Silenzio sul terrorismo: Hamas diventa un' "organizzazione islamica" , la barriera difensiva un'inutile sopraffazione sul quotidiano cattolico
Testata: Avvenire Data: 31 marzo 2005 Pagina: 14 Autore: Francesca Fraccaroli Titolo: «Hamas «punta» sull’Anp: è pronta la svolta politica»
AVVENIRE di giovedì 31 marzo 2005 pubblica un articolo di Francesca Fraccaroli sulla presunta svolta "parlamentare" di Hamas, che sarebbe disposta a rinunciare, almeno temporaneamante, al terrorismo. Prospettiva data per certa, nonostante l'organizzazione terroristica abbia di fatto rifiutato una tregua e non abbia alcuna intenzione di deporre le armi, contestualmente alla sua volontà di entrare nel processo politico palestinese. Hamas è definita nell'articolo "movimento islamico" o "organizzazione islamica", il terrorismo "lotta armata".
Ecco il testo: Migliaia di arabi-israeliani (palestinesi con la cittadinanaza dello Stato ebraico) hanno commemorato ieri l'anniversario del "Giorno della Terra" con due raduni in Galilea e nel Negev. Ventinove anni fa sei dimostranti vennero uccisi dalla polizia israeliana durante le proteste contro le confische delle terre arabe. Complice il clima di distensione, che regna da qualche mese, le manifestazioni si sono concluse senza incidenti. L'atmosfera di relativa calma coinvolge anche i Territori, dove la popolazione segue con crescente interesse il dibattito politico interno. Cosa farà Hamas nel prossimo futuro è l'interrogativo sulla bocca di tutti. Il movimento islamico due giorni fa non ha partecipato, a sorpresa, alla prima riunione del Comitato esecutivo dell'Olp, ma la sua svolta politica è reale e viene confermata da dirigenti e attivisti. «Il cambio di rotta del movimento integralista è concreto», ha spiegato Ghazi Hamad, direttore del settimanale islamico Al-Risala (Il Messaggio) di Gaza - e ha una chiara strategia operativa. Hamas si è infatti prefisso due obiettivi principali: garantire la liberazione della terra occupata e giocare un ruolo politico attivo nella futura gestione del potere» L'organizzazione islamica, che ha condotto la lotta armata contro Israele, nei mesi scorsi ha partecipato alle elezioni amministrative, ottenendo un ottimo risultato, e ha annunciato di volere prender parte alle legislative del prossimo 17 luglio. I sondaggi indicano che Hamas riuscirà a piazzarsi a ridosso di al-Fatah, spezzando il monopolio della vita politica palestinese detenuto per 40 anni dal partito guidato prima da Yasser Arafat e ora dal Abu Mazen. Secondo Hamad, i leader islamici hanno compreso che attraverso la politica possono incidere sul futuro dei palestinesi molto più che con le armi. «Vincendo un buon numero di seggi in Parlamento Hamas potrà far sentire il suo peso su questioni, fondamentali per tutti i palestinesi, quali quelle dei profughi, di Gerusalemme e la nascita dello stato indipendente», condizionando le trattative che Abu Mazen intende avviare con Israele. Il buon rapporto instaurato con il presidente palestinese è stato uno dei fattori che hanno accelerato la trasformazione politica di Hamas. «Abu Mazen rappresenta l'ordine e il rispetto della legge, Arafat invece era l'uomo dai mille compromessi, che assecondava tutti, senza accontentare nessuno. Un proverbio arabo descrive bene quello che era Arafat: colui che ti porta alla sorgente, ma che ti fa tornare assetato», ha riferito il giornalista. Anche per questo motivo il movimento islamico preferisce il nuovo presidente al "padre della patria" Arafat. Abu Mazen è coerente con quello che dice e ha guadagnato la fiducia e il sostegno dell'unica forza in grado di contrastarlo, alla quale ha fatto accettare la sua proposta di tregua con Israele. Luca Liverani scrive la cronaca di un convegno sulla barriera difensiva,alla quale viene adossata la responsabilità della povertà dei palestinesi (nulla da dire invece sulla gestione dei cospicui aiuti internazionali da parte dell'Anp di Arafat). Non vengono descritti, invece, gli effetti del terrorismo sui civili israeliani, nè viene spiegato che la barriera difensiva ha nuovamante assicurato un minimo di sicurezza agli israeliani. Il terrorismo, in realtà, è citato una sola volta, in questo passaggio: "«Pur nella ferma condanna degli attentati - afferma il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza - la Chiesa di Gerusalemme ha più volte levato la propria voce contro questa misura»". Al di là della "ferma condanna" degli attentati, però, né Nozza, né Liverani indicano un modo alternativo alla barriera per limitare le stragi terroristiche.
