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La Stampa Rassegna Stampa
27.03.2005 O combatte il terrorismo o ne diventa alleato
l'opinione di Dore Gold, già ambasciatore all'ONU

Testata: La Stampa
Data: 27 marzo 2005
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L'ONU deve scegliere di lottare contro il terrorismo»
L’ex ambasciatore di Israele al Palazzo di Vetro: inutile qualsiasi altra riforma.
Lo intervista Fiamma Nirenstein sulla STAMPA di oggi 27 marzo 2005

Ecco l'articolo:

GERUSALEMME
IL professor Dore Gold, proveniente dalla Columbia University, oggi direttore del think tank del Jerusalem Center for Public Affaire e uno dei più stimati analisti di politica internazionale negli Usa, è stato ambasciatore di Israele all'Onu negli anni fra il ‘97 e il ‘99. Ha scritto un best seller sull'Arabia Saudita ed è l'autore di un nuovo libro di grande successo, «Tower of Babble», torre più «delle bubbole», diremmo noi che «di Babele». Il sottotitolo non lascia posto gli equivoci: «come le Nazioni Unite hanno incrementato il caos globale».
Ora che questo caos è venuto alla coscienza mondiale e Kofi Annan propone una sua riforma. Come valuta, professore le nuove riflessioni?
«La tendenza dei riformatori oggi è quella di prendersela con questioni organizzative e di struttura, come per esempio: il numero dei membri nel consiglio di sicurezza, oppure "L'India deve diventare un membro permanente? Che ruolo devono avere i Paesi europei, la Francia, l'Italia, la Germania?" ma la realtà è che qualsiasi riforma autentica deve affrontare il nodo del problema: per esempio, il contenuto del messaggio attuale dell'Onu. Pensi alle risoluzioni della sua commissione per i diritti umani, al rifiuto di condannare il terrorismo, il suo atteggiamento dominato da colpevole cautela rispetto ai genocidi che si compiono sotto il suo naso senza che l'Onu faccia niente, al declino della forza morale di un'organizzazione che dovrebbe essere una faro morale».
E come dovrebbe essere pensata la ristrutturazione?
«Ricordando il passato. Quando nel 1945 l'Onu nacque aveva due importanti qualità: i membri fondatori erano prima di tutto Paesi alleati, per farne parte dovevi dichiarare da che parte stavi, dovevi dichiarare guerra contro la Germania nazista e il Giappone».
Ma oggi?
«Oggi il minimo comune denominatore consiste il due qualità: è in corso uno scontro con il terrorismo, e l'alleanza per combatterlo non include solo i Paesi occidentali, ma anche la Turchia, l'India, la Tailandia, le Filippine, il Giappone, Israele, Singapore, l'Australia...altri si uniranno alla battaglia, volenti o nolenti. Il secondo punto discende dal primo: il rispetto per i diritti umani conclamato, provato, è il cemento per tenere insieme un'organizzazione che sia degna di governare il mondo».
Professor Gold, ci spieghi dunque che cosa è successo all'Onu: tutti ormai dicono che ha fallito nel suo compito storico, creare uno spazio di concordia mondiale da cui prevenire o sedare i conflitti, le stragi, le ingiustizie. Mi riferisco, in primis, al genocidio del Darfur, che l'Onu non affronta, rifiutandosi persino di chiamarlo tale.
«L'Onu nato sulle ceneri della shoah, non ha evitato un solo genocidio: c'è stato il caso della Cambogia, del Rwanda, della ex Yugoslavia, adesso del Darfur. Nel caso del Rwanda, dove già stazionavano le forze di pace dell'Onu, addirittura si sa che il generale Romeo Dallaire mise in guardia l'ufficio di Kofi Annan, allora capo del Dipartimento delle operazioni di peace keeping, che stava per avvenire l'eliminazione dei Tutsi. Ma Annan rispose che l'Onu doveva rimanere "imparziale" e che non bisognava entrare in questa storia. Lo stesso sta accadendo con il Darfur, dove la commissione sostiene che non c'è genocidio di stato e così lascia andare avanti la tragedia».
Ma questo è il risultato di un deterioramento storico o è insito nei geni dell'Onu?
«L'Onu ha perso la sua chiarezza morale nel tempo: tutti nei suoi primi anni ricordavano la Seconda guerra mondiale, il nazismo, l'Olocausto. Poi con la Guerra fredda crebbe il potere del movimento dei Paesi non allineati: gli interessi dei Paesi del Terzo Mondo era non più quella di difendere le democrazie e i diritti umani, ma quella di difendere le nuove indipendenze, e non volevano certo essere disturbati per problemi di diritti umani. E questo è diventato nel tempo il compito più importante dell'Onu, proteggere i Paesi non allineati, diciamo. Occuparsi non di diritti umani, soggettivi, ma di diritti collettivi, di diritti economici».
Non vorrà negare l'importanza dei veti incrociati delle superpotenze.
«Certo che no, spesso le superpotenze in questa logica hanno ignorato colpevolmente conflitti che non interessavano loro direttamente. Gli Usa sono talvolta invece intervenuti autonomamente, ma senza passare per la fossa dei leoni».
Si ripete spesso che gli Usa consentono a chi vogliono, soprattutto a Israele di non rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, mentre le invocano per i loro nemici, per esempio l'Iraq.
«C'è una grande confusione: le risoluzioni sull'Iraq che ingiungevano di uscire dal Kuwait sono ascritte al capitolo settimo, ovvero sono una risposta all'aggressione di Saddam Hussein, che assalì quel Paese e operò un'annessione forzata. Le risoluzioni relative a Israele, e nessuno lo sa, sono relative al capitolo sesto, che si occupa di risoluzioni pacifiche di dispute; le due parti devono concordare una soluzione, perché Israele non voleva quella guerra».
Kofi Annan parla della necessità di definire il terrorismo.
«Sarebbe l'ora: nell'aprile 2002 quando un terrorista sucida a Natanya, in Israele, fece strage di dozzine di israeliani che sedevano alla cena pasquale, la Commissione per i diritti umani convenuta a Ginevra adottò la risoluzione che stabiliva "la legittimità della battaglia di un popolo contro il dominio straniero e coloniale con tutti i mezzi possibili, inclusa la lotta armata". È una grande vergogna, specie in quel momento, specie nella commissione per i diritti umani, specie da parte dei Paesi europei che votarono "sì" alla risoluzione che sosteneva il diritto di uccidere civili innocenti. Questo nasce dalla fine della chiarezza morale dell'Onu, Ci vuole un lavoro radicale per ripristinarla».
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