanza che avverte verso lo Stato ebraico: «Per me - ha detto ai ministri - riconoscere Israele, che è stato creato mediante la forza e la usurpazione, sarebbe compiere un’ingiustizia verso l’umanità».
Da parte sua anche Katzav ha passato cinque brutti minuti quando - poco prima del ritorno in Israele - ha ricevuto una brusca telefonata di Sharon, ancora sbalordito per aver appreso della stretta di mano a Roma con il leader dell'Iran, ossia del Paese che si dice votato alla distruzione dello Stato ebraico. «Con tutti gli sforzi che facciamo per isolare l'Iran, proprio noi dobbiamo andare a stringere la mano del loro presidente?«, ha esclamato il primo ministro.
Katzav, che a Roma era stato visto molto emozionato per le strette di mano con Assad Jr. e con Khatami e anche per il caloroso abbraccio elargitogli dal presidente algerino Abdel Aziz Bouteflika, al suo arrivo in Israele era molto più pacato. «Quelle strette di mano - ha detto - sono state un solo gesto di cortesia. Sarebbe sbagliato annettere loro un significato diplomatico. Non c'è stata alcuna rottura di ghiaccio».
Gli incontri fra i capi di Stato sono avvenuti in una zona dove non era consentito l'accesso ai giornalisti. Lo stesso ministro israeliano degli Esteri Silvan Shalom ha detto ieri di non aver visto quei gesti di cortesia con i propri occhi, perché relativamente distante. Katzav comunque non ha lavorato di immaginazione. Venerdì anche la Siria aveva in un primo momento smentito che la mano del presidente Assad avesse stretto quella di Katzav. Ma dopo alcune ore di accertamenti, Damasco ha infine confermato: la stretta di mano c'è stata davvero. Comunque, è stato aggiunto, non ha alcun significato.
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