Il pericolo del nucleare iraniano e la democratizzazione del Medio Oriente il realismo politico di Henry Kissinger e il neoconservatorismo di Norman Podhoretz a confronto in due interviste
Testata: La Stampa Data: 30 marzo 2005 Pagina: 10 Autore: Miriam Hollstein - Maurizio Molinari Titolo: «L'Iran non deve diventare una potenza nucleare - Neocon a destra o a sinistra?»
Se l'Iran entrasse in possesso di armi nucleari si produrrebbe una pericolosa corsa degli altri paesi (in promis Egitto e Turchia) della regione per raggiungere lo stesso obiettivo. E crescerà il rischio che materiali nucleari finiscano nelle mani dei terroristi. Henry Kissinger argomenta così, la necessità di fermare i progetti atomici degli ayatollah, in un'intervista a Miriam Hollstein pubblicata da LA STAMPA di mercoledì 30 marzo 2005.
Ecco l'articolo: I neoconservatori americani sono di destra o di sinistra? Quando sente porsi questa domanda Norman Podhoretz non si scompone più di tanto. Il pensiero neoconservatore, di cui il politologo dell'Hudson Institute è considerato il maggiore ispiratore da oltre trenta anni, rompe gli schemi del linguaggio politico del secondo dopoguerra. Il terreno sul quale si ritrovano e si identificano i neocon è l'impegno su temi trasversali rispetto agli schieramenti tradizionali, a cominciare dalla democrazia o meglio l'importanza di diffonderla. Come nasce questa idea? «E' centrale per i neoconservatori. E' uno dei principi in cui crediamo sin dai tempi della guerra fredda. Il potere dell'America deve essere adoperato per promuovere libere istituzioni, ciò è bene non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo intero». Ciò vuol dire che la democrazia prevale sulla sovranità? «Sì. La questione dei limiti della sovranità si origina dal Trattato di Westfalia. Sulla base della dottrina della sovranità nazionale si sono consumati i crimini più orrendi. Adolf Hitler fu in grado di fare ciò che voleva, opprimere il suo popolo come commettere un genocidio. Lo stesso vale in casi più recenti, come il Ruanda. Senza interferenze dall'esterno questi orrori possono ripetersi. La santità della sovranità nazionale si è sempre accompagnata all'idea che la politica estera deve garantire soprattutto stabilità e noi crediamo che anche questa convinzione debba essere sfidata. Proprio come fa Bush». I diritti dei popoli prevalgono rispetto a quelli degli Stati? «Entrambi devono essere limitati. Non ci sono soluzioni assolute ed il problema nasce proprio dal fatto che la vecchia idea sulla sovranità nazionale è stata imposta in modo assoluto per diversi secoli, sacrificando i diritti delle genti. La regola "cuius regio eius religio", del rispetto assoluto del territorio, implica il fatto che nessuno ha diritto di interferenza, di occuparsi di ciò che avviene dentro un altro Stato. Ad esempio, durante la prima guerra del Golfo, George Bush padre cacciò Saddam dal Kuwait che aveva invaso con la forza, ma consentì poi allo stesso Saddam di restare al potere in Iraq perché non avevamo il diritto di abbatterlo ed il risultato fu che migliaia di persone furono massacrate dal Baath e che poi siamo arrivati alla seconda guerra del Golfo. Quella scelta fu un'espressione della vecchia politica che Bush figlio è riuscito a rovesciare, impegnandosi contro i tiranni ed a favore della democrazia». Cosa c'è di destra e cosa di sinistra in questo modo di promuovere la democrazia? «Chi, come me, diede inizio da sinistra, 35-40 anni fa, alla tendenza neoconservatrice, lo fece per rielaborare il modo di pensare dei liberal ed al tempo stesso per portare un nuovo metodo di pensiero fra i conservatori. In Europa chi ci ha seguito erano persone influenzate da Raymond Aron, ma è stato soprattutto un fenomeno americano. I liberal ai tempi di J. F. Kennedy, quando ero giovane, erano dei decisi anticomunisti, avversari della tirannia, ma ora il senatore democratico Ted è l'esatto contrario. L'impegno per la democrazia