Enzo Sereni, sionista italiano ucciso a Dachau un convegno sulla sua figura a Gerusalemme
Testata: Avvenire Data: 31 marzo 2005 Pagina: 30 Autore: Anna Foa Titolo: «Enzo Sereni, un italiano fra sionismo e socialismo»
AVVENIRE di giovedì 31 marzo 2005 pubblica un articolo di Anna Foa sulla figura di Enzo Sereni, sulla quale si terrà un convegno internazionale a Gerusalemme.
Ecco l'articolo: Fra pochi giorni un convegno internazionale discuterà a Gerusalemme del ruolo e della figura di Enzo Sereni, un italiano ebreo emigrato in Palestina e morto nel novembre 1944 a Dachau. Considerato in Israele una figura di grande rilievo, Enzo Sereni gode di assai minore notorietà nella sua antica patria italiana, dove se un Sereni era noto, almeno in passato, era suo fratello Emilio, storico di rilievo e noto uomo politico comunista. Eppure la storia di Enzo è una storia assolutamente fuori dall'ordinario, che merita notorietà anche in quell'Italia che Sereni aveva lasciato nel 1926 per impiantare un kibbutz in Palestina e in cui rientrò paracadutato dal cielo per finire immediatamente catturato dai nazisti nel 1944. Enzo Sereni era nato un secolo fa, nel 1905, a Roma, in una famiglia ebraica altoborghese. Suo padre era medico della Real Casa, suo zio Angelo presidente della comunità ebraica romana. Era il secondo di tre fratelli: il primo, Enrico, uno scienziato legato ai movimenti antifascisti di «Giustizia e Libertà» e morto suicida in giovane età, il terzo appunto Emilio, il politico comunista. Educati alle ragioni della politica e all'attenzione al presente, i tre fratelli colsero adolescenti gli echi delle vicende postbelliche, della rivoluzione russa, del fascismo emergente e delle sue violenze. Questo clima li portò quasi naturalmente, come altri del loro mondo ebraico e non ebraico, all'antifascismo: penso in particolare a Manlio Rossi-Doria, lo studioso meridionalista che visse un lungo sodalizio con Enzo e soprattutto con Emilio, a Eugenio Colorni, a Giorgio Amendola, e ad altri figli di una borghesia impegnata e progressista che restò a lungo estranea al fascismo. Affascinati ancora ragazzi dal sionismo, fondatori di un gruppo sionista-socialista, Avodà, Enzo ed Emilio si diedero a progettare l'emigrazione in Palestina. Nel 1926, Enzo precedette il fratello, che rimase a studiare agraria a Portici per poter affrontare con strumenti adeguati il suo ruolo di agricoltore. Ma poi, con la stessa convinzione con cui aveva abbracciato il sionismo, Emilio abbracciò il marxismo. Il progetto di raggiungere Enzo in Palestina fu abbandonato, e cominciò tra i due fratelli un allontanamento crescente. Enzo fondò in Palestina il kibbutz di Givat Brenner, mentre Emilio, divenuto membro del partito comunista clandestino, fu arrestato nel 1930 e condannato a molti anni di carcere. Allo scoppio della guerra, Enzo lavorò con l'intelligence inglese e con il Mossad, e scelse infine di farsi paracadutare nell'Italia occupata dai nazisti per unirsi ad ebrei e partigiani italiani, un progetto vanificato immediatamente dall'arresto. Nel dopoguerra, la sua vedova, Ada, si impegnò attivamente nel lavoro di sostegno all'emigrazione clandestina in Palestina, una storia che ha raccontato in un libro bellissimo, I clandestini del mare. Questo universo sionista-socialista fu condiviso da un altro personaggio di grande fascino, Xenia Silberberg, la madre della moglie di Emilio. Era una socialista rivoluzionaria russa, non ebrea, venuta in Italia dopo l'impiccagione in Russia del marito Leo Silberberg. A Roma, aveva vissuto anni dando lezioni di russo e radunando intorno a sé esuli russi, antifascisti italiani, ebrei sionisti, per poi andarsene a cinquant'anni, in Palestina, dove visse fino alla morte nel 1957. Anche la sua storia è stata raccontata, in parte da lei stessa ed ora da un suo biografo, Yakov Viterbo, in un libretto pubblicato dalle edizioni Le Chateau, Storia di un'ebrea non ebrea. La storia dei tre fratelli Sereni e della loro famiglia ha anni or sono trovato un narratore d'eccezione, la scrittrice Clara Sereni, la figlia più piccola di Emilio, nel bel libro Il gioco dei Regni, una via di mezzo tra il romanzo e le memorie. Ed ora, l'attenzione si riporta infine su Enzo, il fine umanista che scelse di zappare la terra, l'emigrato che, nei terribili anni della guerra, tornò in Italia per battersi e vi trovò la morte. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.