Ecco il testo: Al di là dell'annunciato ritiro degli insediamenti, la politica di "colonizzazione" dei Territori occupati prosegue a pieno regime grazie alla costruzione del muro per prevenire gli attacchi terroristici. Una volta portata a termine, infatti, la barriera includerà 57mila ettari, il 10,1% della Cisgiordania. Al seminario della Caritas italiana sul muro israeliano in Cisgiordania, l'analisi di Antigona Ashkar, rappresentante della ong B'Tselem, il centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori occupati, trova conforto nei dati riportati dall'Ocha Opt, l'ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori. E sono dati che raccontano dell'impatto devastante sulla popolazione civile, dal punto di vista sociale e sanitario, prodotto della barriera avviata tre anni fa. Alta otto metri, è fiancheggiata da una striscia-cuscinetto tra i 30 e i 100 metri, spesso ottenuta demolendo abitazioni. La muraglia non rispetta la Linea verde, il confine del 1949, ma sembra configurarsi come un tentativo di ridisegnare unilateralmente i confini. Il 9 luglio 2004 la Corte internazionale di giustizia dell'Aja definisce il muro «contrario al diritto internazionale». Il 20 luglio con 150 voti contro 6 l'assemblea generale dell'Onu lo boccia chiedendone lo smantellamento e il risarcimento dei danni ai palestinesi. Ma la costruzione prosegue. Allegra Pacheco, funzionaria dell'Ocha Opt, spiega che la tortuosa barriera una volta completata sarà lunga 670 chilometri, il doppio dei 315 chilometri della Linea verde. L'80% del muro non ne segue la traccia. Ne sono stati già eretti 209 chilometri, alla fine costerà 3,4 miliardi di dollari. Anche se le enclave di Maale Adumin e Arel/Emmanuel, soggette a ulteriori valutazioni, non dovessero essere incluse nel tracciato, le terre palestinesi inglobate ammonterebbero a 39mila ettari, il 6,8% dei Territori. Tra la Linea verde e il muro vivono 49.400 palestinesi, quasi 60mila residenti a Gerusalemme Est sarebbero costretti ad attraversarlo per andare a scuola, al lavoro, all'ospedale. Dei 63 accessi solo 25 sono accessibili ai palestinesi dotati di permesso. «Ma i trattori degli agricoltori non passano», spiega Allegra Pacheco. Il muro d'altronde non fa che peggiorare drammaticamente la mobilità, nei Territori, in cui sorgono circa 680 posti di blocco sulle strade: cubi di cemento, cancelli, fossati, mucchi di rocce. Più gli estenuanti controlli. Andrea Valesini, inviato dell'Eco di Bergamo e moderatore del seminario racconta la sua esperienza: «Per percorrere 40 dei 50 chilometri da Ramallah a Qalqilya in autobus, senza arrivare a destinazione, io ho impiegato 10 ore». Sempre più pesanti le ripercussioni socio-economiche: «Il 47% dei palestinesi è in stato povertà, e 560mila sono in povertà grave, sotto la soglia dei 2 dollari al giorno». «Pur nella ferma condanna degli attentati - afferma il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza - la Chiesa di Gerusalemme ha più volte levato la propria voce contro questa misura». Più attuali oggi, dunque, che a novembre 2003, le parole del Papa: «Non di muri ha bisogno la Terra santa, ma di ponti». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.