di Kennedy ha assai più in comune con l'opera di Ronald Reagan che con quanto ripete il fratello Ted. L'impegno per la democrazia attraversa la politica americana da Truman a Reagan, da J. F. Kennedy a George W. Bush. Oggi le categorie tradizionali di destra e sinistra sono venute meno e le due parti si confondono: abbiamo la destra che difende la democrazia in Iraq mentre la sinistra ha difeso un dittatore fascista come Saddam. Appena cinquanta anni fa, uno avrebbe pensato che era vero l'esatto contrario». Dopo la rielezione di Bush la sinistra, americana ed europea, ha mostrato i primi segnali di apprezzamento per i risultati di Bush. Si è andati dalla copertina di Time su «Forse la dottrina Bush sta pagando» alle dichiarazioni di leader europei come Gerhard Schroeder e Piero Fassino sui passi avanti della democrazia in Medio Oriente. Crede che qualcosa stia mutando nell'approccio, finora aspramente critico, delle sinistre al pensiero dei neoconservatori? «Da tempo il neoconservatorismo avrebbe dovuto trovare ascolto nella sinistra, europea ed americana, assai più che fra i conservatori perché la sinistra da sempre è stata in favore dei "diritti dei popoli" rispetto ai "diritti degli Stati". Il problema sta nel fatto che sebbene la sinistra sia in teoria favorevole a democrazia e libertà, in realtà ovunque nel mondo si è schierata con un dittatore fascista come Saddam Hussein e contro la sua sostituzione con un governo democratico. Il nodo resta questo anche per leader come Fassino che plaudono agli effetti ma non alle cause della svolta democratica, continuano a non condividere il rovesciamento di un dittatore». Come spiega la contraddizione? «Credo che la spiegazione di fondo sia da ricercarsi nel fatto che nelle forze politiche di sinistra in Europa l'ostilità nei confronti dell'America è talmente radicata che chiunque la odia diventa automaticamente un alleato, anche se è fascista come Saddam Hussein o islamofascista tipo Al Qaeda». E nel caso della sinistra americana quale è l'ostacolo? «Il fatto che anch'essa è accecata da un odio: quello per George W. Bush e gli Stati "rossi", conservatori ed a maggioranza repubblicana. Se Bill Clinton avesse seguito lo stesso percorso di Bush dopo l'11 settembre sarebbe diventato un idolo della sinistra americana e di tutto il mondo. La sinistra è corrotta intellettualmente e moralmente perché non è fedele ai suoi stessi principi. Non ci sono giustificazioni per opporsi al rovesciamento di un regime come quello del Baath». Il conflitto è evidenziato dalla comunanza di termini fra voi e la sinistra. I neoconservatori quando parlando di «diritto dei popoli» intendono la liberazione dell'Iraq da Saddam, mentre alcuni leader della sinistra europea adoperano questa stessa espressione per riferirsi a gruppi come Hamas, Jihad e Hezbollah... «Il termine è lo stesso ma fra i due significati non c'è nulla in comune. Parlare dei diritti dei popoli per giustificare gli attacchi suicidi significa, anche per chi condivide la causa palestinese, fare propria un'arma barbarica come lo erano i gas velenosi nella prima guerra mondiale. Perfino le Nazioni Unite si avviano a definire il terrorismo come un attacco deliberato contro i civili». Come risponde al dissenso della sinistra sull'uso della forza per promuovere la democrazia nel mondo? «E' il pacifismo che ha allontanato la sinistra dai suoi principi. La sinistra oggi è soprattutto pacifista, ma non è stato così in passato, non lo era di certo all'epoca della seconda guerra mondiale e non lo è stata all'inizio nei primi venti anni della guerra fredda. Il pacifismo si è diffuso a sinistra, soprattutto in Europa ma anche in America, come un nuovo fenomeno. Ma anche a destra, fra i conservatori, c'è del pacifismo e in genere coincide con le posizioni più isolazioniste ovvero la volontà di chiudersi in se stessi, di non occuparsi di cosa avviene agli altri». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.